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sabato 4 gennaio 2020

Fotografie come relique. L’estetica della morte nella "Morgue" di Andres Serrano

Andres Serrano, Infectious Pneumonia

Malgrado l’istintiva reazione di repulsione suscitata, la morte è sempre stata un tema frequentato dall’arte occidentale, sia come figura allegorica (rappresentata dall’essere scheletrico dotato o meno di lunga falce o dal teschio come simbolo di memento mori) sia come evento del corpo, mostrato nel suo stato di cadavere (A questo link è possibile un excursus molto veloce sulla rappresentazione della morte nell’arte, intesa nella seconda accezione: https://www.spettakolo.it/2016/03/28/la-morte-nellarte-astenersi-impressionabili/). Dopotutto l’arte sacra cristiana trova gran parte della sua espressione nella raffigurazione del corpo di Cristo, morto sulla croce o deposto sulle ginocchia della madre, e di quello dei santi martiri, sottoposti a orribili supplizi.
Con il tema della morte, d’altra parte, prende familiarità fin dalla sua nascita anche la fotografia, sia come messa in scena (un esempio è l’immagine del finto annegamento di Bayard), sia come cattura dell’estrema sembianza prima della perdita definitiva, nelle fotografie post mortem.
Nelle fotografie di morte, il corpo si mostra come tale, non più come apparenza, come involucro e maschera esteriore di un’interiorità celata. Di fronte al cadavere, la fotografia mette alla prova la sua funzione. Non si tratta di congelare un istante decisivo, perché qui la fotografia ferma ciò che è già fermo, anche se il cadavere resta un’entità ancora sottoposta al tempo, che continua ad agire sulla carne, trasformandola radicalmente.

mercoledì 1 gennaio 2020

John Coplans. Frammenti di un corpo senza volto

John Coplans, HandsHolding Feet, 1985

John Coplans, critico d’arte e curatore, fondatore della rivista Artforum, passati i sessant’anni, impugna la macchina fotografica e rivolge l’obiettivo verso un medesimo soggetto: il proprio corpo. Ma lo fa non nel modo tradizionale dell’autoritratto; ogni fotografia, infatti, cattura parti del corpo isolate e ritagliate, frammentate e ingigantite, ricche di particolari lontani da ogni estetica accademica (peli, calli, vene varicose, segni della pelle). Per oltre 20 anni esegue questi ‘autoritratti’, come l’autore li definisce, formati da immagini di dettagli del corpo nudo, esposte in dimensioni monumentali, spesso accostate a formare dittici e pannelli compositi.
Body of Work è il titolo del suo primo libro d’artista. Utilizzando il suo corpo invecchiato come oggetto, l’autore ci invita a vivere un'esperienza paradossale, nello stesso tempo autobiografica e impersonale. In altre parole, l'esperienza proposta dalle opere di Coplans è costruita sia a livello intimo, in quanto presenta immagini del suo corpo nudo, sia a un livello che astrae dalla dimensione individuale per mostrare forme pure e assolute. Régis Durand sottolinea questa peculiarità delle fotografie di Coplans, cioè la loro capacità di sfuggire al carattere personale dell'autoritratto, per trasformarsi in qualcosa di universale.