mercoledì 2 agosto 2017

Nascita del ritratto moderno


A partire da sinistra:Jan van Eyck, Ritratto di Jan de Leeuw, 1436, Vienna, Kunsthistoriches Museum.Jan van Eyck, Ritratto di Margherita van Eyck, 1439, Bruges, Groeningemuseum.Jan van Eyck (attribuito a), Portrait of a Man with carnation and the Order of Saint Anthony, Gemäldegalerie, Berlin.

Se nel Medioevo il ritratto aveva avuto una funzione accessoria e devozionale (i committenti venivano ritratti, tramite figure stilizzate e certamente poco realistiche, in posizione di preghiera all'interno dell'opera sacra da essi commissionata), nel Quattrocento si sviluppa un interesse per il ritratto naturalistico, con finalità soprattutto celebrative. E' questo il periodo del ritratto cortese, in quanto legato in particolar modo all'ambiente laico delle corti, che trae spunto, nell'ambito della riscoperta umanistica della classicità, dai ritratti di profilo presenti sulle antiche monete e medaglie romane. La larga diffusione dei ritratti di profilo, a pittura e a rilievo, prodotti in Italia a partire da Pisanello e fino ad artisti come Piero della Francesca, Botticelli e il Pollaiolo, va letta in questo senso come risposta alla nuova esigenza umanistica di un’affermazione mondana.
Il ritratto di profilo coniuga perfettamente eleganza, equilibrio e naturalezza con un certo distacco, come si conviene alle personalità di rango e alla funzione celebrativa dell'opera. Il ritratto di profilo evidenzia la nobiltà dei tratti, ma colloca il soggetto rappresentato in una posizione di inviolabilità.
Mentre in Italia va di moda il ritratto cortese, nelle Fiandre nasce il ritratto borghese, moderno. I volti realizzati dai pittori fiamminghi (Jan van Eyck, Robert Campin, Rogier van der Weyden, Hugo van der Goes, Hans Memling, Petrus Christus) sono illuminati da una nuova luce, che dona loro una nuova vita e una diversa consistenza, e sono inoltre caratterizzati da un nuovo modo di presentarsi e di porsi in rapporto con lo spettatore. Non si tratta più solo di regnanti, signori e vescovi, ma di mercanti, banchieri, esponenti di quella classe alto borghese che cerca anch'essa una consacrazione iconografica del proprio status ed è portatrice di una nuova consapevolezza sociale, incentrata sul valore e sull'intraprendenza dell'individuo.

Ecco che le tipologie di ritratto si ampliano, da quello di profilo, ufficiale, usato da regnanti e alti prelati, a quello di tre-quarti usato dalla nuova borghesia.
Peculiarità del ritratto fiammingo è il primato del visibile: coloro che vengono raffigurati non sono tipi umani idealizzati secondo i convenzionali canoni stilistici della tradizione, bensì uomini e donne interpretati e rappresentati nella loro individualità, nell'unicità e particolarità dei loro volti e delle loro espressioni. A questo si deve la descrizione meticolosa dei tratti somatici, che tocca esiti sorprendenti, dimostrando quello che Hans Belting definisce “un incredibile fanatismo per il dettaglio”, capace di cogliere sia i più minuziosi particolari fisionomici del soggetto effigiato sia gli elementi salienti della sua personalità.
L'impostazione subisce notevoli cambiamenti: il personaggio dipinto si distacca dal fondo neutro, generalmente scuro, prende forma e volume e ruota verso chi guarda. La maggior parte dei ritratti fiamminghi volge lo sguardo altrove o è caratterizzata da un'espressione remota e inattingibile, ma alcuni di essi si indirizzano espressamente verso lo spettatore e si pongono in dialogo con lui.
I due terzi dell'intera produzione pervenutaci di Jan van Eyck, il vero iniziatore di quest'arte fiamminga, è occupata dalla ritrattistica. Il suo occhio penetrante si posa su quel soggetto unico e irripetibile che è l'individuo, sui segni esterni che recano l'impronta della sua realtà interiore e ne plasmano l'assoluta singolarità. Un fascio di luce investe i volti, facendoli emergere da un'oscurità indefinita, donando loro intensità e vividezza ed esplorandoli con meticolosità.
Negli esempi che vediamo, inoltre, gli sguardi dei soggetti sono rivolti allo spettatore, dando un'impressione di energia vitale e di orgoglio manifesto.

Jan van Eyck, Ritratto di un uomo, 1433, Londra, National Gallery.

Questo dipinto, conservato alla National Gallery di Londra, è ufficialmente identificato come “Ritratto di un uomo” ma è comunemente conosciuto come “L'uomo con il turbante rosso”. Se osserviamo i ritratti del post precedente, ci accorgiamo di un particolare, ivi presente, che invece qui è del tutto assente: le mani. Questo, e altri dettagli, ha fatto ipotizzare ad alcuni studiosi che si tratti di un autoritratto, come se il pittore stesse ritraendo se stesso guardando la propria immagine riflessa in uno specchio. E l'assenza delle mani è un fatto eccezionale nella ritrattistica eyckiana. Questa ipotesi sembra avvalorata anche dalla diversa nitidezza dei due occhi, il che suggerisce l'uso di uno specchio: l'occhio destro, infatti, è leggermente sfocato intorno ai bordi, mentre l'occhio sinistro è chiaramente delineato e focalizzato su un oggetto specifico. Questo effetto è probabilmente dovuto al fatto che l'artista stesse osservando se stesso nello specchio; in tale operazione, infatti, gli occhi non possono essere colti contemporaneamente in modo nitido.
D'altra parte van Eyck sembra essersi raffigurato in altre due opere: nello specchio de Il ritratto dei coniugi Arnolfini (1434) e nello scudo di San Giorgio nella Madonna del Canonico Van Der Paele (1436).
Il dipinto è datato e firmato sulla cornice, in basso. L'iscrizione, con le lettere dipinte come se fossero state scolpite, è in latino: JOHANNES DE EYCK ME FECIT, ANNO MCCCC33 21 OCTOBRIS. In alto troviamo invece il motto del pittore: Als ich chan (come io posso), trascritto in lettere greche.
Luce e ombra sono utilizzate in modo drammatico: il soggetto sembra emergere dall'oscurità; la luce, che cade da sinistra, modella il volto e il turbante (in realtà uno chaperon. Copricapo simile può essere visto sullo sfondo della Madonna del cancelliere Rolin - un altro presunto autoritratto).
L'uso della pittura a olio permette, anche qui, l'esplorazione minuziosa e accurata di ogni minimo particolare, dalla grana della pelle alle rughe intorno agli occhi, dalla luce delle iridi ai capillari sulla superficie bianca della cornea sinistra, dalla pelliccia del colletto alle pieghe del copricapo rosso, vero capolavoro di bravura, mirabile nella resa del drappeggio, tanto da avere l'impressione di poterlo toccare.
Anche qui ci troviamo di fronte a un ritratto di tre quarti, in primo piano, che ci volge il suo sguardo penetrante, acuto e intelligente, consapevole della presenza di uno spettatore. I suoi occhi ci attraggono irresistibilmente, invitandoci a intrattenerci con lui in una sorta di dialogo muto.
Affronteremo in seguito questo tema affascinante degli autoritratti che ci guardano, in cui un pittore si confronta con se stesso e nello stesso tempo si presenta a uno spettatore.


Petrus Chistus, attivo a Bruges dal 1444, è considerato l'erede spirituale di van Eyck, del quale potrebbe essere stato allievo. Egli infatti fa propria la lezione del maestro in merito alla rappresentazione del volume, della luce e dei dettagli, ma elaborandola in uno stile personale.
Osserviamo infatti il dipinto intitolato “Ritratto di un certosino”. Per molti versi evidenzia lo stesso realismo di van Eyck, la stessa presentazione del busto a tre quarti, la medesima attenzione profusa nella resa dei minimi particolari e degli effetti di luce sulle superfici. Il naturalismo dei dettagli, come le vene della tempia, la luminosità della pelle e del tessuto, sono stupefacenti. Questo dipinto rappresenta un balzo in avanti nell'arte del ritratto.

Petrus Christus, Ritratto di un certosino, 1446, Metropolitan Museum, New York.

Come il predecessore, anche Christus qui utilizza una cornice trompe-l'oeil che forma una sorta di finestra che mette in comunicazione il personaggio ritratto con lo spettatore, dando l'illusione di due spazi contigui. Ma questo dipinto evidenzia anche alcune innovazioni apportate alla ritrattistica fiamminga classica. Invece di impiegare uno sfondo neutro, informe e scuro, infatti, il pittore ha inserito il personaggio in uno spazio definito, un angolo o una nicchia, illuminato da un bagliore caldo e avvolgente.
La luce cade sul volto e sull'abbigliamento dell'uomo, illuminando entrambi e intensificando l'intimità del contesto, data soprattutto dallo sguardo intelligente e pacato che il personaggio fissa sullo spettatore. Ma mentre la luce radente che investe il personaggio di fronte è tipica dei pittori fiamminghi contemporanei, come lo era stata di van Eyck, l'introduzione di una seconda sorgente luminosa alle spalle del soggetto costituisce una novità. Il risultato è che la luce proviene sia dall'interno che dall'esterno dello spazio pittorico e questo complesso sistema di illuminazione crea uno stupefacente effetto realistico e tridimensionale.
Sulla cornice in basso, come in alcuni ritratti di van Eyck, c'è un'iscrizione in latino che sembra scolpita su pietra e che tradotta è: “Petrus Christus mi ha fatto nell'anno 1446.” L'effetto trompe-l'oeil è accentuato dalla presenza di una mosca dipinta proprio sul bordo della cornice, forse con funzione di memento mori o semplicemente con il ruolo di biglietto da visita, una prova di abilità pittorica superiore. L'aggiunta sui dipinti di mosche trompe-l'oeil è infatti una pratica che inizia proprio nel Quattrocento. Collocata sulla cornice, sul confine che separa la realtà dalla rappresentazione, questa presenza insolita amplifica la comunicazione che il dipinto riesce a creare tra i due spazi, dandoci l'illusione che più che una cornice, si tratti del telaio di una finestra da cui il monaco si affaccia e ci guarda.
Una curiosità: quando il quadro fu acquistato dal Metropolitan Museum of Art nel 1944 presentava un'aureola sul capo del monaco. Ma solo nel 1994, in preparazione per una mostra del Met su Petrus Christus, un'analisi accurata determinò che si trattava di un'aggiunta postuma (probabilmente avvenuta nel Seicento, durante il soggiorno del quadro in Spagna) e fu rimossa.
Nei ritratti successivi Petrus Christus abbandonerà la complessa illuminazione e costruzione spaziale, vista nel post precedente, a favore di un equilibrio compositivo di linee verticali, orizzontali e diagonali, come nel Ritratto di fanciulla del 1470 (Gemäldegalerie, Berlino), un piccolo dipinto su tavola dove una giovane ragazza ci osserva con sguardo enigmatico.

Petrus Christus, Ritratto di fanciulla, 1470, Gemäldegalerie, Berlino.

La luce è radente ed illumina il soggetto come se si affacciasse da una nicchia, facendone emergere gradualmente i lineamenti. Anche qui, in rottura con la tradizione, Christus non fa affiorare il suo personaggio da uno sfondo scuro, ma lo colloca in un autentico interno, forse la sua stessa casa. L'uso dei colori a olio, tipico nella scuola fiamminga, permette poi un'acuta modulazione della luce, con morbidi passaggi tonali, che riescono a restituire la diversa consistenza dei materiali.
Secondo la tradizione, il soggetto - forse di nome Anne o Margaret - era la figlia di un lord inglese di nome John Talbot, che era a Bruges con la sua famiglia in occasione del matrimonio di Carlo il Temerario, duca di Borgogna, e Margherita di York. Ma diverse altre ipotesi sono state avanzate e probabilmente non si arriverà mai a un'identificazione definitiva. Eppure, alla fine, l'identità del personaggio passa decisamente in secondo piano rispetto all'incantevole bellezza di questo piccolo capolavoro.
La luce affilata degli occhi a mandorla, la purezza della fronte, la carnagione perlacea, l'ovale perfetto del volto formano un ritratto che, nel complesso, è indefinibile: difficile da cogliere lo stato d'animo della fanciulla, la cui espressione non si sa se definire fredda e sprezzante o imbronciata o ansiosa. Ella ci avvince e ci incanta con il suo sguardo infantile, austero e insieme fragile, mentre il lusso di abiti e gioielli non offusca la grazia e la nobiltà del portamento. I suoi occhi orientali continueranno ad affascinarci, trattenendo l'enigma misterioso celato dietro quel volto lunare, velato di algida purezza.

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