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Man Ray (Emmanuel Radnitzky). Still from Emak Bakia. 1926 - |
Nelle immagini prodotte negli anni Venti e Trenta è possibile riscontrare il ruolo centrale attribuito all’occhio umano, in particolare a quello intento a fissare lo spettatore. Una ricorrenza, d’altra parte, concettualmente conforme alla filosofia della Nuova Visione, della quale emerge l’idea basilare, cioè una concezione nuova del mezzo fotografico e del suo rapporto con l'occhio e la mano. Il ruolo della mano e del gesto manuale, in quanto responsabile del processo di creazione dell’immagine pittorica, lascia il posto a quello dell’occhio, quello umano e quello macchinico, legati da un legame analogico. Questa analogia tra l’occhio e l'obiettivo risale al XVII secolo, quando venne elaborata in relazione alla camera oscura, il cui meccanismo imita quello della visione umana (la lente della camera è equivalente a quella dell'occhio).
Agli albori della fotografia, quando la camera oscura, da ausilio per il disegno, è stata trasformata in meccanismo di acquisizione diretta di un'immagine su una superficie fotosensibile, questa analogia occhio-lente è diventata ancora più rilevante, ed è stata ampiamente esplorata dalle avanguardie degli anni '20 in una forma compiutamente teorica. All'inizio del XX secolo, il passaggio all'uso di dispositivi portatili, leggeri e maneggevoli - che si diffusero negli anni '20 con l'invenzione di Ermanox, Leica e Rolleiflex - implicava una relazione agile e diretta tra l'occhio e il mirino, e quindi tra l'occhio e l'obiettivo. Quest’ultimo veniva quindi considerato un secondo occhio, la cui efficienza tecnica si traduceva in immagini moderne, nuove, inaspettate: la fotografia, risultato dell'azione di questo binomio di occhio umano e occhio meccanico, è in tutto e per tutto un'arte le cui capacità si adattano alle esigenze e ai principi teorici della Nuova Visione. Essa è ora in grado di evidenziare un originale e peculiare modo di guardare la realtà e di dare a essa forma: per suo tramite è finalmente possibile leggere e mostrare in immagine le novità del nuovo secolo, guardare e conoscere in modo moderno il mondo che il Novecento sta facendo nascere, poiché sia questo che le immagini che lo rappresentano sono sotto il segno della nuova tecnica e sono dunque perfettamente omogenei.
Il binomio occhio umano – occhio meccanico offre nuove possibilità e potenzialità di visione, in un rapporto di complementarietà che costituisce la base concettuale della nuova arte, come suggerito da László Moholy-Nagy in Malerei, Fotografie, Film (1925). “Vedere” diventa la parola d’ordine della modernità degli anni Venti e Trenta, simboleggiata dalla creazione della rivista Vu nel 1928 a Parigi.
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El Lissitzky (Lazar Markovich Lissitzky). Self-Portrait (The Constructor). 1924. |
Il motivo dell'occhio come asse principale è la ragion d'essere di un’opera altamente rappresentativa della Nuova Visione: l’Autoritratto di El Lissitzky, noto come Il Costruttore (1924) – quasi un programma sotto forma di fotografia - che sancisce la supremazia dell'occhio umano unito al processo fotografico. Si tratta di un fotomontaggio in cui vediamo il volto dell'artista - con illuminazione ad alto contrasto, che lascia metà del viso in ombra e mette in risalto il suo occhio destro -, sovrapposto a una mano che regge un compasso, in modo che il suo occhio appaia al centro della mano (l’occhio e la mano quali ‘strumenti’ tradizionali della creazione artistica). Questa immagine è famosa soprattutto per essere apparsa sulla copertina di Foto-Auge: 76 Fotos der Zeit, libro di Franz Roh e Jan Tschichold pubblicato nel 1929, all’epoca della grande mostra internazionale di Stoccarda, Film und Foto, nota come Fifo. Foto-Auge può considerarsi un vero e proprio manifesto per immagini del nuovo modo di fotografare, delle nuove funzioni e dei nuovi usi della fotografia, un manifesto che può essere così sintetizzato: la fotografia non ha una funzione mimetica, ma una funzione costruttiva, produttiva. Non deve cioè rappresentare il mondo, riproducendo lo sguardo quotidiano su di esso, ma utilizzare tagli e angolature inconsueti, punti di vista nuovi, in sintonia con il proprio tempo, che richiede una nuova ottica, una nuova visione.
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Poster for the exhibition Film und Foto, Stuttgart. 1929 |
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Maurice Tabard, Suis je belle?, 1929 |
Il Costruttore è principalmente un’opera fotografica, realizzata da un artista versatile – russo, esponente del Costruttivismo e dell’Avanguardia Sovietica, ma istruitosi in Germania e molto attivo in Europa, con stretti legami con il Bauhaus, con Moholy-Nagy e con il gruppo de Stijl - che vedeva nella fotografia il mezzo più moderno di creazione artistica.
Molti ritratti, realizzati dagli artisti della Nuova Visione, come Burchartz , Umbo, Lucia Moholy, Edmund Kesting, Lotte Jacobi , Maurice Tabard – molti di essi pubblicati su Foto-Auge e presenti alla mostra Fifo - dimostrano una spiccata attenzione per l’occhio e lo sguardo.
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Nic Aluf, Portrait of Sophie Taeuber with her Dada Head. 1920. |
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Max Burchartz. Lotte (Auge), 1928. |
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Alexander Rodchenko, Portrait of Mother, 1924 |
Ma molte altre immagini del periodo realizzano una connessione molto esplicita tra l'occhio e l'obiettivo della macchina fotografica. Come avviene, ad esempio, negli autoritratti allo specchio, altamente caratteristici del modernismo e delle avanguardie, perché mettono al centro il ruolo innovativo dello strumento fotografico facendolo apparire nell’immagine: l'artista viene mostrato insieme alla macchina; l’occhio umano indissolubilmente associato all’occhio meccanico.
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Gustav Klutsis. Untitled (Self-Portrait). 1926 |
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Germaine Krull, «Selbstporträt mit Ikarette», 1925. |
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Ilse Bing, Self-Portrait in Mirrors, 1931 |
La congiunzione dell'occhio del fotografo e della macchina fotografica culmina in una fotografia di Maurice Tabard, realizzata a se stesso e all’amico e collega Roger Parry: davanti a uno specchio, Tabard mette a fuoco ciò che sembra essere una Leica fissata a un supporto verticale, premendo il pulsante di scatto. Al posto degli occhi di Tabard, vediamo due obiettivi, di diversa grandezza.
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Maurice Tabard. Untitled (Self-Portrait with Roger Parry). 1928–39. |
Troviamo la stessa relazione sguardo-obiettivo in altri autoritratti, tutti incentrati sulla funzionalità dell'obiettivo, sul modo in cui funziona come un "occhio" unito all'occhio del fotografo, potenziandone le capacità.
Anche alcuni film sperimentali come Le Retour à la raison (Ritorno alla ragione) di Man Ray del 1923, composto da fotogrammi, e il Ballet mécanique (Balletto meccanico) di Fernand Léger e Dudley Murphy, del 1924 mostrano diversi tipi di sguardi e di occhi, spesso attraverso la modalità delle sovraimpressioni. In Ballet mécanique compaiono alcuni fotogrammi, che mostrano gli occhi spalancati di Kiki de Montparnasse all’interno delle cui pupille vediamo il riflesso del regista accanto alla cinepresa: all’interno di un occhio si realizza la mise en abyme di un altro sguardo mediato da quello della macchina. Emak Bakia (Lasciami in pace) di Man Ray, del 1926, è un cinepoema che ha nel tema dell’occhio – staccato ormai dal corpo - il leitmotiv principale, che si ripete per tutto il film.
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Fernand Léger. Still from Ballet mécanique (Mechanical ballet). 1924
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L’occhio è il motivo principale del concetto di kinoglaz (cineocchio) sviluppato da Dziga Vertov, una teoria che afferma la supremazia dell'obiettivo della fotocamera sull'occhio umano, in grado di rendere quest’ultimo più forte ed efficace, compensando i suoi limiti e difetti e permettendogli di vedere il mondo come mai prima di allora. “Io sono il cineocchio. Io sono l'occhio meccanico. Io, macchina, vi illustro il mondo come io solo posso vederlo. Io mi libero, da oggi e per sempre, dall'immobilità umana, io sono in continuo movimento, io mi avvicino e mi allontano dagli oggetti, striscio sotto di essi, vi monto sopra, io mi muovo fianco a fianco col muso di un cavallo in corsa, io irrompo, a piena velocità, nella folla io corro davanti ai soldati in corsa, io mi lascio cadere sul dorso, io mi levo in volo con gli aeroplani, precipito e risalgo, in volo, con corpi che precipitano e risalgono” (da Kinoki. Perevoròt, Lef, n. 3, 1923, citato in P. Montani, L'occhio della rivoluzione. Scritti dal 1922 al 1942, Milano, Mazzotta, 1975).
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Aleksandr Rodchenko, Kino Glaz (Film Eye) (Poster per sei film di Dziga Vertov), 1924 |
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Alexander Rodchenko, Kino Glaz, cartolina illustrata, 1924 |
La teoria del cineocchio di Vertov culmina con il suo famoso film del 1929 L'uomo con la macchina da presa. Ripetutamente vediamo dissolvenze e doppie impressioni in cui appare l'occhio umano, aprendosi e chiudendosi, al centro dell'obiettivo della fotocamera. Una breve sequenza mostra la cinepresa su un treppiede che balla come se avesse tre gambe. La metafora non potrebbe essere più chiara: l'obiettivo è un super-occhio, la cinepresa sul treppiede è una nuova entità le cui capacità sono superiori a quelle dell'uomo. L’uomo nuovo assumerà una nuova relazione con il mondo diventando un cineocchio. Gli scatti finali mostrano il motivo dell'occhio umano incorporato nell'obiettivo della fotocamera, visto in primo piano, a schermo intero.
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Dziga Vertov. L'uomo con la macchina da presa, 1929 |
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Dziga Vertov, L'uomo con la macchina da presa, 1929. |
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Dziga Vertov, The Man with a Movie Camera. Finale frame, 1929 |
In tutte queste immagini che mettono insieme l’occhio biologico e quello meccanico, il principio sotteso è quello per cui la lente possiede una sua capacità di visione. Questa tipologia di rappresentazioni dota la macchina di una proprietà umana che è ottica, mentale e psicologica allo stesso tempo: la visione include non solo l'atto di vedere ma una rappresentazione mentale e immaginaria di ciò che si vede.
L’occhio macchinico, apparato materiale e protesi dell’occhio biologico, non duplica tanto quello umano, ma ne dispiega e ne potenzia le possibilità. In questa ossessiva associazione, l’occhio umano non si presenta più come finestra dell’anima, accesso al mondo interiore dell’individuo, ma come strumento ottico, monoculare, attivatore organico di una protesi meccanica in un processo finalizzato a un’istanza puramente scopica.
Ciò che emerge non è l’estraneità del dispositivo artificiale rispetto a quello naturale. Piuttosto, l’obiettivo fotografico e cinematografico si affermano come una determinata tappa dell’evoluzione del modo in cui da sempre l’uomo si rappresenta il mondo. Il dispositivo tecnico non è qualcosa di radicalmente altro rispetto all’uomo e al suo occhio, ma anzi ne è il fisiologico prolungamento.
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Dziga Vertov. Photomontage. In Franz Roh and Jan Tschichold. Foto-Auge 76 |
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Aleksandr Rodchenko, Untitled 1927 |
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Aenne Biermann. Right Eye (Rechtes Auge). 1929 |
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Alexander Rodchenko, Vadim Kovrigin at the Moscow-Volga Canal (1934) |
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Alexander Rodchenko. Evgenia Lemberg with Photo Camera, 1934 |
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André Kertész. Photographs. In E. W. “Le Triomphe de la femme”, Vu, no. 104 (March 12, 1930) |
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Claude Cahun - Aveux non Avenus, Planche III, Montage, 1929-30 |
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Claude Cahun and Marcel Moore, Aveux non avenus, planche I, 1929-1930 |
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Francis Picabia, L'Oeil Cacodylate, 1921 |
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Hannah Höch, Bouquet of eyes, 1930 |
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Hannah Höch, Collage |
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Hans Richter, Filmstudie, 1926 |
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Herbert Bayer, Booklet pages, Das Wunder des Lebens (The Miracle of Life), 1935 |
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Herbert Bayer, Glass Eyes, 1928 |
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Herbert Bayer, Lonely Metropolitan 1932. |
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Herbert Bayer, Winter, 1936 |
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Herbert List _ Magnum Photos 'Optiker Schaufenster',Paris 1936 |
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Jaromir Funke, Time persists, 1932 |
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Johannes Theodor Baargeld. Das menschliche Auge und ein Fisch, letzterer versteinert), 1920 |
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Man Ray, Tears, 1930 |
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Man Ray, «Le Témoin» (1941) |
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Maurice Tabard, Room with eye, 1930 |
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Max Ernst, The Chinese nightingale, 1920 |
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Raoul Hausmann. Illustration in Fotomontage. A bis Z, no. 16 (May 1931) |
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Raoul Hausmann. Untitled. February 1931 |
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Umbo (Otto Umbehr). Erinnerung an Lores Augen (Remembering Lore’s eyes). |
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Un chien andalou, 1929, di Luis Buñuel |
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