L'ultima fatica di Sebastião Salgado, Genesi, iniziato nel 2003, è frutto di otto anni di lavoro e oltre trenta reportage in ogni parte del mondo.
Il materiale è suddiviso in cinque sezioni, corrispondenti a cinque parti del globo: Pianeta Sud (Argentina e Antartide), Africa, I Santuari del Pianeta (Madagascar, Galapagos, Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya, che custodiscono una biodiversità particolarissima), Le Terre del Nord (Alaska, Canada, USA, Siberia), l'Amazzonia e il Pantanal.
Un viaggio fotografico fatto di 240 immagini in bianco e nero alla ricerca di ecosistemi incontaminati, non toccati dalla civiltà moderna, che perciò si presentano ai nostri occhi così come dovevano apparire all'alba della storia dell'uomo. Una sorta di viaggio indietro nel tempo, che ci porta nelle zone del pianeta ancora allo stato primordiale, nelle quali tutti gli esseri viventi, uomini, animali e vegetali, coesistono in perfetto equilibrio con l’ambiente: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne degli Stati Uniti, del Cile e della Siberia.
Un progetto di enorme respiro che stimola a guardare la Terra in modo diverso, a vederla in faccia per quello che è realmente, a considerarla nel suo essere in sé e non solo come oggetto di manipolazione e trasformazione. Le fotografie hanno una potenza visiva e una solennità tali da indurre nello spettatore un atteggiamento di pura contemplazione, il desiderio di ricongiungersi con quella natura silenziosa e incontaminata che la nostra civiltà, fondata sull'alterazione e sull'asservimento dell'ambiente, mette continuamente in pericolo.
Scrive la curatrice della mostra, Lélia Wanick Salgado: "Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per qualsiasi cosa salvo per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. Fotografie, quelle di Genesi, che aspirano a rivelare tale incanto; un tributo visivo a un pianeta fragile che tutti abbiamo il dovere di proteggere".
Le immagini si soffermano sugli elementi fondamentali della natura, quelli da cui è scaturita la vita: l'aria, l'acqua e il fuoco; sulle specie animali che vivono allo stato libero; sulle comunità umane cosiddette primitive. Tutte concorrono a costruire il quadro di un "prima", di una condizione primigenia che la Terra ha attraversato, precedente alla profonda trasformazione operata dall'uomo, che dalla natura ha preso le distanze per soggiogarla e dominarla.
Salgado, che aveva sempre fotografato l'uomo che opera o subisce i mutamenti provocati dal nostro sistema socio-economico, in Genesi porta avanti un percorso diverso, mostrando ciò da cui tutto è cominciato.
E lo fa con fotografie che colpiscono per la loro intensa bellezza lirica. Il respiro iconico, l'abilità compositiva, la profondità dei piani, la scelta della luce, l'eleganza del contrasto tonale, la resa plastica, il gioco di sfumature tra primi piani nitidi e sfondi sfocati o, più spesso, "fumosi", sono elementi che concorrono nel creare fotografie a metà tra descrizione e suggestione, le quali formano un monumento alla potenza visiva dell'immagine, un vero e proprio poema fotografico.
Salgado motiva così la sua scelta di escludere il colore: “il bianco e nero illustra parzialmente la realtà e permette una maggiore interiorizzazione". Questo bianco e nero, ricco di intense sfumature, facilita alla visione un maggior grado di astrazione delle forme e impedisce che lo sguardo venga distratto dalle tonalità di colore che, esaltando i dettagli, compromettono l'assimilazione della totalità compositiva. Solo il bianco e nero permette, in queste circostanze, che le forme possano dialogare liricamente con i grandi spazi e gli infiniti silenzi di queste immagini da alba della creazione.
E, infine, solo il bianco e nero ha la dimensione del passato, del sogno, dell'archetipo, di una dimensione temporale distante da quella che abitiamo. Il paradiso terrestre può essere a colori solo per chi lo abita, non per chi lo sogna da lontano recuperandolo dal proprio inconscio, dopo essersi macchiato del "peccato originale" di allontanarsi dalla natura primigenia per fondare la civiltà.
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