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giovedì 5 gennaio 2017

L'uomo e la natura - LA NOTTE STELLATA DI VINCENT VAN GOGH

“Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”: in un lettera al fratello Theo, van Gogh annuncia così il dipinto che costituisce uno dei suoi capolavori, Notte Stellata.
Dal maggio 1889, il pittore è internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole, vicino Saint-Rémy-de-Provence, diretto dal dottor Peyron. Il gesto dell’automutilazione del lobo dell’orecchio destro, seguito alla rottura con Gauguin, aveva messo clamorosamente in luce i problemi psicologici e il profondo disagio interiore dell’artista, deciso però a voler guarire, come dimostrano le struggenti lettere indirizzate al fratello. A Saint-Rémy, dove gode di una certa libertà e può continuare a dipingere anche all’aperto, van Gogh realizza tra i più bei capolavori della sua pittura. Questo è per l’artista il periodo di maggiore solitudine e sofferenza interiore, caratterizzato da crisi ricorrenti e terrificanti allucinazioni, ma anche quello più visionario, ricco di grafismi concitati e ossessivamente ripetuti.
I soggetti delle sue opere durante questa fase sono soprattutto i paesaggi circostanti l’istituto, trasfigurati da una intensa carica espressiva. Nascono a Saint-Rémy dipinti come “Notte stellata”, “Ulivi con le Alpilles sullo sfondo”, “Strada con cipresso sotto il cielo stellato”.


Vincent van Gogh, Notte stellata, 1889, Museum of Modern Art, New York - Public Domain via Wikipedia Commons



Diversamente da altri dipinti di van Gogh, Notte stellata non fu dipinto all’aria aperta. Il pittore scrive nelle sue lettere di essere rimasto sveglio tre notti ad osservare la campagna che vede dalla sua finestra, affascinato soprattutto dal pulsare di Venere, l’astro mattutino che appare come una stella più grande delle altre. Il quadro, tuttavia, non è una fedele riproduzione del paesaggio circostante, ma un’immaginaria visione in cui affiorano ricordi della sua terra natale, quali il quieto villaggio sotto il cielo notturno, con il tipico campanile olandese.
van Gogh aveva sempre sostenuto di non voler creare “astrazioni” e di cercare sempre il contatto diretto con la realtà naturale. Il risultato, tuttavia, è qui tutt’altro che realistico: il cielo è tormentato da movimenti vorticosi e il villaggio appare immerso in un’atmosfera soprannaturale. Dal quadro possiamo intuire come il pittore olandese si rapporti con la natura: questa si presenta come un mondo che affascina e atterrisce per la sua maestosità, per tutta la forza e l’energia che riesce a sprigionare. Ancor prima dei soggetti raffigurati, è questa forza che acquista vita dal tratto tortuoso delle vigorose pennellate. Per esprimere ciò, van Gogh utilizza colori puri, quasi violenti, privi di sfumature o passaggi tonali, che realizzano un cielo sfolgorante di astri, di bagliori, di scie luminose. Le pennellate sono dense di materia, con un valore quasi gestuale.

Vincent van Gogh, Notte stellata, particolare - Public Domain via Wikipedia Commons

Nell’insieme della composizione, prevale la volta stellata, che sovrasta il paesaggio sottostante; i due luoghi sono resi con evidente dualismo: calma e tranquilla la terra assopita nel buio della notte, pulsante di forza e di energia il cielo notturno. Un’energia vitale, che imprime movimenti rutilanti e scatena bagliori, ma che, nello stesso tempo, avvicina così tanto le stelle alla superficie terrestre da dare l’impressione di essere vicini all’apocalisse. Vita e morte, animazione e travolgimento, slancio e distruzione: nella volta celeste di van Gogh sembra consumarsi la notte dei tempi della creazione dell’universo, “come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura”, scrive lo stesso pittore.
In primo piano si stagliano la sagome nere di alcuni cipressi, alberi da cui il pittore si sente particolarmente attratto, che qui appaiono come enigmatici mediatori tra il cielo e la terra. Essi sono caratterizzati da un andamento ascensionale e sembrano animati da una cupa forza interiore, che li fa vibrare come fossero oscure lingue di fuoco che assorbono la luce invece di emanarla. Proprio in quel periodo l’artista aveva cominciato a dedicarsi alla pittura di questi alberi, accennandone nelle sue lettere: “I cipressi mi preoccupano sempre […]. Il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile a essere dipinta che io conosca”. E ancora: “Voglio tornare all’attacco per averla vinta sui cipressi”, quegli alberi cupi e vibranti che, davanti, al delirio sfolgorante degli astri vorticosi, innalzano al cielo la propria sagoma cinerea ed inquietante come un fosco presagio di morte.

Vincent van Gogh, Cypresses, 1889. Metropolitan Museum of Art, New York - Public Domain via Wikipedia Commons

Scrive ancora il pittore a proposito di questo dipinto: “Tra i vortici terrorizzanti del cielo notturno, solo gli astri si presentano come punti fermi, e dunque, come elementi attorno ai quali possono gravitare colore e pensiero”. In Notte stellata, van Gogh cerca di rappresentare quella vita che si agita nel cuore della notte, come le tempeste si agitano nelle profondità oscure dell’animo umano. Il tormento che muove le linee vorticose e ondulate, il fuoco, la luce, sono il riflesso del proprio tormento interiore che parte direttamente dal cuore e si esprime nei tratti forti, quasi rabbiosi della pittura. Non è il paesaggio, come negli impressionisti, che arriva all’anima; al contrario è il sentimento che trasforma la natura in poesia, trasfigurandola fino a renderla un autoritratto in forma di paesaggio. La pittura si libera dalla diretta osservazione dell’elemento naturale; essa non cerca gli aspetti nascosti del paesaggio ma l’espressione, attraverso l’immaginazione, del proprio stato d’animo.

Vincent van Gogh, Strada con cipresso e stella, 1890, Kröller-Müller Museum - Public Domain via Wikipedia Commons

Scrive van Gogh: “Non conosco migliore definizione della parola arte di questa: L’arte è l’uomo aggiunto alla natura; la natura, la realtà, la verità, ma con un significato, con una concezione, con un carattere, che l’artista fa uscir fuori e ai quali dà espressione”. E ancora: “Il mio grande desiderio è d’imparare a fare delle deformazioni, o inesattezze o mutamenti del vero; il mio desiderio è che vengano fuori, se si vuole anche delle bugie, ma bugie che siano più vere della verità letterale”. Non un’arte d’impressione dunque, ma d’espressione, in grado di rivelare la profonda sostanza delle cose, non la loro verità apparente. E per esprimere la sostanza, non resta che semplificare, alterare, deformare la natura quale si presenta alla percezione dei sensi e lo spazio che la contiene. “Al posto di cercar di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, io mi servo dei colori arbitrariamente per esprimermi in maniera più forte”. È qui contenuta una delle chiavi della pittura moderna: un arbitrio dell’artista che distoglie il colore dall’imperativo di riprodurre la realtà e lo indirizza verso un “uso violentemente psicologico” (De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento).

Vincent van Gogh, Campo di grano con cipressi, 1889 - Public Domain via Wikipedia Commons

Significativa è una affermazione di Octave Mirbeau, uno dei pochi che capì immediatamemte il valore della sua arte, secondo il quale van Gogh “non si era immedesimato nella natura, aveva immedesimato in se stesso la natura; l’aveva obbligata a piegarsi, a modellarsi secondo le forme del proprio pensiero, a seguirlo nelle sue impennate, addirittura a subire le sue deformazioni […] “. Tramite la sua pittura, van Gogh trasporta lo spettatore all’interno dei suoi sentimenti, ansie, paure, gioia, tristezza. Ma la sua arte riesce a fare molto di più: è capace di far rivivere nell’osservatore le stesse emozioni, gli stessi sentimenti che l’artista ha dipinto sulla tela.
La Notte stellata è proprio una delle più significative opere dell’espressionismo di van Gogh, sia per aver riversato nella sua visone della notte stellata la sua condizione esistenziale, sia per l’uso antinaturalistico dei colori, sia per le distorsioni emotive della realtà, tutti elementi che furono assimilati in seguito dall’Espressionismo.
Se è vera l’affermazione secondo la quale in van Gogh arte e vita si sovrappongono e la pittura è l’espressione diretta delle profondità del suo animo, tuttavia la stessa affermazione, pur trovando indubbiamente riscontro nella dolorosa vicenda umana dell’artista, non spiega in modo esaustivo la peculiarità del suo talento creativo. Il luogo comune, secondo il quale l’ispirazione artistica è frutto di uno stato di “disadattamento”, di “anomalia”, spesso riconducibile a una qualche patologia, è essenzialmente da ascrivere al tentativo operato dalla cultura borghese di fine Ottocento di rendere marginale, cioè collocata all’esterno del normale tessuto sociale, una figura anticonformista e potenzialmente eversiva come quella dell’artista, a renderla inoffensiva rispetto all’impianto ideologico dominante.

Vincent van Gogh, Ulivi con le Alpilles sullo sfondo, 1889, Museum of Modern Art, New York - Public Domain via Wikipedia Commons

Pur essendo indubbio che nel caso del pittore olandese il legame tra alterazioni psichiche e creazione artistica fu innegabile, tanto che il suo disagio mentale costituisce inevitabilmente una delle chiavi interpretative della sua opera, tuttavia, come ha scritto Karl Jaspers, che attribuiva al pittore olandese un disturbo schizofrenico, “la schizofrenia non è creativa in sé: infatti ci sono pochi schizofrenici come Hölderlin o van Gogh. La personalità, il talento preesistono alla malattia, ma non hanno la stessa potenza. In tali personalità la schizofrenia è la condizione, la causa possibile perché si disvelino queste profondità”.
Cercare una spiegazione di van Gogh nell’ambito della patologia, come qualcuno ha fatto, è un modo per eluderne la comprensione. Se riduciamo la sua vita e la sua arte alla spiegazione medica, comunque ci resterebbero da spiegare numerosi altri casi, in parte o del tutto simili a quello di van Gogh, che hanno caratterizzato il periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Non possiamo comprendere l’opera di questo pittore a meno di calarla nella situazione di disagio che stava per manifestarsi come fatto generale della cultura europea.
La fine del XIX secolo è l’età della crisi, il periodo in cui artisti come Rimbaud, Baudelaire, van Gogh, Munch, per citarne solo alcuni, e poi pensatori come Nietzsche e Freud, gettano uno sguardo impietoso sulla condizione dell’uomo moderno, sulla sua fragilità e precarietà esistenziale.
Con il crollo della fiducia positivista nella scienza e nel progresso della storia e l’emergere di inquietudini nuove, si avverte in tutta Europa un senso di disfacimento e di fine di un’epoca. Il pensiero prende atto della frantumazione del mondo in un universo labirintico ed indecifrabile dalla ragione positivista. La scoperta dell’inconscio determina la crisi della soggettività, che si scopre impotente e in balia di forze invisibili e difficilmente controllabili.

Vincent van Gogh, Tree Roots, July 1890. Van Gogh Museum, Amsterdam - Public Domain via Wikipedia Commons

Ormai lontano il clima esaltante del ’48 e fallita l’esperienza della Comune, si apre un solco profondo e definitivo col passato e, nella società del presente, l’artista stesso vive una situazione precaria e marginale, di profonda e insanabile solitudine.
Sebbene van Gogh non abbia avuto allievi e non abbia fondato alcuna scuola, tuttavia la sua lezione sarà immediatamente colta dalle prime avanguardie del XX secolo, in particolare dai Fauves e dall’Espressionismo in generale, soprattutto per ciò che concerne l’uso arbitrario del colore in senso antinaturalistico, volto all’espressione di stati d’animo personali, così come la ricerca di una compartecipazione emotiva tra uomo e natura . È il rapporto del pittore con la sua arte a costituire l’eredità principale di questo artista: van Gogh è stato un solitario che nella propria opera ha infuso l’espressione di sé piuttosto che l’impressione proveniente da una realtà esteriore, cercando di far emergere non tanto l’oggetto della rappresentazione, ma l’interiorità del proprio animo tormentato.

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