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sabato 26 settembre 2020

Sophie Calle e la narrazione di sé

Copertina del catalogo della mostra M’as-tu vue (Parigi, 2003-2004)


Alcuni artisti si servono dell’autoritratto per realizzare delle “narrazioni”, componendo vere e proprie storie in cui giocano il ruolo di protagonisti.

Sophie Calle è un'artista francese, epigono della Narrative Art, che utilizza gli strumenti dell'arte narrativa: principalmente fotografia e testo, ma anche video, performance, installazioni.

Nel 1981 il Centre Pompidou le commissiona un’opera per una mostra dedicata all’autoritratto. Nasce così La Filature (in francese l'espressione 'prendre en filature' significa 'pedinare'), che porta avanti quella spiccata attitudine voyeuristica che caratterizzava già alcuni progetti precedenti, come Les dormeurs (1979), le Filatures parisiennes, Suite vénitienne (il racconto per testo e immagini del pedinamento di uno sconosciuto da Parigi a Venezia, 1980), L'Hôtel (1981).

Chiede a sua madre di assumere un detective per farsi pedinare e fotografare per un’intera giornata: contemporaneamente tiene un diario in modo da confrontare la sua vita vista dall'esterno, cioè dal detective, con quella vissuta da se stessa. Nel frattempo, incarica un’amica di pedinare lo stesso detective e di scattargli delle foto. La storia finale ha una tripla voce: da una parte l'indagine del detective e le fotografie da lui scattate sulla giornata dell’artista (narrazione eterodiegetica e oggettiva), dall’altra il diario dell’artista medesima (narrazione omodiegetica e soggettiva) e infine le fotografie scattate al detective dall’amica. Tutte e tre seguono una catena di sguardi che converge, come punto finale, sull’artista medesima. 

La Filature, 1981

La Filature segna una nuova tappa nell’elaborazione artistica di Sophie Calle. Se, infatti, Suite vénitienne aderiva ancora al reale tentando di restituirlo fedelmente, abdicando in parte al ruolo autoriale, la nuova opera è invece caratterizzata dalla messa in scena e dal desiderio di esercitare il controllo su di essa. Il punto di partenza non è più un evento che solo il caso ha messo sulla strada dell’artista, ma è provocato da lei stessa e costruito come un dispositivo stringente, che realizza un racconto finzionale. 

Oggetto dello sguardo e voyeur al tempo stesso, il detective segue l’artista in giro per Parigi. Al Louvre, la Calle resta per un’ora davanti al dipinto di Tiziano intitolato L'uomo con il guanto, costringendo il detective a menzionarlo nel suo rapporto. Sophie Calle usa un intermediario per descrivere e interpretare se stessa; si cerca nello sguardo altrui, in un punto di vista esterno. E ciò realizza una relazione complessa, dai ruoli non ben definiti e quasi interscambiabili: soggetto/oggetto, autore/personaggio, guardante/guardato.

La Filature, 1981

Quello che viene fuori da quest’opera della Calle costituisce, pertanto, una forma di autoritratto decisamente anomala, realizzata per delega; una messa in scena in cui il regista occupa lo stesso posto dell’attore, ma tramite un’intermediazione inconsapevole. Analizzando le due parti dell’opera, il racconto del detective e quello dell'artista, “emergono alcune considerazioni ancora una volta in merito alla percezione di sé, delle proprie azioni nei confronti dell’altro o dal punto di vista dell’altro e risulta evidente come al centro della ricerca dell’artista non ci sia tanto l’altro in sé, quanto se stessi attraverso la percezione che gli altri hanno di noi. Possiamo dunque asserire che il pedinamento diventi uno strumento di autoanalisi e di auto-rappresentazione, quasi un autoritratto firmato dall’artista ma realizzato da altri, tanto che in quest’ultimo caso possiamo addirittura rintracciare una sorta di contratto, di committenza esplicita dell’artista nei confronti di un altro soggetto (il detective-fotografo) impegnato in una - furtiva - attività ritrattistica” (Elisabetta Modena, Sophie Calle. Autoritratto allo specchio: abbi cura di te, https://core.ac.uk/download/pdf/41182588.pdf).

La Filature vedrà una seconda edizione. Questa volta sarà il gallerista Emmanuel Perrotin ad assumere un investigatore privato dell'agenzia Duluc per organizzare un pedinamento dell'artista a vent'anni da quella del 1981, il 16 aprile 2001. Avvisata, Sophie Calle accompagna il detective per Parigi; più che un autoritratto, questo resoconto appare come un bilancio, un'opportunità, per l'artista francese ormai celebre, di rievocare i temi della sua mitologia. Nasce così Vingt ans après.

La giornata inizia con una visita alla tomba di famiglia nel cimitero di Montparnasse: "una volta all'anno ho preso l'abitudine di recarmi sulla nostra tomba per familiarizzare con il luogo". Questa visita di rito era compresa anche ne La Filature del 1981, a dimostrazione di come il 'rituale' sia una componente importante nell'opera della Calle. 

Vingt ans après, 2001 (dettagli). Set composto da 32 fotografie a colori


Ritroviamo la figura della Calle in autoritratto in Des journées entières sous le signe du B, du C, du W del 1998, opera con cui l’artista cerca di mettere in pratica la descrizione che Paul Auster aveva fatto di lei nelle vesti di Maria nel romanzo Leviatano del 1992, interpretando le ossessioni attribuite dallo scrittore al personaggio. Le opere di Sophie Calle, d’altra parte, hanno molto in comune con i romanzi di Paul Auster, in particolare quelli che formano la Trilogia di New York, dove ritroviamo il motivo del pedinamento, dello scambio dei ruoli, del gioco di specchi e della ricerca d’identità, intesa come un’entità indefinibile e continuamente sfuggente. La protagonista di Leviatano, Maria Turner, è un personaggio costruito da Auster a immagine e somiglianza di Calle: è simile nell’aspetto fisico, è un’artista fotografa concettuale e performer come lei e ha eseguito dei progetti che richiamano molto da vicino quelli effettivamente realizzati dalla Calle agli inizi degli anni ottanta. 


Des journées entiéres sous le signe du B, du C, du W., 1998


Sophie Calle, che ha sempre cercato di unire arte e vita, finzione e realtà, sfondando la barriera che le divide, decide di accrescere il legame con il suo doppio letterario, trasponendo nella vita reale due rituali che caratterizzano la personalità inventata di Maria, ovvero la dieta cromatica e i giorni sotto il segno della lettera b, c, w. Come Auster aveva trasferito la vita reale in romanzo, così Calle cerca il percorso inverso, dando vita vera all’immaginazione dello scrittore. Da un lato è la narrazione ad inglobare la realtà, dall’altro è la realtà a inglobare la narrazione.

Il primo rituale, che Paul Auster attribuisce a Maria, ad essere messo in pratica dalla Calle è la «dieta cromatica» che consiste nel mangiare, ogni giorno, esclusivamente cibi di un unico colore. Il secondo rituale consiste, invece, nel trascorrere intere giornate all’insegna di una lettera dell’alfabeto. L’artista comincia il collaudo passando un giorno sotto il segno della b: il 10 marzo 1998 è la data in cui Calle realizza una serie di fotografie il cui oggetto è se stessa mentre veste i panni di una Big Time Blonde Bimbo, distesa in un letto affollato da numerosi animali tassidermizzati (immagine che richiama delle fotografie di Brigitte Bardot). Nel libro Double game – che riunisce questi progetti e l’intera corrispondenza con Paul Auster -  la fotografia viene accompagnata da una frase composta interamente da sostantivi inizianti con la lettera B.

Sophie Calle , installazione Chambre avec vue (notte dal 5 al 6 ottobre 2002) nell'ambito della "Notte Bianca" organizzata dalla città di Parigi: Sophie Calle ha fatto installare una stanza al quarto piano della Torre Eiffel. Sdraiata su un letto, invita chi vuole, a sua volta, a venire a raccontare le sue storie per tenerla sveglia fino al mattino.

Tutto il lavoro della Calle richiede sempre la partecipazione attiva dell’altro, che è sempre uno sconosciuto, sia consapevole che inconsapevole. Lo scopo finale non è tanto il risultato, ma il processo di realizzazione, la relazione e il dialogo che l'artista stabilisce con l'altro. Gran parte dell’opera di questa artista potrebbe essere interpretata come una ricerca, sempre fallimentare, di afferrare l’identità di qualcuno, compresa la propria. In realtà l'altro non è mai il fine dell'inseguimento e dello sguardo voyeuristico, ma solo una tappa e una modalità per osservare se stessa. Ciò che emerge è la scoperta di potersi cogliere in qualche modo solo nel punto di vista e nella percezione dell’altro, in uno scambio di ruoli. Ogni produzione della Calle ruota intorno a se stessa e alla sua vita e sembra convergere verso la produzione di un grande, composito autoritratto, sebbene mai definito e sempre sfuggente. Non potendo delineare una rappresentazione di sé univoca e stabile, cerca di specchiarsi nello sguardo altrui, nei luoghi e nelle situazioni in cui si imbatte, in un pedinamento costante dell’altro affinché gli rimandi una traccia di sé, in un gioco di specchi tra realtà e finzione.


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