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sabato 26 settembre 2020

Hannah Villiger e il corpo frammentato

Ich fotografiere mich selbst.
Ich bin mein nächster Partner und der mir naheliegendste Gegenstand.
Ich horche in meiner Polaroidkamera an meinem nackten, kahlen Körper entlang, um ihn herum, in ihn hinein, durch ihn hindurch. 

(Io fotografo me stessa. Sono il mio partner più stretto e il mio soggetto più ovvio. Con la mia macchina fotografica Polaroid ascolto il mio corpo nudo e glabro, intorno, dentro, attraverso di esso.)

Hannah Villiger 

L’artista svizzera Hannah Villiger, nonostante si definisse una scultrice (chiamava le sue mostre “sculture”), è riconosciuta a livello internazionale per il suo lavoro fotografico. Dall’inizio degli anni Ottanta fino al termine della sua breve vita (muore nel 1997), abbandona la tridimensionalità della materia plasmabile preferendo la superficie bidimensionale della pellicola impressa. Utilizza la Polaroid per esplorare il proprio corpo, in un dialogo solitario, appassionato e tormentato, con se stessa, anche perché stava già affrontando l'isolamento causato dalla tubercolosi, che aveva contratto a 29 anni.

Hannah Villiger impugna la macchina e la punta contro di sé, a volte senza nemmeno guardare, esplorando la superficie del corpo alla breve distanza permessa dalla lunghezza del proprio braccio. Adopera lo sguardo ravvicinato di uno scultore, anche se la forma finale è priva dell’unità organica dell’opera scultorea. Deve per forza contorcersi in strane posizioni per arrivare a comporre i suoi lavori, una pratica che bene illustra la descrizione di Marshall McLuhan della macchina fotografica come protesi, un'estensione degli organi del corpo. Noi non abbiamo accesso a quelle performance (nessuno l'ha mai fotografata in azione); possiamo vedere solo il risultato finale, un autoritratto frammentario e scomposto, fatto di parti disgregate e di volumi esasperati dalla luce, dove la composizione assegna nuove definizioni alle strutture e ai volumi del corpo.

Hannah Villiger, 290 Block I , 1988, 12 polaroid a colori

I dettagli sono ravvicinati, le proporzioni annullate. Gambe, piedi, mani fluttuano nel vuoto come liberi dalla forza di gravità. A volte l'artista usa dei piccoli specchi che raddoppiano i particolari rendendo il corpo ancora più astratto. Come scrive Claudia Spinelli (in Necessità esistenziale), Hannah Villiger ha ridato vita all'astrattismo concettuale, infondendolo letteralmente di "carne e sangue" e riuscendo di conseguenza a dargli una nuova dimensione. Inoltre, nei suoi "autoritratti", in cui si fatica a capire a volte se si tratta del corpo di una donna o di un uomo, l’artista scavalca la suddivisione dei generi maschile-femminile. 

Il suo lavoro non espone mai un’immagine narcististica di sé, bensì una materialità corporea segmentata, discontinua e anonima, molto lontana dalle istanze di identità di genere che avevano caratterizzato le ricerche fotografiche delle artiste di oltre un decennio prima.

Definendosi sempre scultrice, cerca, attraverso le sue fotografie ingrandite e presentate in griglie complesse e ritmiche (i Block) di rivelare le proprietà di un corpo, plasmato da registrazioni meccaniche e sfidando la logica dell’immagine e del ritratto tradizionale. 

Arbeit, 1980-81.

Hannah Villiger si concentra sul proprio corpo senza farne una storia privata. Certo le immagini sono intime nel senso che si tratta del suo corpo nudo, i tempi sono autobiografici, ma le immagini non si chiudono nella sfera interiore dell’artista, né avviano un'indagine sull'identità femminile o sul corpo sociale, né tantomeno ostentano una provocatoria affermazione della sessualità. Avvicinandosi al suo corpo vivo e sottoposto ai segni del tempo e della malattia, l’artista l'ha astratto da un'interpretazione univoca. La sua carne è il suo materiale plastico, il soggetto della sua opera con la quale interroga la condizione umana, in una modalità al confine tra osservazione intima e cattura oggettiva, liberata da ogni vincolo concreto di natura autobiografica, narrativa o sociale e senza imporre alcun voyeurismo allo spettatore.

Hannah Villiger, Arbeit Work, 1980-81


Block XXVI, 1990-92

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