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giovedì 28 febbraio 2019
Le grottesche di Leonardo
Accanto all’esaltazione della bellezza e dell’armonia delle forme, l’arte del Quattrocento conosce anche l’affermazione del disegno grottesco e caricaturale, che trova in Leonardo una fortunata espressione. Insieme alla perfezione ideale del corpo apollineo, recuperato dal canone classico, si svolge un filone dionisiaco, che privilegia l’eccesso e l’abnorme. Alla bellezza rarefatta che incanta e delizia gli occhi viene opposta la moltitudine delle possibili deviazioni e aberrazioni: se il bello ideale è unico, inaccessibile se non per delicate approssimazioni, il brutto prolifera per sua natura e le sue metamorfosi e sfaccettature sono inesauribili.
Questa predilezione per il bizzarro, il grottesco e il mostruoso caratterizza non solo la produzione grafica del genio di Vinci, ma anche quella letteraria (favole, facezie, indovinelli, motti arguti), in particolare del periodo milanese. La contrapposizione e ambivalenza di bellezza e bruttezza, giovinezza e vecchiaia, comicità e tragicità, permea il suo linguaggio immaginifico, negli scritti come nei disegni, da ascrivere non tanto a un fine di satira etico-politica sui mali della società del suo tempo (che pure è presente, conferendo un’aura insieme beffarda e amara a questo tipo di produzioni), quanto piuttosto alla sua incessante ricerca sull’anatomia e la fisiognomica, a una curiosità scientifica, pertanto, al suo imperante desiderio di non lasciare nulla di inesplorato della varietà morfologica della natura, persino la mostruosità o il decadimento fisico e la corruzione del corpo.
domenica 24 febbraio 2019
Misura di tutte le cose: l’Uomo Vitruviano di Leonardo
Il disegno di Leonardo, conosciuto come l’Uomo Vitruviano, è una delle immagini più iconiche della storia, ripresa e rimaneggiata all’infinito, soprattutto nell’ultimo secolo. Ce l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, visto che compare anche sulle monete da 1 euro. Nata alle soglie dell’età moderna, rappresenta sicuramente uno dei simboli fondamentali del Rinascimento e, non è azzardato affermarlo, dell’intera civiltà occidentale.
Leonardo, che aveva compiuto lunghi studi di anatomia, praticando numerose dissezioni autoptiche, arrivato a Milano cerca di riprodurre in immagine quanto contenuto all’interno del De Architectura (15 a.C.) dell’architetto romano Marco Vitruvio Pollione, secondo il quale l’edificio perfetto è quello che riproduce le proporzioni armoniche del corpo umano. Nel 1490 Leonardo realizza allora questo disegno a matita e inchiostro su carta, attualmente conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, che raffigura il corpo umano ideale e dalle proporzioni perfette, che si erge stabile e insieme dinamico, armoniosamente inscritto nelle due figure geometriche del cerchio e del quadrato. Tale disegno è, altresì, un’efficace sintesi di spirito scientifico e intuizione artistica (essendo Leonardo insieme artista e scienziato) e in questo l’Uomo Vitruviano si rivela figura paradigmatica del rapporto rinascimentale tra arte e scienza. A partire dalla seconda metà del Quattrocento, infatti, indagine scientifica e operare artistico sono due attività fortemente congiunte, in quanto hanno entrambe lo stesso oggetto di studio e utilizzano gli stessi strumenti matematici.
sabato 23 febbraio 2019
Il corpo umano nel Rinascimento. Masaccio e gli affreschi della Cappella Brancacci
Il XV secolo è caratterizzato da nuove condizioni politiche, sociali, economiche e culturali che favoriscono una nuova concezione dell’arte e, con essa, una nuova rappresentazione del corpo umano. Se l’iconografia medievale ruotava per lo più intorno a questioni di carattere religioso, già con lo stile cortese si era verificato un progressivo allontanamento dalla sfera sacrale e una progressiva secolarizzazione dell’immagine.
L’Umanesimo porta con sé una nuova visione dell’uomo, alquanto diversa da quella elaborata dal Medioevo. La nuova cultura attua una celebrazione laica del corpo umano, nel quale viene riconosciuto il microcosmo perfetto, che riassume e riflette il macrocosmo, cioè la struttura complessiva dell’universo, e ne costituisce l’elemento più degno. Lo stesso universo è considerato quasi un’estensione dell’uomo, per cui la conoscenza del corpo è uno strumento privilegiato di conoscenza delle leggi del mondo.
lunedì 18 febbraio 2019
“La morte è iconofila”. I ritratti commemorativi post mortem
L’antico mito della figlia del vasaio Butade, che tracciò su una parete il profilo dell’ombra del suo amato prima che questi partisse per la guerra, testimonia come il bisogno di conservare l’effigie dei nostri cari si perda lontano nei secoli.
Argomento di questo testo è il ritratto commemorativo post mortem, cioè eseguito a un defunto, una pratica molto comune nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento. D’altra parte, il ritratto ha un’origine chiaramente funeraria, derivante dalla pratica di ricavare il calco o di ritrarre le sembianze del morto prima della definitiva sepoltura, per conservarne, attraverso l’immagine, la memoria (si veda ad esempio i ritratti del Fayoum. Ne ho parlato qui:
https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.com/2017/05/sguardi-lo-sguardo-eterno-i-ritratti.html.
domenica 17 febbraio 2019
Ritratti all'epoca della Grande Depressione
Dorothea Lange, Migrant Mother, 1936. |
Nel 1935, in piena Depressione, prese il via un grande progetto di fotografia sociale, quello promosso dalla Farm Secuity Administration di Roy Stryker. Alcuni fotografi, tra i quali Walker Evans, Dorothea Lange, Theodor Jung, Arthur Rothstein, Ben Shahn, John Collier, Carl Mydans, Russell Lee, sono incaricati di ritrarre l’America rurale colpita dalla crisi economica e dalle carestie, che avevano ridotto gli stati centrali, la cosiddetta corn belt - fascia del granturco, in una vera dust bow, una conca di polvere, provocando un vero e proprio esodo verso la costa: le strade statali 61 e 80 sono invase da colonne di camion, carri, uomini a piedi o con qualsiasi mezzo di fortuna in viaggio, soprattutto verso la California. L’intento della FSA non è solo documentale, ma anche propagandistico: convincere la società americana della necessità della politica di rilancio dell’agricoltura, come messa a punto dal New Deal rooseveltiano, e realizzare un ritratto eroico dell’America in tempo di crisi. L’obiettivo era mostrare come quel terzo dell’America che, come diceva Roosevelt era “mal nutrito, mal vestito e male alloggiato”, non fosse un’invenzione della propaganda ma una realtà a cui bisognava far fronte.
mercoledì 13 febbraio 2019
Ritratti di migranti e di lavoratori. La fotografia umanistica di Lewis Hine
Lewis W. Hine, Child Coal Mine Workers, 1911 |
Nella fotografia di tipo antropologico e sociologico in genere, il corpo del singolo individuo ritratto assume i connotati della sineddoche (la parte per il tutto). Così una donna affetta da isteria rappresenta la sua malattia, il ritratto del colpevole di qualche reato diviene l’immagine di quel particolare crimine, la fotografia di un uomo ebreo assume su di sé la rappresentazione della “razza ebraica” (usando l’aberrante espressione di quei tempi).
Per la sua capacità oggettiva di riprendere il reale, ma anche di connotarlo in senso generale e tassonomico, la fotografia, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, viene anche impiegata come documento di denuncia sociale. A partire dal 1868 Thomas Annan documenta i quartieri più poveri di Glasgow e nel 1877 John Thompson pubblica alcuni scatti che documentano la vita delle classi lavoratrici londinesi. Nel 1907, su richiesta del governo Giolitti, il demografo Francesco Coletti intraprende un’inchiesta sulle condizioni dei contadini e dei minatori, facendo uso della fotografia come strumento di ricognizione visiva.
La fotografia sociale si diffonde rapidamente anche negli Stati Uniti i quali, a cavallo dei due secoli, si ritrovano a fronteggiare nuovi problemi interni, in primo luogo l’immigrazione di massa dall’Europa meridionale e orientale, e poi il lavoro minorile in condizioni precarie, la povertà di alcuni stati in prevalenza agricoli, il degrado delle periferie urbane, fenomeni che favoriscono l'emergere di una serie di movimenti di riformisti che richiedono un maggiore intervento politico in campo economico e sociale. Tra i primi a cercare di documentare visivamente le condizioni delle classi operaie e contadine troviamo Jacob Riis e Lewis Wicker Hine.
domenica 10 febbraio 2019
I Ritratti del XX secolo di August Sander
La fotografia positivista ottocentesca tratta il corpo essenzialmente come oggetto catalogabile e non come sembiante di un individuo con un’identità sua propria. Il ritratto giudiziario, quello medico e quello etnografico si interessano ai tipi generali e anche la fotografia che studia il corpo come macchina in movimento non prende in considerazione la particolarità del soggetto ripreso, anzi si sforza di mantenerla nascosta dietro il puro dato anatomico, studiato anch’esso nella sua impersonale generalità.
La documentazione tipologica della figura umana passa il confine del secolo e approda nella Germania degli anni ’10 e ’20, periodo in cui il fotografo August Sander intraprende l’ambizioso progetto di documentare e classificare le tipologie sociali dell’uomo tedesco, poi pubblicato nel celebre Menschen des 20. Jahrhunderts Portraitphotographien 1892 – 1952 (Ritratti del Ventesimo Secolo), citato da Benjamin come esempio di immagini private di ogni aura e dal potenziale conoscitivo ed educativo, in grado di rivendicare alla fotografia una funzione sociale e politica, piuttosto che estetica. “L’opera di Sander è più di una raccolta di fotografie: è un atlante su cui esercitarsi”, scriveva nel 1931 nella sua “Piccola storia della fotografia”. In quelle immagini, infatti, egli coglieva la crisi del ritratto borghese e di rappresentanza e l’emergere di un nuovo soggetto, il volto di un’intera epoca, l’Antlitz der Zeit, insomma, come recitava il titolo del primo libro di Sander, pubblicato nel 1929. Questo era introdotto da un testo di Alfred Döblin, il quale scriveva: “Di fronte a questi ritratti incontriamo la forza collettiva della società umana, della classe, del livello culturale… si tratta di un ampliamento del nostro campo visivo”.
venerdì 8 febbraio 2019
Corpi in movimento
Muybridge |
L’Ottocento borghese trova espressione nell’ideologia positivista, il cui credo consiste nella convinzione che i fatti osservabili e quantificabili avrebbero prima o poi portato a una conoscenza globale della natura e della società, al fine di controllarle entrambe. A questo scopo, la scienza scopriva un valido alleato nella fotografia, grazie alla capacità di quest’ultima di riprodurre fedelmente la realtà e di permettere di osservarla e di quantificarla meglio di quanto potesse fare l’occhio umano, e di pervenire così alla verità di dati oggettivi. La fotografia, intesa come documento inconfutabile, sembrava incarnare i principi dell’episteme positivista; con la sua vocazione realistica, avrebbe offerto un fondamentale sostegno all’impegno empirico della scienza, nell’obiettivo di portare luce su tutti i fenomeni osservabili.
Il ritratto del criminale
Album of Paris Crime Scenes - Attributed to Alphonse Bertillon. |
Nell’Ottocento l’impostazione positivistica della conoscenza e l’impiego della fotografia sono alleate in un processo che mira alla schedatura della diversità, cioè alla realizzazione di archivi onnicomprensivi della devianza, concepita come allontanamento da un modello di normalità, sia per scopi conoscitivi che di controllo sociale. La seconda metà dell’Ottocento, in particolare, è caratterizzata da un acceso dibattito sulla necessità di adottare un metodo di riconoscimento dei criminali. Metodi atavici e barbari come la marchiatura a fuoco e l’incisione della pelle non sono più consentiti, ma si impone sempre più l’esigenza di una verifica dell’identità personale. A questo viene incontro la fotografia segnaletica, un metodo ‘civile’ e moderno per marchiare l’anomalia, riconoscerla e sorvegliarla.
sabato 2 febbraio 2019
Il teatro della follia alla Salpêtrière. La fotografia e l'invenzione dell'isteria
E' il 1851 l’anno dell’incontro tra due pratiche nate da poco, quella fotografica e quella psichiatrica. Il primo medico ad adoperare la fotografia come supporto visivo alla documentazione e al trattamento dei propri pazienti (la maggior parte dei quali erano donne) fu Hugh Welch Diamond. Ma il più famoso utilizzo della fotografia in connessione con la malattia mentale nell’Ottocento è senz’altro quello compiuto dal neurologo Jean-Martin Charcot, direttore dell'ospedale psichiatrico di Parigi, la Salpêtrière, in cui, sin dal 1690, venivano rinchiuse soprattutto donne “alienate, debosciate, instabili” e definito dallo scrittore e giornalista Jules Clarétie “la Versailles del dolore”.
Pierre Aristide Andre Brouillet, Une leçon clinique à la Salpêtrière, 1887, Paris Descartes University.
Pierre Aristide Andre Brouillet, Une leçon clinique à la Salpêtrière, 1887, Paris Descartes University.
Follia - I “Monomanes” di Géricault
Solo tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento la follia comincia ad essere riconosciuta come malattia mentale (non più come possessione o influsso esercitato da forze malefiche) e nasce la psichiatria come scienza medica, autonoma dalla morale e dalla religione.
Si comincia ad avvertire l'esigenza di circoscrivere la follia come patologia ben specifica, distinta dalle altre forme di emarginazione, e di seguirne il decorso in modo da conoscerne manifestazioni ed esiti. Per questo i primi psichiatri «liberano» gli alienati dalle catene e dal sistema coercitivo, come premessa ad un diverso intervento, che fosse di analisi e di cura. Il primo psichiatra ad adottare queste misure è Philippe Pinel, di cui sarà allievo il dottor Esquirol. Egli è il primo che cerca di classificare sistematicamente i problemi mentali, tentando un approccio che comprende nosologia e intervento terapeutico.
Théodore Géricault, Alienata con monomania dell’invidia (La iena della Salpetrière), 1822-23, Musée des beaux arts de Lyon.
Nasce così la clinica psichiatrica e prendono forma i primi Trattati. Questa rudimentale psichiatria si serve di una disciplina come la fisiognomica, che cerca di dedurre le caratteristiche psichiche (e la qualità morale) di una persona dai suoi caratteri somatici, in particolar modo quelli della testa e del viso. L'assunto di base è dunque quello per cui i caratteri della malattia possono essere letti sui volti dei pazienti. In relazione a ciò, le rappresentazioni artistiche di questo periodo sono stimolate dalla nascita di tali studi, in alcuni casi vengono addirittura richieste dagli stessi medici, che necessitano di avere maggior materiale a disposizione, per la comprensione e la descrizione di episodi di disagio psichico. Il dottor Esquirol dichiarerà che, nel 1818, aveva fatto disegnare i ritratti di più di 200 alienati per pubblicare le sue osservazioni in merito.
Si comincia ad avvertire l'esigenza di circoscrivere la follia come patologia ben specifica, distinta dalle altre forme di emarginazione, e di seguirne il decorso in modo da conoscerne manifestazioni ed esiti. Per questo i primi psichiatri «liberano» gli alienati dalle catene e dal sistema coercitivo, come premessa ad un diverso intervento, che fosse di analisi e di cura. Il primo psichiatra ad adottare queste misure è Philippe Pinel, di cui sarà allievo il dottor Esquirol. Egli è il primo che cerca di classificare sistematicamente i problemi mentali, tentando un approccio che comprende nosologia e intervento terapeutico.
Théodore Géricault, Alienata con monomania dell’invidia (La iena della Salpetrière), 1822-23, Musée des beaux arts de Lyon.
Nasce così la clinica psichiatrica e prendono forma i primi Trattati. Questa rudimentale psichiatria si serve di una disciplina come la fisiognomica, che cerca di dedurre le caratteristiche psichiche (e la qualità morale) di una persona dai suoi caratteri somatici, in particolar modo quelli della testa e del viso. L'assunto di base è dunque quello per cui i caratteri della malattia possono essere letti sui volti dei pazienti. In relazione a ciò, le rappresentazioni artistiche di questo periodo sono stimolate dalla nascita di tali studi, in alcuni casi vengono addirittura richieste dagli stessi medici, che necessitano di avere maggior materiale a disposizione, per la comprensione e la descrizione di episodi di disagio psichico. Il dottor Esquirol dichiarerà che, nel 1818, aveva fatto disegnare i ritratti di più di 200 alienati per pubblicare le sue osservazioni in merito.
venerdì 1 febbraio 2019
Il corpo fotografato diventa dato scientifico
Guillaume-Benjamin-Armand Duchenne de Boulogne, Adrien Tournachon, Tavole, c. 1856. |
Il corpo umano trattato dalla fotografia in quanto oggetto di studio e di ricerca antropologica e scientifica è un corpo privo di ogni riferimento alla personalità e all’identità individuale del soggetto, il quale retrocede alla funzione di exemplum, di esemplare.
Innanzitutto, ciò che accade con l’avvento dell’immagine fotografica, è una progressiva espansione, sia in termini qualitativi che quantitativi, della visibilità del corpo umano, e ciò sarà determinante soprattutto nell’impiego della fotografia in campo scientifico e medico.
La fotografia apre nuove possibilità per la medicina e per la scienza di stampo positivista, perché si nutre grande fiducia nel suo valore conoscitivo, in quanto considerata assimilabile alla prova scientifica (grazie alla sua natura di traccia automatica operata dalla luce). Con la scienza, infatti, la fotografia condivide lo stesso modo di porsi nei confronti del mondo: l’obiettività e la neutralità. Il corpo diventa oggetto di ricerca scientifica secondo modalità fotografiche, le quali consistono nell’isolare il corpo medesimo in uno spazio ristretto davanti a uno sfondo neutro, nel sottometterlo a una luce chiara e a uno sguardo non restituibile, nel controllarne i gesti e la postura, nel frammentarlo in diverse parti.