Quando guardiamo un albero, ne ammiriamo il tronco possente, la chioma rigogliosa che si protende verso il cielo. Se pensiamo al modo in cui quella meravigliosa creatura attinge la vita, ecco che il nostro pensiero scende verso profondità sotterranee, seguendo il corso delle radici. Da una parte il mondo alla luce del sole, dall’altra quello che si inabissa nell’oscurità del sottosuolo.
Qualche volta, tuttavia, quell’universo sotterraneo preme per uscire, cercando di rompere la membrana di confine.
Le radici, lentamente e senza rumore, non cessano mai di allungarsi nel terreno. Pazientemente sondano, si insinuano, senza che alcun ostacolo le possa fermare. Succede a volte che risalgano verso la superficie, senza curarsi di provocare fratture. Rompono asfalti e selciati, sollevano pietre e mattoni, creano solchi e increspature, trasformando la strada in una pelle rugosa. Con la stessa forza distruttiva dei ricordi rimossi che, piano piano ma inesorabilmente, emergono dall'oscurità dell'inconscio fino alla superficie della coscienza.
Le radici che spezzano la superficie e creano squarci e piccoli rilievi violano l'uniformità del terreno, facendo irrompere il disordine. Ma il pensiero di qualcosa che sfonda e prorompe genera una sorta di catarsi, che riscatta l’impotenza di quegli incubi in cui non si riesce mai, malgrado gli sforzi disperati, ad infrangere la barriera contro cui ci si trova schiacciati.
E se queste forme fossero dei segni di un linguaggio misterioso? Se questi solchi fossero come degli ideogrammi, incisi da una 'mano' sconosciuta che agisce non sopra la superficie, ma da sotto, spingendo e creando forme in rilievo?
Se questa fosse la scrittura di una forza muta ma inarrestabile, che cerca di emergere da una profondità insondabile, recandoci messaggi da decifrare?
O si tratta solo di un modo per esorcizzare e contenere la forza dirompente delle radici, trasformando in logos l'oscura forza generativa della natura?
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