Pagine

lunedì 23 gennaio 2017

EDWARD HOPPER: UNA FINESTRA SULLA SOLITUDINE URBANA.

Sono rari i quadri di Edward Hopper in cui non compaia una porta, una finestra, una vetrina o un finestrino, che l’ambiente sia una stanza, o un ufficio, o lo scompartimento di un treno, o la camera di un motel, o un desolato bar notturno. Anche i paesaggi visti dalla strada si soffermano sulle facciate delle case, e in particolare sulle finestre. Hopper intuiva bene che la finestra è l’anima di un edificio, un focus metafisico, ciò che permette lo sguardo dall’interno verso l’esterno, così come dall’esterno verso l’interno.
Si potrebbe dire che la finestra è il luogo dello sguardo per eccellenza.
Se osserviamo i quadri di Hopper, notiamo subito una cosa: i personaggi sono quasi sempre seduti: su un letto, su una sedia, su una poltrona o sul marciapiede: sembra come se a un certo punto avessero deciso di fermarsi, di arrestare la propria quotidianità. Li vediamo assorti nei loro pensieri con il capo chino oppure intenti a guardare fuori da una finestra o verso un orizzonte lontano, con lo sguardo vuoto di colui che guarda ma non vede. Non sono all’ombra, quasi mai al buio, i personaggi di Hopper, anzi il più delle volte sono investiti da una luce intensa, naturale o artificiale, dimostrando che anche la luce, e non solo l’ombra e l’oscurità, è capace di trasmettere inquietudine e solitudine.
Passiamo ora ad analizzare tre dipinti di questo grande artista, che rappresentano altrettanti punti di vista, tre diverse direzioni dello sguardo del pittore e, conseguentemente, dell’osservatore.

1. LO SGUARDO DALL’INTERNO

Il primo di questi è lo “sguardo dall’interno”, cioè il punto di vista che parte da un ambiente chiuso e ha una qualche uscita verso l’esterno, e lo spettatore si sente invitato a entrare dentro questo luogo di intimità. Nella maggior parte dei casi lo sguardo del personaggio presente è rivolto verso questa via di uscita, costituita quasi sempre da una finestra. Il punto di vista è spesso laterale, oppure collocato alle spalle del personaggio, e l’esterno può essere appena visibile o mostrare un’ampia visuale, costituita da altri edifici, oppure da un paesaggio naturale.

Edward Hopper, Morning Sun, 1923



Questo dipinto, Morning sun, stupisce per la sua essenzialità. La scena è racchiusa all’interno di una camera, dove c’è una donna sola, seduta con le braccia incrociate sulle gambe piegate, in posizione raccolta sopra un letto intatto, con lo sguardo rivolto verso una finestra da cui entra la luce del sole (unica modella di Hopper fu la moglie Jo, con la quale ebbe un rapporto tormentato ma duraturo, e che all’epoca di questo dipinto aveva 69 anni).
Sembra circondata da un silenzio estremo, quasi metafisico. Fuori dalla finestra si intravede un complesso edilizio tagliato, forse una fabbrica. La stanza è spoglia: nessun elemento distrae con la sua presenza dalla figura centrale. La donna ha l’espressione assente, persa in un vuoto lontano, in un “altrove” che esce fuori dal confine del quadro e che resta ignoto allo spettatore. La sua è una pura presenza fisica, in quanto il suo pensiero, il suo mondo interiore, rimangono del tutto inaccessibili.
Il suo occhio destro è una piccola macchia nera, quasi un’orbita vuota, che infonde una sensazione inquietante e che soprattutto testimonia la condizione di alienazione (intesa come condizione di estraneità e di disinteresse per la realtà circostante) del personaggio. La luce fredda e tagliente e le ombre della stanza creano una tensione psicologica, ma soprattutto un gran senso di solitudine, accentuato dai colori e dalle geometrie, dalla posizione elevata della stanza rispetto alla strada e dal volto inespressivo e inaccessibile della donna. Difficile interpretare il suo stato d’animo.
Il punto di vista elevato sulla città è comune a molte opere di Hopper. Gli appartamenti sono collocati in alto, lontani dalla strada, in una posizione sospesa che accresce il senso di isolamento e di vuoto di coloro che ci abitano. Spesso dall’altra parte della finestra vediamo degli edifici rossi, con file di finestre che sono poco più di macchie scure, dietro le quali appare difficile immaginare la presenza di altra vita e la cui astratta uniformità rende efficacemente la condizione di anonimato della dimensione urbana. Altre volte, dall’altra parte della finestra ci sono paesaggi naturali, che sembrano incombere sull’interno come una minaccia (si pensi a “Rooms by the Sea” o a “Sun in an Empty Room”). Nei dipinti in cui la presenza umana all’interno dell’ambiente è costituita da una coppia, la finestra sembra amplificare la condizione di solitudine e di incomunicabilità che la caratterizza. Tra l’uomo e la donna è assente qualsiasi tipo di interazione; uno dei due è intento a leggere o a dormire mentre l’altro guarda fuori da una finestra o è seduto sul letto assorto nei propri pensieri, illuminato dalla solita luce tagliente e implacabile, come a ribadire che nelle città moderne l’angoscia e la solitudine si consumano alla luce del sole, dentro gli interni luminosi di case altrettanto moderne, dove domina l’inerzia della soffocante routine quotidiana e il desiderio di evasione e di libertà è ridotto a poco più di un pallido scorcio di cielo.
Tre sono le costanti nelle opere di Hopper con tema simile a Morning sun: una è il rapporto tra interno ed esterno, separati e nello stesso tempo collegati dalla finestra, attraverso la quale, tuttavia, lo sguardo del personaggio non riesce ad uscire all’esterno, in quanto sembra imprigionato nel suo mondo interiore, a tal punto che lo spettatore vive la contrastante condizione di colui che è invitato dentro l’intimità della scena, ma poi è respinto fuori dalla chiusura introspettiva del personaggio. In tutte queste opere la finestra costituisce una “esperienza dell’anima”, un’apertura non solo sull’esterno, ma soprattutto sull’interiorità dei personaggi e dell’autore.
L’altra costante è la luce, l’incidenza della quale sui corpi e sulle pareti delle case ha rappresentato uno studio costante e quasi ossessivo per l’artista.
La terza è la sensazione di silenzio e di immobilità, quasi una sospensione metafisica, che impregna queste opere, come se Hopper fosse in grado di estrarre il fotogramma di una sequenza e fissarlo in maniera assoluta, filtrando solo l’essenziale e dipingendoci attorno l’eternità, in modo tale da eliminare anche l’attesa del fotogramma successivo.

Eleven A.M., 1926.

Hotel by a Railroad, 1952.

Hotel Window, 1955.

Morning In a City, 1944.

Office in a small City, 1953.

Room in Brooklyn, 1932.

Summer in the City, 1950.

Woman in the sun, 1961.

Rooms By The Sea, 1951 - Wikiart

Sun In An Empty Room, 1963 - Wikiart


2. LO SGUARDO DALL’ESTERNO

Ora vediamo un punto di vista diverso che caratterizza alcune opere di Hopper, dove lo sguardo segue una direzione opposta, dall’esterno verso l’interno. Qui il punto di osservazione della scena è fuori, in strada e si insinua all’interno di un ambiente chiuso attraverso la finestra. A questo proposito, analizziamo un dipinto del 1932, Room in New York.

Room in New York, 1932.

Dalla finestra spalancata di un anonimo appartamento borghese, Hopper conduce il nostro sguardo dentro l’intimità di una vita di coppia. Il colore della luce all’interno e l’ombra sotto il davanzale ci fanno capire chiaramente che è sera. Lui è immerso nella lettura di un giornale (ed è già strano, visto che di solito il giornale si legge al mattino), lei è seduta presso un pianoforte e sta pigiando pigramente un tasto con un dito, senza convinzione, senza alcun coinvolgimento. Salta subito agli occhi la lampante verità di trovarsi di fronte a due persone che non hanno più nulla da dirsi, chiuse ognuna nel proprio egoismo, e che portano avanti la stanca e tediosa commedia della routine quotidiana.
I visi dei due sono poco più di due macchie indistinte, di cui non si riesce a decifrare l’espressione. Riusciamo ad intuire soltanto che ognuno dei due è distante col pensiero, perso nel proprio mondo interiore e forse nel desiderio di essere altrove. Privandoli di un volto riconoscibile, Hopper non ha voluto caratterizzarli come individui veri e propri, con una loro identità, ma quasi come dei tipi sociologici. Tra i due Hopper ha dipinto una gigantesca porta chiusa, che, data la prospettiva schiacciata e la scarsa profondità, sembra incombere molto vicina ai due personaggi. L’illuminazione è densa e sfuma i contorni di cose e persone. Percepiamo un silenzio quasi palpabile, soffocante, che ha saturato ogni spazio dell’ambiente.

Apartment Houses, 1923.

Come in altre opere di questo artista che adottano lo stesso punto di vista, Hopper allarga a tal punto l’apertura dentro la scena da costringere lo spettatore a porsi di fronte ad essa come di fronte a un acquario, in cui nuotano pesci immobili e inconsapevoli. La finestra aperta sull’interno della casa lo rende un esploratore e nello stesso tempo un voyeur morboso, che cerca di studiare il fenomeno e di cogliere ogni dettaglio della scena, ogni singola espressione di quelle persone anonime e sconosciute, in grado di rivelare il grado d’intimità della loro relazione oppure la loro insanabile distanza. La finestra qui, come in molte opere di questo autore, è un’apertura verso l’interno non solo della casa, ma anche del mondo interiore dei personaggi e dell’autore, una sorta di porta d’accesso all’anima.
Come i suoi personaggi, anche il pittore si mostra emotivamente distaccato nei confronti dell’umanità da lui dipinta. Il suo pennello distilla le composizioni con freddezza e lucidità, tagliandole con la sua luce implacabile, senza rivelare alcuna partecipazione emotiva.

August in the City, 1945.

Per raccontare il disagio esistenziale dell’America, Hopper non cerca i suoi soggetti nei quartieri degradati, nella miseria, nell’ozio sociale e culturale. Al contrario. Gli ambienti architettonici delle sue opere ospitano la parte pulita e presentabile della società americana, quella che vive in case moderne e ordinate, illustrate nelle riviste alla moda. L’abilità dell’artista è quella di far decantare impietosamente gli elementi essenziali di quella messa in scena, in modo da rivelarne tutto il vuoto e l’inconsistenza. Dietro le imponenti facciate degli edifici dipinti da Hopper regna il baratro del nichilismo contemporaneo.

Night Windows, 1928.

New York Office, 1962.

Ancora una volta lo spettatore si trova nella posizione conflittuale di colui che è invitato all’interno del dramma, mentre ne è contemporaneamente respinto fuori dalle posizioni di chiusura dei personaggi sulla scena. Essi sono le nuove entità antropologiche che vivono nelle società moderne, dove i processi di alienazione e di disgregazione hanno prodotto degli individui isolati e chiusi in se stessi, drammaticamente estranei gli uni agli altri e incapaci di comunicare.

Edward Hopper, House at dusk, 1935, Virginia Museum of Fine Arts, Richmond - Wikiart.

Come si è già detto, per Hopper la finestra è il tempio dello sguardo, e in quest’opera l’artista celebra lo sguardo come un modo di intendere il mondo. Questo dipinto è stato accostato, per analogie di inquadratura e contenuti, al film più voyeuristico della storia del cinema, “La Finestra sul cortile” (1954). È risaputo quanto Alfred Hitchcock amasse le opere di Hopper e come da esse si sia lasciato ispirare in molti dei suoi film. In particolare in “La finestra sul cortile” molte inquadrature sembrano ricalcare alcune composizioni hopperiane, tra le quali Room in New York.

La finestra sul cortile - Alfred Hitchcock.


3. LO SGUARDO SU UNA LINEA DI CONFINE

Il terzo dipinto di Edward Hopper che prendiamo in considerazione è Sunlight on Brownstones, del 1956. Qui il punto di vista da cui è ripresa la scena non segue né la direzione interno-esterno, né quella opposta esterno-interno. L’ambiente interno manca del tutto: sia la scena che lo sguardo su di essa si collocano fuori da ambienti chiusi.

Edward Hopper, Sunlight on Brownstones, 1956.

Il denominatore comune di questa opera e di altri dipinti di Hopper è quello di collocare i personaggi su una linea di confine tra interno ed esterno. Questo confine è nella maggior parte dei casi costituito dalla soglia di una porta, oppure da un balcone, un porticato o un marciapiede. Si tratta comunque di un luogo limite che si situa tra l’edificio da una parte e la città o la natura dall’altra.
In questo dipinto un uomo e una donna sono sulla soglia di una casa in arenaria bruno-rossastra (in America con il termine “brownstones” si indicano anche le case, per lo più signorili, costruite con questo materiale) e hanno entrambi lo sguardo rivolto verso un punto che esce fuori dalla cornice, probabilmente il proseguimento del bosco. La natura è, come in tutte le opere di Hopper, solo una massa oscura e minacciosa che incombe sul centro abitato, come se volesse riconquistarlo, nel duello perenne tra mondo selvaggio e mondo civilizzato. Essa è un ambiente totalmente “altro”, scollegato dalla città di arenaria, cupo e indomabile. Si guardi al modo in cui le due realtà sono rappresentate: con rigorose geometrie lineari l’edificio illuminato dal sole, con macchie indistinte e amorfe la natura, che rimane quasi tutta in ombra. In realtà il bosco dall’altra parte della strada può essere semplicemente un parco, che è una foresta addomesticata, ma gli alberi sembrano contenere al loro interno le tenebre in grado di inghiottire la luce che arriva diretta sull’edificio e sulla coppia.
Il contrasto tra il blu del cielo e il verde del bosco richiama quello tra il colore della maglia dell’uomo e quello del vestito della donna. Un indizio per cogliere il mondo interiore e la dinamica del rapporto della coppia? O per suggerirci che lo sguardo di entrambi è tutto di nostalgia per quel mondo naturale domato dalla città, dal quale si sentono pericolosamente attratti? Il loro sguardo lascia suggerire il desiderio della foresta, ma nello stesso tempo il terrore da essa suscitato li costringe all’immobilità.
Abbiamo visto nei dipinti d’interni di Hopper come le case, costruite e organizzate per proteggere l’uomo dai pericoli della natura, finiscono col diventare paradossalmente delle gabbie mortali e soffocanti. L’hortus conclusus, progettato per proteggere i suoi abitanti, in realtà li intrappola. In questo sostare di uomini e donne sulle soglie di edifici urbani c’è tutto il simbolo di una volontà bloccata, impossibilitata a sciogliere una direzione di movimento. Riconosciamo nel loro sguardo la nostalgia per quel mondo oltre la strada, lo stesso sguardo che si proiettava oltre la finestra nelle opere viste in precedenza, ma il terrore originario per ciò che è oscuro e amorfo continuerà a tenerli lì, su quel confine, immobili.
Difficile classificare questa, come la maggior parte delle opere di Hopper, nell’ambito del “realismo” pittorico. La natura, la casa, i personaggi, i colori, la composizione sono tutti elementi che hanno poco di realistico. Si noti ad esempio l’audace verticalità delle porte e delle finestre dell’edificio: troppo sproporzionate rispetto alle persone. Se il realismo aggancia l’immagine al tempo presente, nell’opera di Hopper invece gli elementi citati e l’atmosfera sospesa donano all’immagine un’immobilità metafisica che aliena la scena dal presente e la congela fuori dallo scorrere del tempo. Se si osservano le opere di Hopper, si ha sempre la sensazione di un’azione bloccata, di un movimento interrotto, di una storia senza via di uscita. I personaggi sembrano sempre essere oggetto di una forza invisibile che limita i loro movimenti e nega qualsiasi azione reale. Nel caso di questo dipinto, questa forza invisibile sembra essere costituita dalle imponenti e marcate linee verticali dell’edificio, che annullano la spinta orizzontale dello sguardo della coppia. Essi sono generalmente, seduti o in piedi, su una linea di confine, incapaci di andare oltre, e guardano davanti a sé come in attesa di qualcosa. La sensazione di attesa coinvolge anche lo spettatore, che si lascia portare in quell’atmosfera fuori dal tempo.
Sunlight on Brownstones contiene molti temi fondamentali dell’opera di Hopper: la giustapposizione conflittuale di città e natura, di luce e oscurità, di movimento e immobilità, è qui presente insieme a quell’atmosfera di sospensione metafisica e di attesa a cui abbiamo già accennato.


Second Story Sunlight, 1960 - Wikiart.

Summer Evening, 1947.

Summertime, 1943.

Sunday, 1926.

Edward Hopper, Cape Cod Evening, (Sera a Cape Cod), 1939,olio su tela, 76.2 x 101.6 cm, National Gallery of Art, Washington DC, Virginia, USA  - Wikiart.

Edward Hopper, South Carolina Morning, 1955, Whitney Museum of American Art, New York - Wikiart.

High Noon, 1949 - Wikiart.

People In The Sun, 1960, Smithsonian American Art Museum - Wikiart


Di Hopper è stato detto che sapeva “dipingere il silenzio”, e in effetti egli è stato uno dei primi artisti americani a dipingere l’esperienza di solitudine tipica della provincia americana. Potente portavoce dell’ immaginario occidentale, capace di influenzare il cinema, la fotografia, la letteratura e la cultura popolare con le sue immagini, che sono trattati di osservazione sociologica della vita urbana occidentale, Hopper ha saputo dipingere la tragica quotidianità degli uomini e delle donne del XX secolo, arrivando intatto fino a noi, che riusciamo a sentire la forza evocativa e la sconcertante attualità delle sue opere.

Nessun commento:

Posta un commento