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domenica 15 luglio 2018

Il punto di vista. Osservatore e Spettatore

Thomas Struth, National Gallery 1, London 1989.

Questo nuovo percorso avrà come tema il ruolo dello spettatore. Cercherà di indagare alcuni aspetti riguardanti la fruizione di immagini e la loro evoluzione storica.
Questo blog ha trattato più volte in passato argomenti che puntavano l’attenzione sui vari modi in cui si declina il rapporto tra l'interno della rappresentazione e lo spazio esterno: elementi iconografici come gli specchi, le ombre, gli sguardi dei personaggi rivolti all’osservatore sono alcuni dei temi affrontati che si proponevano di esplorare le maniere in cui l’immagine invita spesso lo spettatore a indagare lo spazio oltre il limite stabilito dalla cornice, quello che viene chiamato “fuori campo” . D'ora in poi si cercherà di analizzare il modo in cui l’immagine si rivolge al proprio spettatore.

D’altra parte la cultura contemporanea è caratterizzata dalla centralità della visione e la progressiva diffusione, delocalizzazione e smaterializzazione delle immagini ci ha trasformato in spettatori costanti e ininterrotti. Non ci sono più luoghi e tempi deputati ad assolvere questo ruolo perché siamo quotidianamente immersi in un universo audiovisivo e alle prese con immagini e “schermi” senza soluzione di continuità. L’attuale stadio di evoluzione della nostra specie potrebbe a tutti gli effetti essere definito “homo spectator” (come il titolo di un libro di Marie-José Mondzain di qualche anno fa).

Thomas Struth, Louvre 4, Paris 1989

Nei prossimi giorni proveremo ad esplorare la relazione eterogenea tra forme di spettatorialità e forme di rappresentazione e il modo in cui si influenzano a vicenda, nella consapevolezza che entrambe rimandano a un insieme complesso di fattori sociali, politici, economici, religiosi e culturali che strutturano i modi di vedere di una determinata epoca. Ogni contesto storico e sociale, infatti, è caratterizzato da un proprio period eye, o “regime scopico”, cioè da un proprio modello di visione, strettamente legato sia alle diverse forme di rappresentazione, sia ai dispositivi spaziali, temporali e tecnologici che ne regolano la fruizione, sia infine a quell’insieme di schemi percettivi, credenze, memorie, atteggiamenti ricettivi e pratiche interpretative socialmente condivise che costituiscono il ruolo attivo dello spettatore.
Lo statuto dello spettatore, pertanto, lungi dal configurare una figura assoluta e sovrastorica, è un’elaborazione mutevole e storicamente determinata, che non si esaurisce nella fruizione di contesti artistici, ma coinvolge tutte le situazioni quotidiane in cui lo sguardo è posto di fronte a un dispositivo di visione. E’ quest’ultimo (quadro, fotografia, cinema, teatro, ecc.) che conferisce a quello sguardo una direzione, che determina la postura del corpo, articolando in vario modo la distanza tra la rappresentazione e l’osservatore, una distanza che, in ogni caso, è il presupposto essenziale di ogni atteggiamento spettatoriale. Nostro obiettivo, nei prossimi giorni, sarà indagare i modi eterogenei e complessi in cui l'immagine si offre allo sguardo dello spettatore, riducendo o amplificando quella distanza.
(Su questi argomenti, imprescindibili sono i testi di A. Pinotti e A. Somaini, Teorie dell'immagine. Il dibattito contemporaneo, Raffaello Cortina Editore e A. Somaini (a cura di), Il luogo dello spettatore. Forme dello sguardo nella cultura delle immagini, Vita e pensiero)

Giulio Romano, "Banchetto degli Dei per le nozze di Cupido e Psiche”, Palazzo Te, Mantova.

Ogni raffigurazione presuppone un osservatore implicito, interno, che si rivolge ad essa da un certo luogo nello spazio. Ogni immagine, cioè, contiene in sé una certa direzionalità che indica il punto dal quale vengono visti gli eventi raffigurati. Questa direzionalità è determinata dalle relazioni spaziali tra gli elementi della rappresentazione (le definiamo usando termini come “primo piano”, “sfondo”, “vicino”, “lontano”, “visione dall’alto” o "dal basso", “visione frontale” o “di scorcio”) che, è evidente, non costituiscono delle relazioni obiettive, assolute, ma sono relative a un osservatore “ideale” che guardi la scena. La posizione di questo osservatore è determinata dall’immagine stessa, e ogni rappresentazione ha un osservatore implicito rispetto al quale si orienta tutto lo spazio raffigurato.
L’osservatore è, cioè, colui che sta guardando la scena reale mentre avviene e l’immagine non è altro ciò che il suo sguardo vede. L’osservatore viene richiamato in due modi principali: nella maniera in cui i vari personaggi si mettono in posa tenendo conto del suo sguardo e in quanto esso diviene il principio ordinatore dello spazio figurativo, ad esempio nel caso della prospettiva lineare.
L’osservatore, in sintesi, indica il punto di vista da cui la scena è rappresentata ed è un concetto astratto, ricostruibile attraverso un’analisi dell’immagine e dei rapporti spaziali che la caratterizzano. Affermare che ogni rappresentazione abbia un osservatore implicito, tuttavia, non significa che ogni immagine contenga anche una qualche forma di relazione spaziale con un punto esterno ad essa.
Come sarà già chiaro, l’osservatore non coincide con la figura dello spettatore, che invece è il soggetto empirico che fruisce dell’immagine nel contesto in cui tale immagine è posizionata.
Che la scena raffigurata dica di sé che è vista da vicino o da lontano, dall'alto o dal basso dipende prevalentemente dal modo in cui è raffigurata e non dal punto in cui si trova colui che guarda l'immagine. Purtuttavia, di fronte a questa non c'è uno sguardo sospeso nel nulla, ma un corpo in carne e ossa che guarda da un luogo determinato.

Como, Basilica di Sant'Abbondio. Affreschi di artista anonimo, chiamato “Maestro di S.Abbondio”, 1300

In generale, sono tre le alternative che possono darsi:

- Coincidenza di osservatore e spettatore. I due sistemi di sguardo (osservatore-scena e spettatore-immagine) sono omologati, in quanto posti alla stessa distanza e angolazione. E’ come se lo spettatore, guardando l’immagine dal punto che gli è stato assegnato, “vedesse” esattamente ciò che vedrebbe se avesse di fronte la scena reale, piuttosto che l’immagine di essa. Lo spettatore, in questo modo, diviene anche osservatore e quindi lo spazio reale (in cui è collocato il primo) entra in continuità con lo spazio finzionale, determinando il maggiore coinvolgimento dello spettatore nella scena. E’ questo il caso, ad esempio, della prospettiva centrale rinascimentale, che tratteremo nei prossimi giorni. Ma questo è anche il caso dell’affresco di una cupola. Questo possiede un punto di vista dell’osservatore dal basso, coincidente con quello che occupa lo spettatore empirico che alza gli occhi per vedere l’affresco.

- Non coincidenza tra punto di vista dell’osservatore e punto di vista dello spettatore. L’osservatore, ad esempio, potrebbe essere collocato lateralmente rispetto alla scena da lui osservata, in posizioni di scorcio (un caso estremo sono le immagini anamorfiche. Lo spettatore, comunque, può sempre spostarsi e cercare di recuperare una certa coincidenza). Oppure, potrebbe darsi il caso di un affresco o di un quadro collocato su una parete in alto, che lo spettatore contempla dal basso. Il suo punto di vista, perciò, seguirebbe la direzione diagonale dal basso verso l’alto. L’artista, tuttavia, potrebbe aver rappresentato la scena come vista frontalmente da un osservatore posto alla stessa altezza dei personaggi. I due punti di vista, pertanto, cioè gli sguardi dell’osservatore e dello spettatore, in questo caso non coinciderebbero. Lo spettatore non potrebbe immedesimarsi pienamente nello sguardo implicito alla rappresentazione e ciò influirebbe sul grado di coinvolgimento nella scena raffigurata. Più i due sistemi di sguardo divergono, infatti, più è possibile avvertire una sensazione di estraneità nei confronti dell'immagine.

- Frontalità di un sistema di sguardo rispetto all’altro. L’osservatore è posizionato specularmente rispetto allo spettatore. Si tratta di un caso particolare che caratterizza, ad esempio, alcune icone orientali dove la rappresentazione segue lo schema della prospettiva rovesciata.

Affinché il sistema di sguardo dello spettatore coincida con quello dell'osservatore, il primo deve cercare la giusta distanza e angolazione dalla scena raffigurata e cercare di adattare il proprio orizzonte all'orizzonte del quadro, costringendo il proprio sguardo ad obbedire al dettato dell'immagine. In questo modo si attenua la cesura tra lo spazio reale e quello fittizio dell'immagine e si ha la percezione di una certa continuità spaziale.
A proposito di questo tema, sarà utile ricordare come, in The Art of the Observer, Jonathan Crary oppone l'osservatore allo spettatore notando che, anche se pochi dizionari distinguono queste due parole, è nelle loro risonanze etimologiche che emerge una differenza importante. "Spectare" si riferisce solo a guardare qualcosa e contiene, nel contesto della cultura del XIX secolo, una connotazione passiva. "Observare", invece, implica un atto di adattamento a regole, codici e prescrizioni. Un osservatore è soprattutto una persona che vede all'interno di un insieme predeterminato di possibilità, che si inserisce in un sistema di convenzioni e limitazioni. Queste complesse condizioni di osservazione sono tanto fisiologiche e psichiche quanto discorsive, sociali, tecnologiche e istituzionali. L'osservazione è sia un atto percettivo che un “adattamento”.
Il concetto di osservatore, quindi, richiama non solo un punto di vista spaziale, ma anche percettivo e interpretativo. Lo spettatore dovrebbe quindi, nel momento in cui fruisce di un’immagine, cercare la posizione dell’osservatore, cioè un punto di vista “interno”, per poi magari distanziarsene in un secondo momento.


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