Johann Heinrich Füssli, L'incubo, 1802, Goethe Museum Frankfurt-am-Main. |
Questo è il soggetto che ha reso celebre il pittore svizzero (trasferito in Inghilterra) Füssli e del quale esistono più versioni.
La scena è ambientata in una tetra camera da letto. In primo piano una figura femminile rovesciata sul letto in una posa innaturale che le conferisce un aspetto esanime. Più che addormentata, la posizione delle braccia e la testa reclinata le donano
un’espressione di perdita di coscienza. Sul suo stomaco è seduto un mostro grottesco, personificazione dell'incubo, con le orecchie a punta e il sorriso sinistro, che ammicca ghignante verso lo spettatore. In secondo piano, da una tenda cremisi come quella di un sipario teatrale, spunta una cavalla spettrale, con inquietanti occhi bianchi e vacui, che rappresenta la portatrice dei sogni. Füssli colloca nello stesso spazio compositivo sia il soggetto che sogna, sia il suo incubo, sia infine il portatore dell’incubo medesimo.
Anche i colori cupi, dalle tinte irreali e dai forti contrasti, amplificano l'immagine visionaria dell'incubo. La luce è completamente innaturale, adoperata con tecnica teatrale tramite un’illuminazione a getti, in grado di creare delle apparizioni fantastiche e spettrali, facendole emergere dall’oscurità. La donna, con la sua lunga camicia bianca e la pelle d’avorio, è l'oggetto più illuminato, mentre la cavalla, investita da un bagliore sinistro, è circondata da un alone nebbioso.
La composizione di entrambe le versioni più famose de L’Incubo è a piramide, con un vertice acuto, che conferisce all’immagine un effetto deformante, accentuato dall'allungamento orizzontale della figura femminile. C’è una tensione stranamente sensuale nel corpo della ragazza, nel legame tra la sua pura e chiara giovinezza e l’orrendo e tetro mostro che la tormenta. La riproduzione dei recessi più misteriosi della psiche umana attraverso il simbolismo dell’artista è un mondo irreale e fantastico, popolato da figure legate al mito e alla fiaba, dalle cui ombre emergono i turbamenti e i desideri proibiti, i demoni della parte più oscura e profonda dell'animo umano e di un'epoca storica, intrisi di violenza e istinti brutali.
Johann Heinrich Füssli, L'incubo, 1781, Detroit Institute of Arts. |
La pittura di Füssli manifesta un forte conflitto tra impulsi irrazionalistici e aspirazioni illuministico-razionali. Se la realizzazione delle sue opere, basata su forme essenziali, chiuse e ben delineate e su una composizione ordinata, è di tipo neoclassico, l’atmosfera è invece pre-romantica, pregna di quelle oscurità gotiche che caratterizzano il periodo a cavallo tra Settecento e Ottocento. Anche le linee, basate su curve e sinuosità, si rifanno al gotico, così come il verticalismo e la deformazione anatomica, l’oscurità piena di mistero, l’illuminazione e i colori irreali, e il generale effetto enfatico di abbandono della fanciulla. L’ombra, che l’arte neoclassica nascondeva sotto forme limpide, irrompe nell’arte di Füssli con teatrale messa in scena. Tutto ciò concorre a provocare un impatto fortemente emozionale, sebbene di tipo angoscioso. Egli unisce una salda formazione classica, basata su studi approfonditi della plastica soprattutto michelangiolesca, con l’influsso romantico della Londra del tempo. Le sue sono immagini istantanee, intagliate dalla luce che squarcia il buio all’improvviso, sorprende i personaggi e li contorna di un cinereo alone di mistero. Tutta la sua opera sarà caratterizzata dalla ricerca del sublime, teorizzato nel 1756 da Burke, in opposizione al sentimento del bello. Il sublime non nasce dal piacere della misura, dell'ordine e della forma bella dell'oggetto, ma ha la sua origine nei sentimenti di terrore, di sgomento, di smarrimento suscitati dalla dismisura, da “tutto ciò che è terribile o riguarda cose terribili” (per es. il vuoto, l’oscurità, la solitudine, il silenzio, l'infinito ecc.).
Nell’opera di Füssli prendono vita gli incubi che covavano sotto la ragione illuminista, quella ragione la cui degenerazione aveva portato al “terrore” postrivoluzionario. La ragione inibita dal sonno permette che abbiano sopravvento l’irrazionale e il mostruoso, e sembra quasi di udire in lontananza l’eco dell’opera che Goya intitola proprio Il sonno della ragione genera mostri (1797).
Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797. |
La simbologia mitologica che avvolge e permea la storia del cavallo presenta un'ambivalenza di fondo che lo vede da un lato come un essere nobile ed intelligente, dall'altro come un concentrato di forza istintuale e passionale, capace di incutere angoscia e turbamenti. Egli è contemporaneamente puro e impuro, creatura solare e infernale, divino e demoniaco, animale legato al carro di Apollo e messaggero dell’Apocalisse. Il suo aspetto imponente è insieme terrificante e pieno di fascino.
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