Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, particolare, 1483-86, Musée du Louvre di Parigi. |
Nel secondo libro del De Pictura, Leon Battista Alberti scrive:
“Et piacemi sia nella storia chi admonisca et insegni ad noi quello che ivi si facci: o chiami con la mano a vedere o, con viso cruccioso e con li occhi turbati minacci, che niuno verso lor vada; o dimostri qualche pericolo o cosa ivi meravigliosa, o te inviti a piagnere con loro insieme o a ridere ”.
Con queste parole l'Alberti fonda una nuova regola di composizione dell'opera, in base alla quale occorre collocare sulla scena la figura di un “ammonitore” (“admonitor”, spesso indicato in letteratura anche con il termine “commentator” o “advocator”), cioè un personaggio che assiste all'evento rappresentato e che contemporaneamente attira e sollecita l'attenzione dello spettatore, esortandolo a guardare e a comprendere quanto sta accadendo, guidando il suo sguardo e indicandogli “cosa” guardare e “come” guardarlo, suggerendogli inoltre la risposta emotiva più appropriata. Egli è un intermediario, testimone e nello stesso tempo narratore, figura dal ruolo doppio, ambiguamente collocata tra la finzione del quadro e il mondo reale.
Gli elementi indicatori, interni al testo visivo, sono chiamati “deittici”.
La raccomandazione dell'Alberti fu accolta soprattutto dalla pittura manierista e barocca, ma possiamo annoverare numerosi esempi anche nel secolo precedente.
La figura dell'admonitor ha delle caratteristiche ricorrenti:
- di solito è un personaggio minore, di contorno, collocato ai margini della scena;
- il più delle volte il suo sguardo fissa lo spettatore ed enfatizza la sua funzione con alcuni gesti specifici (ad esempio con il dito indica il punto più significativo della scena).
Riguardo questo personaggio, valgono altre considerazioni:
- egli segue le regole aristoteliche di unità spaziale, temporale e di azione, in quanto è collocato all'interno della rappresentazione e, tuttavia, funge contemporaneamente da “ponte” con lo spettatore, e dunque con un altro spazio e un altro tempo. L'admonitor appartiene dunque sia alla temporalità dell'evento raccontato, sia a quella del racconto (cioè al tempo dell'osservatore);
- lo sguardo del personaggio che fissa lo spettatore non mira soltanto a stabilire con quest'ultimo una relazione spazio-temporale, ma la sua funzione è quella di chiamare in causa lo spettatore, di coinvolgerlo e condurlo all'interno della macchina scenica;
- la sua funzione è altresì conoscitiva, in quanto esorta lo spettatore non solo alla visione, ma soprattutto alla comprensione. Nell'Umanesimo, infatti, si suppone che il piacere estetico implichi una raffinata combinazione di sensibilità e di intelletto, di gusto e di conoscenza. L'artista si considera un intellettuale ed esige uno sforzo intellettivo da parte del fruitore;
- lo sguardo dell'admonitor che esce fuori dallo spazio pittorico e si fissa sull'osservatore spezza la chiusura dell'opera, aprendola al dialogo con l'esterno, ma, nello stesso tempo, isola il personaggio in questione, in quanto questi, “guardando in macchina”, si mostra diverso dagli altri, i cui sguardi sono invece rivolti verso il punto principale della scena;
- la sua funzione è metatestuale, in quanto parla dell'immagine pittorica da dentro l'immagine. L'admonitor contribuisce a far sì che la rappresentazione “chiarisca” se stessa, cioè visualizzi, sulla sua stessa superficie, le giuste modalità con cui deve essere recepita dallo spettatore;
- nella concezione dell'Alberti, che può essere estesa a tutta l'epoca rinascimentale, l'immagine pittorica ha un'essenziale impostazione dialogica orientata allo spettatore, in quanto non può darsi narrazione a prescindere da un atto concreto di visione. La storia rappresentata nel dipinto, cioè, presuppone necessariamente uno spettatore che sia in grado di comprenderla, sia intellettivamente che emotivamente. Per questo l'arte del Rinascimento ricorre a tutta una serie di artifici per attrarre lo spettatore, ricorrendo sia alle leggi dell'ottica geometrica che a quelle della partecipazione empatica. L'organizzazione dello spazio mediante la prospettiva centrale, infatti, si struttura in base al punto di vista dello spettatore, dandogli l'illusione ottica di uno spazio profondo dominabile dal suo sguardo, mentre la gestualità e l'espressione eloquente dell'admonitor cercano di coinvolgerne l'intelletto e i sentimenti.
Questo che vedete in alto è forse l'esempio di admonitor più celebre, l'angelo della Vergine delle Rocce di Leonardo, di cui abbiamo parlato qui:
https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.it/2016/03/luomo-e-la-natura-la-vergine-delle.html
La "Trinità" di Masaccio
Masaccio, Trinità di S. Maria Novella (particolare), 1426 ca, S. Maria Novella, Firenze. |
A proposito di questo affresco di Masaccio, realizzato nella navata sinistra della Chiesa di Santa Maria Novella, nella parete della terza campata, così scrive il Gombrich:
“Possiamo immaginare lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo, apparve questa pittura che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella sepolcrale, costruita secondo il moderno stile di Brunelleschi”.
Si tratta, probabilmente, dell'ultima opera di Masaccio e del più antico esempio di pittura parietale a sfondi architettonici in prospettiva, suprema sintesi di pittura e architettura, e rappresenta quasi un manifesto dell'arte del Rinascimento. L’opera raffigura il dogma della Trinità: in alto troviamo Dio Padre che sostiene la croce con le proprie mani, come offrendola al mondo. Tra il volto del Padre e la testa di Cristo è situata la colomba dello Spirito Santo. Su di un piano inferiore (nell’illusione prospettica, più prossimo allo spettatore) stanno le figure statuarie di San Giovanni e della Madonna. Mentre il Santo rivolge il proprio sguardo alla croce, Maria invece si volge verso chi guarda il dipinto, mentre con l'indice della mano destra indica suo figlio. Più in basso, su di un terzo piano prospettico ancor più prossimo a chi guarda, sono raffigurati i due committenti inginocchiati, mostrati di profilo, secondo il modello tradizionale dei ritratti. Il registro più basso raffigura uno scheletro disteso su un sarcofago, su cui spicca l’iscrizione “Io fui già quel che voi siete e quel chi son voi ancor sarete”, frequente sulle lapidi funerarie romane.
Se nelle precedenti rappresentazioni della Trinità lo sfondo era sempre o dorato o azzurro cielo, per la prima volta il tutto venne collocato in una grandiosa architettura dipinta, cioè uno spazio del tutto terreno e artificiale. La potenza illusionistica della volta a botte a cassettoni nello sfondo, fortemente scorciata, impressionò i contemporanei, che non avevano mai visto niente di simile. Ponendosi infatti a circa quattro metri di distanza, si ha l’illusione di una cappella che si apre nella navata.
La magnifica composizione architettonica costituisce uno dei primi e più perfetti esemplari di prospettiva rinascimentale, forse realizzata con lo stesso ausilio del Brunelleschi. In questo affresco convivono mirabilmente il senso volumetrico e il senso dello spazio, tutto unificato da un unico punto di vista che coincide con il punto in cui deve collocarsi lo spettatore per focalizzare correttamente la struttura spaziale dell'opera.
Il dipinto appare monumentale, finalizzato a creare, attraverso l'uso della prospettiva, l'illusione di una cappella vera e propria. Questo effetto trompe l'oeil è stato creato soprattutto grazie ad un espediente: il punto di vista è posto in basso, ad un metro e mezzo circa da terra, non nel centro geometrico dell’immagine. Lo sviluppo dello spazio architettonico, come le figure in esso inserite, è congruente con questo punto di vista, che è in scorcio dal basso verso l'alto.
Lo schema della composizione è piramidale. Tutti i personaggi, sia umani che divini, condividono lo stesso spazio ordinato; essi sono inseriti dentro lo schema geometrico in modo perfetto, integrandosi armonicamente con l'architettura. Questo dipinto segna il superamento del simbolismo medievale: nonostante siano disposti secondo un ordine gerarchico, i personaggi sacri hanno le stesse dimensioni di quelli umani. Anche il mondo sacro viene rappresentato in modo realistico e concreto, non astrattamente simbolico.
La sintesi spaziale rispecchia anche la sintesi dei diversi gradi dell'essere: si passa dalla morte (lo scheletro sul sarcofago in basso) all'uomo (i due committenti), ai santi (Madonna e San Giovanni) fino alla Trinità, rappresentata all'estremo opposto rispetto alla morte. La composizione, inoltre, rispecchia il percorso dell'anima del fedele: dalla morte del corpo (lo scheletro) ci si eleva, per mezzo della preghiera (i committenti) e grazie all’intercessione dei santi (Maria e Giovanni), fino a Dio Padre e alla salvezza eterna.
La costruzione prospettica è costruita presupponendo un osservatore, posto a una certa distanza, la cui posizione è rigorosamente determinata. La spazialità è pertanto strutturata in funzione del suo sguardo. Ma un altro elemento sulla scena contribuisce ad enfatizzare l'impostazione dialogica dell'opera: il gesto della Madonna che con la mano indica la croce e contemporaneamente guarda intensamente lo spettatore. Sembra realizzarsi qui la raccomandazione che Leon Battista Alberti inserirà qualche anno dopo nel suo De Pictura, cioè quella di inserire in un'opera una figura che “ammonisca” l'osservatore, cioè che ne guidi lo sguardo affinché comprenda quanto viene rappresentato.
Filippo Lippi, Madonna in trono fra Angeli e Santi, databile al 1430 circa, Museo della collegiata di Sant'Andrea a Empoli. |
Questa tavola di Filippo Lippi rappresenta una delle più antiche sacre conversazioni conosciute, dove una Madonna con bambino assisa in trono è circondata da un gruppo di angeli e santi. E' evidente l'influenza del Masaccio, che fu maestro del Lippi.
La figura che ci guarda con sguardo quasi ipnotico è abbastanza evidente, non bisogna cercarla tra la folla.
Fra Filippo Lippi, Madonna con bambino e due angeli, detto Lippina, 1465 circa, Uffizi, Firenze. |
Questa è forse una delle Madonne più belle di tutto il Rinascimento. Si tratta ancora una volta di una tavola di Frate Lippi, conosciuta appunto come la "Lippina".
Rispetto al dipinto precedente, si nota lo stile più maturo del pittore. Questa tavola, infatti, per composizione, colori e virtuosismo della pittura fin nei dettagli, è di una modernità sorprendente. Dove si era mai visto, ad esempio, al di fuori del contesto fiammingo, un velo così fine e impalpabile e un velluto così morbido e credibile? Anche la collocazione del gruppo davanti a una finestra, che apre su un paesaggio che si estende a volo d'uccello, è di grande originalità.
La dolcezza del volto e la postura delicata di questa Madonna, la grazia dell'acconciatura e dell'abbigliamento, fanno senza dubbio di quest'opera un fulgido esempio per le Madonne a venire.
Volendo non tralasciare i pettegolezzi, pare che la modella sia stata una certa Lucrezia Buti, monaca e amante di Filippo.
L'espressione del volto del piccolo angelo che si gira dalla nostra parte e ci sorride è un capolavoro di seducente e graziosa birboneria.
Beato Angelico, Pala di San Marco, 1440 ca., Museo di San Marco, Firenze. |
Correggio, Allegoria del Vizio, 1531 ca., Louvre, Parigi |
Domenico Ghirlandaio, Sacra conversazione degli Ingesuati, 1484-1486 circa, Uffizi, Firenze. |
Domenico Beccafumi, Sacrificio di Seleuco di Locri, XVI sec., Palazzo Pubblico, Siena |
GHIRLANDAIO Domenico, Sacra conversazione di Monticelli, 1483, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Il Pordenone, Crocifissione del Duomo di Cremona, 1520-1521 |
Perugino e aiuti, Viaggio di Mosé, particolare, gruppo di astanti già attribuito a Pinturicchio, 1482 ca., Cappella Sistina, Città del Vaticano. |
Pontormo, Sacra conversazione (Pala Pucci), 1518, Chiesa di San Michele Visdomini, Firenze. |
The Dispute in the Temple by Pinturicchio, Santa Maria Maggiore, |
El Greco, La sepoltura del conte di Orgaz |
Giovanni Battista Moroni, L'ultima cena, 1566-69, Chiesa di Santa Maria Assunta e San Giacono Maggiore Apostolo, Romano di Lombardia |
Agnolo Bronzino, Deposizione, 1565, Galleria dell'Accademia, Firenze. |
Annibale Carracci, Battesimo di Cristo, 1585, Chiesa dei Santi Gregorio e Siro, Bologna. |
Nessun commento:
Posta un commento