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giovedì 24 settembre 2020

Carrie Mae Weems, Lorna Simpson, Renée Cox. La decostruzione dello stereotipo razziale

Renée Cox, Liberation of Aunt Jemima and Uncle B, 1998

 

CINDY SHERMAN, FRANCESCA WOODMAN E LE ALTRE.
L'AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA IN FOTOGRAFIA 

L’autorappresentazione fotografica femminile ha spesso intrecciato le questioni dell’identità di genere con quelle dell’identità culturale e razziale. La fotografia ha, fin dalle sue origini, giocato un ruolo cruciale, ad esempio, nel processo di autoconsapevolezza e autorappresentazione degli afroamericani, divenendo anche un campo di rivendicazione e di lotta per strappare ai bianchi il monopolio di quella rappresentazione, infarcita di stereotipi razzisti.

Già nel 1926, nel suo saggio Criteria of Negro Art, il sociologo e pioniere della teoria della critical race Web Du Bois aveva lanciato un appello agli artisti afroamericani per la creazione di produzioni che ne testimoniassero l’identità, mettendo radicalmente in discussione la visione caricaturale e stereotipata del ‘nero’ che i bianchi avevano prodotto per secoli. 

Raccogliere questa eredità finalizzata alla rappresentazione della propria identità etno-razziale è diventata una priorità per i fotografi afroamericani. Negli anni '70 questo approccio ha subito notevoli cambiamenti, fondendosi con l’istanza concettualista e la performance.

Carrie Mae Weems, Untitled (Man smoking), from Kitchen Table Series, 1990


La fine degli anni '80 e '90 ha visto l'ascesa di diverse donne di talento che hanno unito concettualismo, performance e fotografia per affrontare questioni di identità razziale, di genere e di classe. Carrie Mae Weems (nata nel 1953) esplora la questione della rappresentazione degli afroamericani adattando o appropriandosi di immagini d'archivio, lavorando sulle fotografie etnografiche del XIX secolo e su quelle della stampa del XX secolo o creando scene inedite. In tal modo documenta la vita e la storia dei neri americani esplorando gli stereotipi razzisti insiti nella cultura visuale. Nel suo Immagini e storie di famiglia (1978-84) l’artista mette in discussione l’oggettivizzazione prodotta spesso nella tradizione sociologica e documentaria della comunità afroamericana, elaborandone una visione alternativa.

Oltre all’identità culturale, Weems si interessa anche alle questioni di genere e alle relazioni familiari. Uno dei suoi progetti più celebri è Kitchen Table Series (1990), un corpus di 20 fotografie, accompagnate da testi, che racconta la storia di una donna, ambientata nello scarno contesto di una cucina, uno degli spazi primari della vita domestica, dominio tradizionale delle donne e scenario storico di innumerevoli rappresentazioni del femminile. La stessa Weems è la protagonista della serie, anche se la donna che ritrae è una figura universale, un archetipo. Gli schemi utilizzati sono quelli dell’istantanea anche se si tratta di scene minuziosamente costruite.


Carrie Mae Weems, Untitled, from Kitchen Table Series, 1990

Intorno al tavolo della cucina sotto una semplice lampada che pende dal soffitto, come su un palcoscenico teatrale, si susseguono momenti di intimità e di socialità, in cui la protagonista ricopre diversi ruoli, quello dell’amante, della madre, dell’amica. In questo modo l’artista esplora il suo personaggio, la sua identità, nelle sue diverse proiezioni di forza, vulnerabilità, distacco, tenerezza e solitudine, e ci racconta del ruolo della donna all’interno della struttura familiare e sociale contemporanea. Come afferma la stessa Weems, la serie può essere interpretata come un racconto sulle relazioni umane, quelle tra uomini e donne, donne e bambini, donne e donne, ma può anche essere utilizzata in riferimento alla questione della rappresentazione degli afromericani e delle loro relazioni.

La seconda fotografia della sequenza raffigura la protagonista mentre beve e gioca a carte con un uomo. Una bottiglia di whisky, un paio di bicchieri quasi vuoti, un piatto di noccioline, alcuni gusci vuoti e un pacchetto di sigarette: una natura morta, illuminata dalla lampada che penzola dal soffitto. Le noccioline, le sigarette e il whisky, derivanti da prodotti agricoli prodotti prevalentemente nel Sud, legano la cucina al mondo esterno, ai rapporti socio-economici che lo permeano. La storia del Paese, del sud rurale e del nord urbano-industriale, è penetrata nella scena. 


Carrie Mae Weems, Untitled, from Kitchen Table Series, 1990

Anche sulla parete di fondo abita la storia. Al centro c'è un'immagine di Malcolm X, scattata durante una manifestazione. A destra c'è una famosa fotografia del 1967 di Garry Winogrand, che mostra una donna dalla pelle chiara e un uomo dalla pelle scura a Central Park, con in braccio degli scimpanzé vestiti come bambini, che stigmatizza e nello stesso tempo perpetua uno stereotipo quale quello della paura del meticciato.  Tra il fumo di sigarette, che offusca l’atmosfera della cucina, queste immagini evocano il ricordo di turbolenti rapporti razziali, avvenuti e ancora presenti nelle strade di New York e dell’intera America.  

Il gesto di Malcolm X, rivolto alla folla, sembra ora indirizzarsi a un altro pubblico, quello presente nello spazio privato e raccolto di una cucina, ma appare disinteressato, distratto  in altre occupazioni. 

L’epilogo della storia, costituito dalle ultime quattro fotografie, inizia con una donna che si rivolge direttamente allo spettatore, non più circondata dal suo amante, dai suoi amici o da sua figlia. Anche la gabbia dietro di lei ora è vuota. Dopo il dolore dell’abbandono, il finale è una donna che fa un solitario a carte con espressione ormai indifferente, circondata da un bicchiere di vino e cioccolatini.

Carrie Mae Weems, Untitled, from Kitchen Table Series, 1990

Lorna Simpson (nata nel 1960 a Brooklyn), afroamericana e femminista, con la sua arte sfida i concetti di razza e genere, mettendoli radicalmente in discussione. Gran parte del suo lavoro, come Guarded Conditions (1989) e Square Deal (1990) sono pietre di paragone per discutere della condizione afroamericana femminile attraverso l’esplorazione dei modi in cui l’identità razziale e quella di genere funzionano come dispositivi politici interdipendenti e discriminanti. Simpson si è occupata dell'identità delle donne nere sin dall'inizio della sua carriera. Fornendo poche o nessuna informazione sulle persone che appaiono nelle sue immagini, pone domande stimolanti su come percepiamo gli altri in base al loro aspetto e agli stereotipi associati all'identità come il colore della pelle, i capelli, il genere e l’abbigliamento.

Lorna Simpson, May June July August, '57 / '09


In una serie, intitolata May June July August, '57 / '09, comprendente 123 fotografie in bianco e nero vintage e contemporanee. Simpson aveva acquistato su eBay delle fotografie scattate a Los Angeles nel 1957. Queste ritraggono una giovane donna afroamericana, in seducenti pose da pin-up che ricordano la famosa Dorothy Dandridge, una delle prime attrici di colore ad aver raggiunto nell’immaginario collettivo dell’America anni Cinquanta lo status di vero e proprio sex-symbol (una novità per l’epoca, caratterizzata dalla segregazione e da aspre discriminazioni razziali). Queste immagini trasmettono l’aspirazione di una ragazza afroamericana ad incarnare (anche solo nella finzione fotografica) un’ideale di donna finalmente libera dalle limitazioni cui è soggetta. Lorna Simpson decide così di replicare quelle fotografie, interpretando il ruolo della protagonista, riproducendo con dettagli precisi le pose, i vestiti, le acconciature e le ambientazioni delle fotografie originali, e disponendo le fotografie in schemi a griglia. L’affiancamento delle fotografie vintage con le repliche confonde i confini tra storia e finzione, tra documento e arte, creando una narrazione romanzata in cui entrambi i personaggi sembrano storicamente legati da un'identità comune e da un destino condiviso.

May, June, July, August '57-'09


“I wanted to overturn the concept that blacks were always represented as victims. I want to deconstruct stereotypes. I want the stereotypical representations of women turning upside down, for their empowerment.”
(Renée Cox)

Renée Cox (1960) nata in Giamaica ma cresciuta a New York, è una delle artiste più controverse del nostro tempo. Fin dall'inizio, la sua ricerca è volta a sovvertire gli stereotipi razziali e di genere e presentare nuove rappresentazioni visive della donna afroamericana.


Illustrazione della Hottentot Venus


Hot-en-tot, 1995.


È lei stessa la modella nella maggior parte delle sue fotografie, spesso in posa nuda come dimostrazione di amor proprio e di empowerment. Nella fotografia Hot-en-tot, Cox richiama la figura di Saartje Baartman, nota anche come "Venere ottentotta". Baartman era una schiava sudafricano che, nel XIX secolo, fu esposta in giro per l'Europa dai colonizzatori olandesi come fenomeno da baraccone. Ciò era dovuto al suo aspetto fisico che non corrispondeva alle norme del corpo occidentale e per questo fu soggetta a parate umilianti e ispezioni mediche e la sua figura è stata utilizzata per giustificare e mantenere l'immagine dell'"Altro". Cox presenta la sua Hot-en-tot guardando direttamente lo spettatore, chiamandolo in causa e sfidandone lo sguardo.

Renée Cox ha affrontato il personaggio di zia Jemima, figura di mammy che compariva nel marchio di un prodotto a base di sciroppo e pancake (già oggetto del lavoro di altri artisti neri che ne hanno stigmatizzato lo stereotipo razziale e creato visioni della sua 'liberazione') come parte della sua serie fotografica "Rajé", che mostra l'artista nei panni di una supereroina nera di nome Rajé, la nipote di Nubia, la sorella gemella scomparsa da tempo di Wonder Woman. In Liberation of Aunt Jemima and Uncle B del 1998, Cox mostra Rajé in piedi a braccetto con una zia Jemima liberata (interpretata dalla top model Roshumba Williams) e lo zio Ben (interpretato dall'attore Rodney Charles).


Cousins at Pussy Pond, from American Family, 2001


La serie Yo Mama affronta il tema della maternità; in American Family affianca scene di vita familiare con immagini erotiche, in cui vediamo il corpo dell’artista in primo piano, spesso in abiti fetish e in pose altamente erotiche. Spesso però il trattamento dell’immagine – ad esempio l’applicazione di uno sfondo giallo acido – produce l'effetto di desensibilizzare e desessualizzare le immagini. Nella serie, l’artista sembra evidenziare ed esplorare i molti ruoli richiesti alle donne contemporaneamente, quello di moglie, madre e amante.


Renee Cox, Yo Mama's Pieta, 1996


Renée Cox, Olympia's Boyz, 2001


Fissa sfacciatamente l’obiettivo come se sfidasse gli spettatori a guardarla direttamente anche in  Olympia's Boyz (2001), ispirata al celebre quadro di Manet, in cui l’artista è adagiata su una stoffa congolese Kuba, con accanto i suoi figli, vestiti da guerrieri africani. La donna di colore, che nell’opera dell’artista francese occupava il margine della scena, ora è diventata protagonista.


Yo Mama’s Last Supper, 2001

Nel 2001, il Brooklyn Museum ha presentato la serie di fotografie di Cox intitolata Committed , in cui l'artista si è appropriata di alcuni capolavori a tema religioso dell’arte europea e li ha rinnovati utilizzando come protagonisti modelli di colore, compresa se stessa. Il pezzo che ha suscitato più scandalo è stato di Yo Mama’s Last Supper, una rivisitazione del Cenacolo di Leonardo Da Vinci, con la stessa Cox al centro della scena, nuda, al posto di Cristo, circondata da discepoli neri, ad eccezione di Giuda, che è bianco - sovvertendo le consolidate associazioni del nero con il male e del bianco con il bene. In una delle sue dichiarazioni, Renée Cox ha spiegato come, nonostante il Cristianesimo sia una religione molto diffusa tra gli afroamericani, tuttavia nessuna persona di colore è stata mai inclusa, come protagonista, nelle rappresentazioni sacre.

Renée Cox, March (from Queen Nanny of the Maroons), 2004

Red Coat (from Queen Nanny of the Maroons), 2004


Nel 2006, Cox ha esposto alla Biennale giamaicana una serie intitolata Queen Nanny of the Maroons. Queen Nanny è un’eroina nazionale giamaicana del XVIII secolo, che guidò una ribellione contro gli inglesi. Cox mostra una serie di fotografie di se stessa ritratta in varie situazioni, come maestra di scuola tra i bambini, come guerriera con il machete o mentre va in chiesa la domenica. 

Le motivazioni alla base della sua arte sono chiare; cambiare il modo in cui le persone di colore e in particolare le donne di colore sono rappresentate nell’ambito della cultura visuale. Per l’artista è evidente che questi modelli rappresentativi affondano la loro origine nella storia, nel corso della quale si sono formati e sedimentati gli stereotipi culturali e razziali. Ed è alla storia, pertanto, che rivolge la sua attenzione, per ribaltare quegli schemi e sfidare i pregiudizi culturali dello spettatore.



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