Pagine

lunedì 24 settembre 2018

La Natura morta del Seicento



Il Seicento è il secolo della crisi, caratterizzata innanzitutto dalla perdita della visione antropocentrica propria dell'età umanistico-rinascimentale, ossia della fiducia nelle potenzialità dell’uomo di dominare la natura e l’universo e di essere artefice del proprio destino. Con l'affermarsi del modello eliocentrico, che soppianta quello geocentrico, l’uomo del Seicento scopre di non essere più al centro dell’universo e di non avere pertanto dei saldi punti di riferimento. In secondo luogo, la dilatazione dei confini geografici del mondo, dopo la scoperta dell’America e lo spostamento conseguente del baricentro economico dal Mediterraneo all’Atlantico, determinano la decadenza economica dell’Italia, l’emergere di nuove potenze commerciali e coloniali (Paesi Bassi e Inghilterra) e la crisi della centralità dell'Europa. Inoltre, con il Seicento, vengono meno anche i tradizionali punti di riferimento politici e religiosi: in quest'epoca trova compimento, infatti, il processo inarrestabile di crisi che aveva investito le due istituzioni cardine del Medioevo, la Chiesa e l’Impero. All’unica chiesa cattolica si sono affiancate numerose chiese riformate (luterana, calvinista ecc.) e all’impero numerosi stati nazionali, più o meno estesi. Il Seicento è inoltre segnato dalle sanguinose guerre di religione, dalla Guerra dei Trent'anni, dalle epidemie di peste e dalle crisi economiche. Di qui il senso di profondo smarrimento, di insicurezza, di instabilità del reale, delle ingannevoli apparenze, di transitorietà del tutto che caratterizza questo secolo.

Eppure, non si esaurisce in questo l'identità di un'epoca che è, al contempo, di grande ricchezza e complessità e che vede emergere alcune caratteristiche di quella che siamo soliti chiamare "modernità": il Seicento è infatti il secolo del razionalismo, della rivoluzione scientifica e del Barocco. Ma è anche il secolo in cui si affermano, come generi del tutto autonomi, nuovi ambiti pittorici: la natura morta, la pittura di paesaggio e quella della scena di genere.

Definizione di natura morta
La natura morta è un tipo di rappresentazione pittorica in cui protagonisti sono degli oggetti inanimati (frutta, fiori, crostacei, pesci e selvaggina morta, libri, strumenti musicali e oggetti di vario tipo) collocati nello spazio in una forma indipendente dalla logica del racconto. In questo tipo di pittura, dunque, è assente l'uomo, il semidio dell'arte rinascimentale.
E’ un genere destinato soprattutto al godimento privato di un pubblico nuovo, formato da collezionisti, amatori, esperti, che apprezza un’opera d’arte a prescindere dal soggetto rappresentato e fa del piacere estetico un valore a sé stante.


Pieter van Boucle, Still-Life, prima metà del XVII sec. - Public Domain via Wikipedia Commons

L'espressione ‘natura morta’ deriva dal francese nature morte, che fa la sua apparizione nel 1750 (nella Lettre sur la peinture à un amateur di Baillet de Saint Julien). Fino a quel momento il genere pittorico in questione veniva indicato con un termine che significa 'natura silenziosa': Stilleven (olandese), Stilleben (tedesco), Still-life (inglese). Con queste espressioni si voleva indicare il carattere “immobile” del soggetto rappresentato, in opposizione alla rappresentazione della figura umana, che doveva essere colta nella mutevolezza dell’espressione.
L’espressione “natura morta” implica un giudizio di valore negativo rispetto alla 'natura vivente' della pittura che ha per protagonista l’uomo (pittura religiosa e di storia).
Proprio nel XVII secolo in tutta Europa cominciano a costituirsi le Accademie d’Arte, che si dotano di statuti nei quali i vari generi pittorici vengono ordinati secondo una gerarchia che segue sostanzialmente lo schema di derivazione neoplatonica della scala creaturarum, per la quale il mondo reale è strutturato come una sorta di piramide il cui livello più basso è occupato dagli oggetti inanimati (quelli per ognuno dei quali si può solo predicare la semplice esistenza: est), cui seguono quelli animati (est, vivit), poi quelli senzienti (est, vivit, sentit) e infine l'uomo (est, vivit, sentit, intelligit) che, in quanto dotato di raziocinio e di un'anima immortale, è al vertice della creazione.
A partire da questa stratificazione ontologica, si può spiegare il giudizio negativo dato alla natura morta che, avendo per soggetto una natura immobile e inanimata (natura inferior), appartiene al rango più basso della gerarchia dei generi pittorici.  Al di sopra di essa c’è la pittura di paesaggio, che raffigura scenari naturali nei quali la presenza dell’uomo ha un'importanza marginale e, più su ancora, la scena di genere, nella quale protagonista è la vita della gente comune, presentata nei suoi aspetti più quotidiani e intimi (il lavoro, i divertimenti, la vita familiare, ecc).


Cristoforo Munari (1667 – 1720), Libri, porcellane cinesi, vassoio di frutta, bauletto, vasetto di fiori e teiera su tavolo coperto da tovaglia rossa

Ai vertici di questa gerarchia c'è la pittura storica, che attinge alla storia sacra, alla mitologia, alla letteratura, alla Historia res gestae, e che ha quindi per protagonista l’uomo (non quello comune, ma il santo, l'eroe, il condottiero o l'uomo di potere) e le sue azioni esemplari, valorose e di pubblico interesse.
In questa scala, grande valore riveste la considerazione temporale: se la pittura sacra e mitologica attingono alla sfera dell’eternità e del non transeunte, e quella di storia pubblica o privata ritrae avvenimenti e date precisi di cui immortalare la memoria, la natura morta invece non fa altro che immobilizzare un infimo frammento di tempo, traendolo dal flusso quotidiano dell’esistenza delle cose effimere e caduche. La natura morta è pura presenza di cose; essa cristallizza un istante, senza alcun intento narrativo.
La centralità assegnata nella natura morta al mondo delle cose inanimate esclude la presenza diretta dell’uomo per concentrarsi sulle proprietà degli oggetti: le forme e i volumi, la materia, il colore e la reazione alla luce. L’abilità del pittore consiste nel selezionare tali oggetti, disporli nello spazio affinché diventino “presenze” e ordinarli in un’unità figurativa in sé compiuta.

Il problema delle origini
Nonostante i molti studi e dibattiti, gli studiosi non sono ancora riusciti a stabilire con certezza se le origini di questo genere pittorico risiedano in Italia o nel Nord Europa.
A sostegno dell’origine italiana si apporta l’argomento dell’esistenza di nature morte già in epoca classica, la cui tradizione viene ripresa in epoca rinascimentale, caratterizzata da un forte impulso all'indagine empirica della natura e alla sua rappresentazione.
L'arte antica ha conosciuto un genere pittorico assimilabile alla natura morta moderna: ne abbiamo le testimonianze sia in fonti scritte sia in alcune pitture parietali (soprattutto dell’area vesuviana) e in alcuni mosaici pavimentali pervenutici. E’ attualmente difficile distinguere l’intento ornamentale dalla destinazione funzionale (di arredo funebre, offerta votiva, omaggio conviviale) di queste immagini.
Gli affreschi parietali erano chiamate xenia: si usava cioè lo stesso termine che indicava i 'doni ospitali', vale a dire i cibi freschi (frutta, verdure, uova, formaggi...) che gli ospiti trovavano nelle proprie stanze come dono da parte del padrone di casa.


Affresco, Villa di Poppea, Oplontis (Torre Annunziata)

Dalla vita quotidiana prende spunto anche un tipo particolare di natura morta, proprio dei mosaici pavimentali: l'asarotos oikos (stanza non spazzata), vale a dire la raffigurazione dei resti di un banchetto - lische di pesce, bucce di frutta, gusci di molluschi, ecc - su un pavimento. Il suo inventore, Sosos di Pergamo (II sec. a.C.), potrebbe essersi ispirato a una pratica devozionale, per la quale le vivande cadute da tavola erano destinate al culto familiare dei defunti.


Mosaico pavimentale romano al Museo del Bardo a Tunisi

Di entrambi i tipi di rappresentazione, alcune testimonianze scritte, come quelle di Plinio e di Filostrato il Vecchio, evidenziano il carattere illusionistico (la frutta e le vivande rappresentate sono rese in modo talmente preciso da sembrar veri) e il rimando all’idea di vanità delle cose.
E’ emblematico che xenia e asarotos nascano in epoca ellenistica, quando l'interesse cioè si sposta dall'Uomo ideale (al centro dell'arte classica) all'Uomo immerso nella realtà, mutevole e transitoria.
I sostenitori dell’origine nordica della natura morta mettono in campo soprattutto l’incidenza di alcuni fattori socio-culturali propri dell’Europa Settentrionale, gli stessi che sono alla base anche dell’affermazione della pittura di paesaggio e della scena di genere: l'assenza di una tradizione accademica di impostazione classicista, che considera nobile solo la pittura di storia; la ventata iconoclasta delle frange oltranziste della Riforma contro le immagini di culto, che favorisce la diffusione di soggetti di contenuto profano; il ruolo predominante assunto dalla ricca borghesia mercantile, caratterizzata da nuovi gusti in fatto di arte, più orientati verso dipinti decorativi di oggetti, di interni o di paesaggi e che vede nella raffigurazione delle 'merci', che sono alla base del suo successo, la celebrazione del suo nuovo status e della sua ricchezza; l'amplissima diffusione del genere in centri specializzati di produzione (mentre in Italia il fenomeno ha avuto per lo più un carattere episodico).
Molto probabilmente la verità è che questo genere non ebbe una sola origine, ma nacque in situazioni e ambienti diversi, quelli dove maggiore era stata e continuava l’attenzione degli artisti al dato “naturale”: le Fiandre (in particolare Anversa) e l’Italia settentrionale. Queste due grandi aree, peraltro, sono caratterizzate da così stretti scambi e influssi reciproci che è lecito pensare che le origini di questo genere pittorico stiano proprio in questo intreccio di stimoli che si influenzano a vicenda.
In entrambe queste zone, già a partire dal XV secolo, si assiste a un rinnovato interesse per la rappresentazione delle 'cose', oggetti inanimati che in vario modo fanno da sfondo all'agire umano. Sempre più, infatti, nelle opere pittoriche appaiono vere e proprie nature morte, rese con accurato realismo e illusionisticamente convincenti, anche se concepite solo come arricchimento della scena principale, incentrata su un soggetto 'storico'. In area nordica, in particolare, le stesse pitture a soggetto sacro, così come i ritratti, sono caratterizzati da una estrema attenzione per i dettagli di arredo e per le cose inanimate, che rivelano il ruolo o il carattere del personaggio raffigurato. Esemplificativo è il San Girolamo nel suo studio di Jan Van Eyck (1435-40), con la sua natura morta di libri e oggetti vari tra cui una clessidra, un rigo, un'ampolla, un astrolabio e strumenti per la scrittura, che fanno del personaggio il prototipo dell'uomo di cultura del Rinascimento. E numerosi altri esempi possono trarsi dalle opere di Roger Van der Weyden, Hugo Van der Goes e Petrus Christus.


Jan van Eyck, San Girolamo nello studio, 1442,  Detroit Institute of Arts

Nel XVI secolo questo interesse per le 'cose' si rafforza e si consolida l’attitudine alla rappresentazione realistica propria nel Rinascimento. Quest’ultimo aveva messo in campo un nuovo approccio empirico allo studio della natura, lo stesso che animava lo studio, ad esempio, di Leonardo da Vinci, artista e scienziato, o del tedesco Albrecht Dürer. Illustrazioni e immagini “scientifiche” conoscono nel Cinquecento una grande diffusione, parallela al consolidarsi della riproduzione fedele di ogni fenomeno naturale tramite l’accurata osservazione dal vero.
L’attenzione per vegetali e animali è evidente nella fervida produzione e pubblicazione di tavole scientifiche che illustrano con precisione il mondo naturale. Si ricordino a questo proposito le opere di botanici come Konrad Gessner e Ulisse Aldrovandi, oppure le illustrazioni di animali e piante eseguite dal pittore veronese Jacopo Lingozzi.


Ulisse Aldrovandi, Specimens of Nature, seconda metà del XVI sec., Biblioteca Università di Bologna

L’esperienza tardomanierista di alcuni artisti, come il cremonese Vincenzo Campi e i bolognesi Annibale Carracci e Bartolomeo Passarotti, riprende la coeva esperienza fiamminga di autori come Aertsen e Beuckelaer, componendo grandi apparati di “mercati”, di “cucine” e di “macellerie” in cui donne procaci e popolani dai volti grotteschi presentano un trionfo di mercanzia di ogni tipo: frutti invitanti, grandi tagli di carne, pesci, pollame e selvaggina. Si tratta di un campo di immagini legate al tema dell’abbondanza del cibo, e quindi della ricchezza e dell’opulenza.


Vincenzo Campi, La fruttivendola, 1580 - Public Domain via Wikipedia Commons

E’ proprio in area lombarda che appaiono i primi esempi italiani di natura morta autonoma. Questa Fruttiera di persici (pesche) del milanese Ambrogio Figino costituisce infatti la prima natura morta pura (totalmente affrancata da contesti figurativi di altro genere), che anticipa di qualche anno la famosa fiscella del Caravaggio.


Ambrogio Figino, Natura morta con pesche e foglie di vite, 1591-94

Intorno alla metà del XVI secolo, anche nella pittura dei Paesi Bassi le 'cose' assumono sempre più importanza. Ne è un esempio Pieter Aertsen, nei cui quadri religiosi l'episodio sacro è collocato in secondo piano, mentre buona parte dello spazio appare occupato da una esposizione di cibi di ogni genere.


Pieter Aertsen, Christ in the House of Martha and Mary, 1553, Museum Boijmans Van Beuningen Rotterdam

Sia Pieter Aertsen che il suo allievo Joachim Beuckelaer realizzano numerose opere in cui l’esibizione di vivande in primo piano accompagna ancora la rappresentazione del racconto religioso relegato sullo sfondo (soprattutto l’episodio del Cristo nella casa di Marta e Maria o quello della Cena in Emmaus), ormai ridotto a insignificante pretesto narrativo (qui). Ma, a poco a poco, questo riferimento sacro scompare del tutto e si diffondono sempre più le rappresentazioni di scene di mercato e di cucina, un vero tripudio di cibi di ogni tipo, nelle quali alcuni studiosi vedono le origini vere e proprie della natura morta.


Joachim Beuckelaer - Market Woman with Fruit, Vegetables and Poultry, 1564, Museum Schloss Wilhelmshöhe, Kassel

Alla fine del XVI secolo la natura morta si emancipa, divenendo a tutti gli effetti un vero e proprio genere autonomo. Riesce ad affrancarsi dal ruolo di decorazione e completamento (parergon) cui era stata relegata e diventa protagonista esclusiva del quadro (ergon).
La prima natura morta a tutti gli effetti, compiuta realizzazione del genere, viene considerato il celebre Canestro con frutta del Caravaggio, realizzato a Roma intorno al 1596, il quale si sporge verso lo spettatore con splendido realismo trimensionale.


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Canestro di frutta, 1596 ca., Pinacoteca Ambrosiana, Milano

Le tipologie di natura morta
Il Seicento è il secolo d'oro della natura morta, particolarmente nell'Europa del Nord (ma anche in Italia e Spagna). Si registra una notevole richiesta di questo genere di quadri, per lo più da parte di un nuovo pubblico di acquirenti di estrazione borghese. Il grande incremento della domanda favorisce un processo di specializzazione, con l'individuazione di 'sottogeneri' legati al contenuto predominante dei quadri e con denominazioni specifiche. Gli artisti, perciò, si specializzano nella realizzazione di nature morte che hanno per tema il cibo, oppure i fiori, oppure gli strumenti musicali e altri oggetti che costituiscono una tipologia particolare di natura morta, detta vanitas (tema, peraltro, al quale alludono spesso le nature morte in generale).
In base alla quantità e alla disposizione dei cibi si fa una distinzione fra angolo di cucina, colazione e tavola imbandita, una suddivisione che parte dal luogo in cui il cibo è semplicemente accumulato fino a quello in cui è ordinato e composto nell’ufficialità del banchetto.
Il sottogenere “angolo di cucina” indica l'accumulo di cibi e utensili sopra o sotto tavoli e mensole, esempio di abbondanza ma anche di transitorietà.


Jacopo Chimenti, Dispensa con trancio di cinghiale, pasticcio e anatra, 1624

Questo è un esempio della variante spagnola del bodegón, cioè l'angolo in muratura su cui vengono appoggiati e appesi ortaggi e carni di consumo quotidiano.


Juan Sanchez Cotán , Natura morta, 1600-03, Art Institut of Chicago

L’accumulo dei cibi è forse il sottogenere più corposo. Particolare fortuna hanno le rappresentazioni con pesci e cacciagione.


Frans Snyders, Market Scene on a Quay. circa 1635-1640, North Carolina Museum of Art

Il sottogenere della “colazione” nei cataloghi dell'epoca è chiamata ontbijt. Si sviluppa in particolare in area fiamminga e tedesca.
Su una porzione di tavolo sono collocati, con una disposizione apparentemente casuale e in quantità limitata, cibi e suppellettili in vetro, metallo o ceramica. Prevale il punto di vista ravvicinato, che accompagna una descrizione analitica, con effetti di vero trompe-l'oeil.
I cibi in genere sottendono un significato particolare, spesso religioso: vino, pane e uva sono simboli eucaristici; a Cristo alludono pesci e noci; la mela richiama il peccato originale, burro e formaggio associati alludono allo spreco, le ostriche alla voluttà, la buccia arrotolata del limone alla fugacità del tempo. E così via.
Interpreti raffinati del genere sono il fiammingo Pieter Claesz e l’olandese Willelm Claeszoon Heda.


Pieter Claesz, Natura morta, 1627

La “tavola imbandita”, indicata nei cataloghi come bancket, ha un'ampia diffusione in Olanda. Ha caratteri di esuberanza e sfarzo, e si propone come una vera e propria 'messa in scena' di oggetti variegati, esaltati da un attento studio della luce.

Abraham van Beyeren, Pronkstilleven, c. 1655

I motivi floreali sono tra i soggetti preferiti della natura morta, anche perché permettono di esprimere molti significati simbolici. Religiosi, alludendo alla Vergine (il giglio bianco alla purezza, l'iris ai suoi dolori ecc). Ma anche umani, richiamando la bellezza femminile, che come un fiore ben presto appassisce e perde il suo profumo.
Fiori e frutta sono tra i soggetti più indagati dalla natura morta, per l’intrinseca bellezza e plasticità delle forme, per l’immediata attrattiva esercitata dai colori, per la reattività delle superfici alle azioni della luce, per i rimandi simbolici ad essi legati.


Jan Davidsz de Heem, Still-Life with Flowers in a Glass Vase and Fruit, 1665 ca., Thyssen-Bornemisza Museum

Il sottogenere della vanitas è costituita da nature morte in cui il tema esclusivo è il richiamo allo scorrere del tempo, alla fugacità della bellezza e dei piaceri terreni, alla inutilità dei lussi mondani di fronte alla ineluttabilità della morte; tutto ciò che nella Bibbia è definito vanitas vanitatum (Ecclesiaste).
Elementi ricorrenti sono: teschi (Memento mori), candele spente, clessidre e orologi, fiori recisi e pipe, bolle di sapone e calici di vetro, monete e gioielli, libri, specchi, spartiti e strumenti musicali. Tutti elementi che rimandano alla morte, allo scorrere del tempo, alla brevità della vita, alla fragilità delle cose terrene, alla fine ineluttabile della giovinezza e della bellezza.


Harmen Steenwijck - Vanitas - Still Life, 1640, National Gallery Londra

Sono espressione della vanitas gli strumenti musicali muti e abbandonati, da soli o fra altri oggetti, in quanto richiamano il carattere evanescente e transitorio della musica, allusione, a sua volta, alla caducità dell'esistenza e dei suoi effimeri piaceri. Inconfondibili le nature morte del bergamasco prete-pittore Evaristo Baschenis, definito 'sublime ritrattista' di strumenti musicali, che seducono lo sguardo dello spettatore, invitandolo all’interno di uno spazio pittorico illusionistico sapientemente illustrato. Gli strumenti, prevalentemente a corda, sono resi con precisione prospettica, verosimiglianza virtuosistica e una impressionante attenzione al dettaglio. Il pittore dipinge talvolta un sottile strato di polvere depositato sulle superfici, che testimonia l’abbandono degli strumenti e contribuisce a creare un universo immoto e silenzioso.


Evaristo Baschenis Strumenti Musicali

Richiamano la vanitas anche i calici di vetro, la cui fragilità allude al tema della bellezza fugace e destinata a finire. Come in questo quadro di Sebastian Stosskopff, con frammenti di cristallo in primo piano.


Sebastian Stoskopff, Still-Life of Glasses in a Basket, 1644, Musée de l'Oeuvre Notre-Dame 

Spesso gli strumenti musicali compaiono insieme a tavole imbandite e ad altri oggetti.


Adriaen van Utrecht, Natura morta, 1644, Rijksmuseum, Amsterdam

Jan Davidsz de Heem, A Table of Desserts, 1640


Caratteristiche della natura morta
Moltissimi quadri sono pieni di oggetti inanimati, che tuttavia non sono nature morte. Per diventarlo, gli oggetti devono essere allestiti secondo precise regole illusionistico-spaziali.
In prima istanza, gli oggetti delle nature morte sono i protagonisti assoluti dell’opera. Se in un quadro a soggetto, le cose presenti nello spazio pittorico non hanno un significato indipendente, ma lo ricevono dall’azione scenica, nelle nature morte gli oggetti rappresentati sono muniti di un significato proprio e sono essi stessi a dover intraprendere l’azione scenica e a farsi avanti verso lo spettatore.
Ma in che modo avviene tutto ciò? Innanzitutto la rappresentazione della natura morta è collegata a una superficie su cui gli oggetti sono disposti, ad esempio un tavolo o una mensola.
In un testo anonimo del primo quarto del XVII secolo, un pittore di storia, che però non disdegnava la pittura delle “piccole cose”, dà il seguente consiglio sul modo di comporre una natura morta:
“Durante la stagione della frutta, riempite dei piatti di maiolica, mettendovi sotto delle foglie di vite (…). Ponete il piatto pieno di frutta all’altezza di circa un piede più basso del vostro occhio, così ritrarrete la frutta il più simile al naturale”.
Si viene così a costruire un rapporto particolare tra l’oggetto e lo spazio nel quale esso è rappresentato, il quale accentua il carattere di “monumentalità” dell’oggetto stesso.
Ombre profonde, luci dorate, enfasi di forme e sfarzo di colori presentano gli oggetti con teatralità scenografica, senza più la necessità di una figura umana che giustifichi la loro presenza. La forte predominanza di tinte oro, verde scuro e rosso porpora, punteggiate qua e là da sprazzi di luce, seguono l'obiettivo dell'esaltazione sontuosa della naturalità.


Jan Davidsz de Heem, Table

Ciò che salta subito agli occhi nella costruzione spaziale della natura morta è l’attenuazione degli artifici prospettici, in particolare la limitazione della profondità. Questo avviene sia mediante la scelta del punto di vista ravvicinato, sia mediante l’eliminazione del fondo come spazio infinito. La natura morta riduce la distanza fra gli oggetti che occupano la scena al fine di creare uno spazio compresso, puramente pittorico. Essa, inoltre, rinunciando alla profondità prospettica, costruisce un sistema di “sguardo” dello spettatore meno rigido e vincolante di quello prospettico e gli permette di collocarsi nello spazio in modo più elastico. Negando la profondità, la spazialità della natura morta proietta la rappresentazione in avanti, verso lo spettatore, che quindi viene chiamato ad essere autentica “presenza”.


Pieter Claesz, Nature morte au crabe, 1644, Musée des beaux-arts de Strasbourg

L'utilizzo della finzione spaziale, infatti, mette sotto gli occhi di un osservatore quegli elementi che altrimenti, pur appartenendo al mondo della quotidianità, sarebbero consegnati al silenzio e alla dimenticanza.
Pur riconoscendo negli oggetti delle nature morte un messaggio ‘altro’ rispetto alla loro pura e semplice realtà oggettuale, la verità è che quest’ultima viene privata man mano della sua sacralità, divenendo un insieme di cose indagate da uno sguardo più oggettivo e analitico, che tende a penetrare con la stessa acutezza la realtà fisica e umana. Anche il corpo umano, in quanto oggetto di osservazione scientifica, non differisce da un animale o da una pianta. Nella Lezione di anatomia di Rembrandt il cadavere è completamente desacralizzato, ridotto a puro oggetto di curiosità.
Non esiste più una gerarchia tra gli elementi dell'universo che, privo di centro, appare ridotto a un insieme di parti di uguale valore. Guardando le innumerevoli opere del tempo (e anche del secolo successivo) traboccanti di fiori, verdure, selvaggina, stoffe, calici, libri e oggetti di vario genere veramente ci viene da chiederci che fine abbia fatto il possente e carnale uomo di Michelangelo e di pensare di essere di fronte a un'autentica mutazione antropologica.


Pieter van Boucle, Big kitchen still life, data sconosciuta

Nella natura morta un oggetto non trae senso dall'azione scenica, ma esclusivamente da se stesso. Il suo significato è intrinseco e indipendente. All'inizio, queste incredibili rese illusionistiche di spazio, superficie, luce e materia assumono spesso il ruolo di simbolo morale, ad esempio di vanitas e memento mori (ammonimento che ricorda la fugacità del tempo e la precarietà della vita). Ma è singolare che, mentre rammentano l’ingannevolezza dei sensi, gli oggetti dipinti si proiettino con tale naturalezza nello spazio reale dell’osservatore e vengano raffigurati in così esuberante messinscena, in tale teatro di luci, ombre, suoni, forme, colori.
L’obiettivo principale della natura morta è di suscitare ammirazione e stupore per la verosimiglianza degli oggetti dipinti. Benché contenga sofisticati meccanismi simbolici e allegorici, suo fine è quello di creare la “vertigine dell’illusione”.
E’ pertanto arduo tracciare una storia di questo genere pittorico a senso unico; attualmente le interpretazioni della natura morta del Seicento variano da quella che la vuole un'arte ricca di simboli e decifrabile attraverso l'uso di testi iconografici, a quella che la ritiene un virtuosistico esercizio di stile. Di fatto è alquanto difficile segnare un confine tra spinta al realismo, alla precisione mimetica ed illusionistica delle raffigurazioni, e ricerca della significazione simbolica, o trovare un'attribuzione di senso a tutti gli oggetti raffigurati. Questa sovrapposizione tra statuti rappresentativi diversi (realismo e allegoria) caratterizza l'origine e lo sviluppo della natura morta.


Adriaen van Utrecht, Vanitas - Still Life with Bouquet and Skull, 1642

L'elemento di novità fondamentale che si afferma con questo genere pittorico è che la natura morta rende immutabile un frammento minuscolo di tempo e di spazio che appartiene alla quotidianità. Con la pittura di genere si mostra, in sostanza, che il soggetto di un quadro può essere costituito anche da soggetti banali e quotidiani, che traggono verità da se stessi. Gli artisti scoprono di essere liberi di scegliere gli oggetti che preferiscono dipingere, disponendoli su un tavolo secondo la loro fantasia e facendoli diventare un campo di sperimentazione in cui indagare i problemi della pittura (resa della luce, dei riflessi sulle superfici, della consistenza materica). Nel clima di smarrimento del periodo, essendo venute meno le grandi certezze che reggevano l'universo rinascimentale, l'artista elabora nuovi strumenti per affrontare la complessità della realtà sfaccettata e inafferrabile in cui vive e lo fa partendo dagli oggetti comuni e quotidiani.
Inoltre, per la prima volta, egli concentra a tal punto l'attenzione sulle cose, da identificarsi con esse.


Georg Flegel, Still-Life with Cherries, 1635, Staatsgalerie Stuttgart

Tra gli oggetti e l'uomo (artista e spettatore) si instaura un rapporto particolare (e questo sarà soprattutto vero nella pittura dei secoli successivi). L'oggetto immobile e silenzioso, la "still life", diventa il depositario dell'interiorità dell'uomo, espressione della sua spiritualità. Quell'uomo che non è rappresentato nel quadro, viene però evocato dall'oggetto muto, dalla sua realtà fragile, labile e transitoria.


Riferimenti bibliografici

Alberto Veca, Natura morta, Art & Dossier 1990.
Luca Bortolotti, La natura morta. Storia Artisti Opere, Giunti 2003.
Lucia Corrain e Paolo Fabbri, La vita profonda delle nature morte, in Weiermair, P., a cura, La natura della natura morta. Da Manet ai nostri giorni, catalogo della mostra di Bologna, Milano, Electa 2001, pp. 220-228.
Stefano Zuffi (a cura di), La natura morta, Electa 1999.

Nessun commento:

Posta un commento