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sabato 6 maggio 2017

Porte e finestre - Una finestra sui tetti di Parigi. La Bohème


La Bohème è un'opera lirica in quattro quadri di Giacomo Puccini, ispirata al romanzo di Henri Murger "Scènes de la vie de bohème" e rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel 1896.
Il primo e il quarto Quadro dell'opera sono ambientati in una soffitta, dove vive il poeta Rodolfo, che conduce una vita da bohémien insieme ai suoi amici: un pittore, un musicista, un filosofo. Chi sono i Bohémiens? Li descrive bene Murger, nella prefazione alla Vie de bohème: sono degli "avventurieri", intellettuali o artisti, che vivono alla giornata ai margini della società, sempre a corto di mezzi, facendo la fame per gran parte del tempo e sperperando tutto subito in donne e divertimenti non appena capita un po' di fortuna e un po' di denaro nelle tasche. Sono in genere refrattari alle regole sociali e insofferenti all'ipocrisia borghese, proclamano l'identità di arte e vita e agitano velleità libertarie.

Siamo a Parigi nella vigilia di Natale del 1830. Il primo Quadro si apre con la didascalia che descrive la scena, costituita da una soffitta. Il primo elemento dell'ambiente che viene nominato, prima di passare ad elencare i pochi e poveri mobili presenti, è una "ampia finestra dalla quale si scorge una distesa di tetti coperti di neve". Il protagonista, il poeta Rodolfo, "guarda meditabondo fuori della finestra", mentre la soffitta è così gelata che con il suo amico pittore Marcello è costretto a bruciare nel caminetto il grosso manoscritto di un dramma da lui stesso scritto. Rimasto solo in casa, il poeta riceve la visita di Mimì, giovane vicina di casa: le si è spento il lume e cerca una candela per poterlo riaccendere. Una volta riacceso il lume, la ragazza si sente male: è il primo sintomo della tisi. Quando si gira per andarsene, si accorge di aver perso la chiave della stanza: inginocchiati sul pavimento, al buio (entrambi i lumi si sono spenti), i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova per primo ma la nasconde in una tasca, desideroso di passare ancora un po' di tempo con Mimì e di conoscerla meglio. Quando la sua mano incontra quella della donna ("Che gelida manina"), il poeta le racconta di essere un poeta, che vive di "sogni" e di "chimere"; poi le chiede di parlargli di lei. Mimì gli narra brevemente la sua vita ("Sì, mi chiamano Mimì").
Questa è una delle arie d'opera più belle di tutta la storia della lirica.
La fanciulla racconta la sua vita tranquilla di ricamatrice. Confessa inoltre a Rodolfo che le piacciono "quelle cose / che han sì dolce malìa", che parlano di amore, "di sogni e di chimere", cioè di poesia, rivelando in questo modo l'affinità con Rodolfo. Continua con tono sommesso a parlare della sua vita umile, povera e senza pretese. Ma a questo punto c'è una pausa. La musica cambia e cambia anche il tono di Mimì, che in uno slancio quasi di orgoglio, parla della sua sola ricchezza, dell'unico privilegio della sua vita: quando arriva la primavera, il primo raggio di sole è suo, appartiene solo a lei, che dalla finestra della sua povera soffitta domina i tetti di Parigi.
"Ma quando vien lo sgelo
il primo sole è mio,
il primo bacio dell’aprile è mio".
L'energia con cui questi tre versi vengono eseguiti trasfigura la donna, circondandola di un'aura, per quanto patetica ed effimera, di riscatto sociale.
Alla fine dell'aria, Rodolfo scambia alcune battute dalla finestra con gli amici che lo aspettano di sotto per andare al Caffè Momus per far baldoria. Quando si volta a guardare la donna, così viene descritta la scena: "Mimì si è avvicinata ancor più alla finestra per modo che i raggi lunari la illuminano: Rodolfo, volgendosi, scorge Mimì avvolta da un nimbo di luce, e la contempla, quasi estatico". E' sbocciato l'amore tra i due.
In quella soffitta Mimì morirà di tisi alla fine del Quarto quadro. Sono passati alcuni mesi e si è in primavera. Ella giace nel letto, circondata dai suoi amici, tra i quali c'è Musetta. All'inizio solo Schaunard, il musicista, si accorge del decesso. Rodolfo invece spera ancora. Così viene descritto nel libretto: "intanto Rodolfo si è avveduto che il sole della finestra della soffitta sta per battere sul volto di Mimì e cerca intorno come porvi riparo; Musetta se ne avvede e gli indica la sua mantiglia, sale su di una sedia e studia il modo di distenderla sulla finestra". Quella finestra, davanti alla quale il loro amore è sbocciato, alla fine si cerca di oscurarla per impedire che il sole entri. I raggi di sole primaverile, che erano la gioia e la ricchezza di Mimì, ora, in prossimità della morte, non hanno più valore. Mentre il quadro primo culminava in un improvviso irrompere di luce lunare attraverso la finestra della soffitta, che trasfigurava il viso di Mimì e illuminava l’estasi poetica del primo bacio, il quarto si conclude con la cruda e indiscreta intrusione della luce del giorno attraverso quella stessa finestra, a illuminare il viso della donna ormai morta.
Tutta l’opera ruota attorno al tema della malattia incurabile e allo straziante crescendo degli accenni, dei segni, dei sintomi che la evocano continuamente in tutta la sua fatalità. Il tema del disfacimento e della malattia era caro all'ambiente culturale decadente dell'epoca, così come quello che ruota attorno al connubio di amore e morte.
A questo link, la celebre aria di Mimì eseguita dalla intramontabile Maria Callas che, a mio giudizio, ne ha dato la più bella interpretazione di sempre:


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