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sabato 6 maggio 2017

Lo specchio vuoto. Il Settimo Sigillo

Il Settimo Sigillo, regia di Ingmar Bergman, 1956.

Parliamo di un film che è un capolavoro assoluto del cinema: Det Sjunde Inseglet (Il Settimo Sigillo), di Ingmar Bergman.
Nella Svezia del Trecento, torna a casa dalle Crociate il cavaliere Antonius Block. Ma sbarcato sulle spiagge svedesi, trova ad attenderlo la Morte. Egli, tuttavia, ha ancora delle domande a cui vuole dare delle risposte, delle domande sulla vita e su Dio. In particolare, egli cerca una prova dell’esistenza di Dio, perché, quando tutto intorno regna il male e l'orrore, come si può continuare a credere che Egli esista? Per questo propone alla Morte di giocare una partita a scacchi.

Mentre il cavaliere continua il viaggio verso il suo castello, in compagnia dello scudiero Jöns, s'imbatte in villaggi decimati dalla peste, inquisitori, stregonerie, flagellanti, un'umanità allo sbando, che delira in preda al terrore della morte e alla follia o si abbandona agli ultimi piaceri prima della fine. Tra i personaggi che incontra sul cammino, vi è anche una famigliola di saltimbanchi girovaghi che, sorretti da un sincero sentimento di reciproco affetto, sembrano estranei alla tragedia che imperversa tutto intorno.
Nel frattempo il cavaliere e il suo scudiero hanno raggiunto una chiesa dove un pittore sta affrescando una Danza Macabra. Antonius si apparta vicino ad un confessionale. Credendo di parlare con un prete, apre la sua anima in confessione, ignaro che chi lo ascolta è in realtà la Morte, come sempre beffarda ed enigmatica. Le parole di questo monologo sono tra le più belle e profonde della storia del cinema:
"Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei irriconoscibili simili. Vi scorgo immagini di incubo nate dai miei sogni e dalle mie fantasie ... L’ignoto mi atterrisce. Ma perché, perché non è possibile cogliere Dio con i propri sensi, per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perché dovrei avere fede nella fede degli altri? Perché non posso uccidere Dio in me stesso?... E’ perché, nonostante tutto, egli continua ad essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Vorrei sapere senza fede, senza ipostesi. Voglio la certezza. Voglio che Dio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli”.
L'anima è uno specchio interiore che rimane muto, senza risposte. In esso non si rispecchia il volto di Dio.


Il Settimo Sigillo è un film sul destino e sul mistero della morte, ma soprattutto sul terrore di aver vissuto una vita senza senso, persa nella vanagloria e nell’indifferenza verso il prossimo. Ed è un film che riflette su un Dio che si nasconde, e resta in silenzio nei confronti di chi chiede certezze. Tra la fede ingenua e visionaria del saltimbanco Jof e l’ateismo beffardo e concreto dello scudiero Jöns si pone l’angoscia del dubbio, l'umana domanda che cerca di conoscere la verità. Nessuna risposta ci sarà per il cavaliere, nessuna manifestazione di Dio. Alla fine, Antonius Block perderà la partita: la Mietitrice verrà a prenderlo nel suo castello, trascinando tutti con sé in un’ultima danza, ma egli farà in tempo a salvare, distraendo la morte per un attimo, la famiglia di teatranti. E in questo modo, finalmente, darà alla sua vita il senso che mancava.


In un bianco e nero abbagliante, Bergman mette in scena un copione antico: Il Cavaliere, lo Scudiero, il Giullare, La Strega e la Morte, allegorie legate insieme nell'eterna danza della vita e della morte. Con la scelta di questa storia fuori dal tempo, Bergman ci racconta una condizione estremamente moderna: la Fine nel suo senso più totale, non solo la morte dell’uomo, ma anche quella di Dio.
A questo link, la sublime scena della Confessione di Block:


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