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lunedì 4 gennaio 2016

Animali in pittura - Nature morte

Il Seicento è il secolo della crisi, caratterizzata innanzitutto dalla perdita della visione antropocentrica tipica dell'età umanistico-rinascimentale, ossia della fiducia nelle potenzialità dell’uomo di dominare la natura e l’universo e di essere artefice del proprio destino. Con l'affermarsi del modello eliocentrico, che soppianta quello geocentrico, l’uomo del Seicento scopre di non essere più al centro dell’universo, ma di essere posto tra due abissi, l'infinito e il nulla, e di non avere pertanto dei saldi punti di riferimento. In secondo luogo, la dilatazione dei confini geografici del mondo, dopo la scoperta dell’America e lo spostamento conseguente del baricentro economico dal Mediterraneo all’Atlantico, determinano la decadenza economica dell’Italia, l’emergere di nuove potenze commerciali e coloniali (Paesi Bassi e Inghilterra) e la crisi della centralità dell'Europa. Inoltre, con il Seicento, vengono meno anche i punti di riferimento politici e religiosi; la composizione dell’Europa, rispetto ai secoli precedenti, è caratterizzata da una diffusa frammentazione sia
politica che religiosa. Nel Seicento trova compimento, infatti, il processo inarrestabile di crisi che aveva investito le due istituzioni cardine del Medioevo, la Chiesa e l’Impero. All’unica chiesa cattolica si erano affiancate numerose chiese riformate (luterana, calvinista ecc.) e all’impero numerosi stati nazionali, più o meno estesi. Il Seicento è inoltre segnato dalle sanguinose guerre di religione, dalla Guerra dei Trent'anni, dalle epidemie di peste e dalle crisi economiche. Di qui il senso di profondo smarrimento, di insicurezza, di instabilità del reale, delle ingannevoli apparenze, della relatività dei rapporti tra le cose che caratterizza questo secolo
Eppure, non si esaurisce in questo l'identità di un'epoca che fu, al contempo, di grande ricchezza e complessità e che vide emergere alcune caratteristiche di quella che siamo soliti chiamare "modernità": il Seicento fu infatti il secolo del razionalismo, della rivoluzione scientifica e del Barocco. Ma il XVII secolo fu anche il secolo in cui si affermarono, partendo dal nord Europa, nuovi generi pittorici: la natura morta, la pittura di paesaggio e quella d’interni.
Il Seicento è il secolo d'oro della natura morta, particolarmente nell'Europa del Nord (ma anche in Italia e Spagna).

Paul de Vos (pittore fiammingo), Still-Life with Dead Game and Lobster, tra il 1640 e il 1660.
 Questo genere è un tipo di rappresentazione pittorica in cui protagonisti sono degli oggetti inanimati: frutta, fiori, crostacei, pesci e selvaggina morta, libri, strumenti musicali e oggetti di vario tipo. In questo tipo di pittura, dunque, è scomparso l'uomo, il semidio dell'arte rinascimentale. Moltissimi quadri sono pieni di oggetti inanimati, che tuttavia non sono nature morte. Per diventarlo, gli oggetti devono essere allestiti secondo precise regole illusionistico-spaziali. Innanzitutto la rappresentazione della natura morta è collegata a una superficie su cui gli oggetti sono disposti, ad esempio un tavolo o una mensola. Ombre profonde, luci dorate, enfasi di forme e sfarzo di colori presentano gli oggetti con teatralità scenografica e in maniera quasi monumentale, senza più la necessità di una figura umana che giustifichi la loro presenza. La forte predominanza di tinte oro, verde scuro e rosso porpora, punteggiate qua e la da sprazzi di luce, seguono l'obiettivo dell'esaltazione sontuosa della naturalità.

Adriaen van Utrecht, Natura morta, 1644
Ciò che salta subito agli occhi nella costruzione spaziale della natura morta è l’eliminazione degli artifici prospettici, in particolare la negazione della profondità. Questo avviene sia mediante la scelta del punto di vista ravvicinato, sia mediante l’eliminazione del fondo come spazio infinito. La natura morta, rinunciando alla profondità prospettica, costruisce un sistema di “sguardo” dello spettatore meno rigido e vincolante di quello prospettico e gli permette di collocarsi nello spazio in modo più elastico. Negando la profondità, la spazialità della natura morta proietta la rappresentazione in avanti, verso lo spettatore, che quindi viene chiamato ad essere autentica “presenza”. L'utilizzo della finzione spaziale, infatti, mette sotto gli occhi di un osservatore quegli elementi che altrimenti, pur appartenendo al mondo della quotidianità, sarebbero consegnati al silenzio e alla dimenticanza. La realtà, desacralizzata, diviene un insieme di cose indagate da uno sguardo più oggettivo e analitico, che tende a penetrare con la stessa acutezza la realtà fisica e umana. Anche il corpo umano, in quanto oggetto di osservazione scientifica, non differisce da un animale o da una pianta. Nella Lezione di anatomia di Rembrandt il cadavere è completamente desacralizzato, ridotto a puro oggetto di curiosità.
Non esiste più una gerarchia tra gli elementi dell'universo che, privo di centro, appare ridotto a un insieme di parti di uguale valore. Guardando le innumerevoli opere del tempo (e anche del secolo successivo) traboccanti di fiori, verdure, selvaggina, stoffe, calici, libri e oggetti di vario genere veramente ci viene da chiederci che fine abbia fatto il possente e carnale uomo di Michelangelo e di pensare di essere di fronte a un'autentica mutazione antropologica. Le interpretazioni di tipo sociologico interpretano il fenomeno riportandolo al cambiamento della committenza (in Olanda, dove si sviluppa in particolare questo genere, il bando calvinista dell'iconografia religiosa favorisce la diffusione di soggetti non religiosi, di contenuto profano, mentre la ricca e dominante borghesia mercantile è caratterizzata da nuovi gusti in fatto di arte, più orientati verso dipinti decorativi di oggetti, di interni o di paesaggi e vede nella raffigurazione delle 'merci', che sono alla base del suo successo, la celebrazione del suo nuovo status e della sua ricchezza). Ma questa spiegazione, seppur vera, non esaurisce tutta la portata del fenomeno.

Pierre van Boucle (attribuito a), Still Life, 1652 ca.

Nella natura morta un oggetto non trae senso dall'azione scenica, ma esclusivamente da se stesso. Il suo significato è intrinseco e indipendente. All'inizio, queste incredibili rese illusionistiche di spazio, superficie, luce e materia assumono spesso il ruolo di simbolo morale, ad esempio di vanitas e memento mori (ammonimento che ricorda la fugacità del tempo e la precarietà della vita). Ma è arduo tracciare una storia di questo genere pittorico a senso unico; attualmente le interpretazioni della pittura olandese del Seicento variano da quella che la concepisce come un'arte ricca di simboli e decifrabile attraverso l'uso di testi iconografici, a quella che la ritiene un virtuosistico esercizio di stile. Di fatto è alquanto difficile segnare un confine tra spinta al realismo, alla precisione mondana ed illusionistica delle raffigurazioni, e ricerca dell'espressione simbolica, o trovare un'attribuzione di senso a tutti gli oggetti raffigurati. Questa sovrapposizione tra statuti rappresentativi diversi (realismo e allegoria) caratterizza l'origine e lo sviluppo della natura morta.
L'elemento di novità fondamentale che si afferma con questo genere pittorico è che la natura morta rende immutabile un frammento minuscolo di tempo e di spazio che appartiene alla quotidianità, a differenza delle rappresentazioni sacre o mitologiche, che avevano a che fare con l'eternità, o di quelle di storia pubblica o privata, che ritraevano avvenimenti e date precisi. Con la pittura di genere si mostra, in sostanza, che il soggetto di un quadro non è poi così importante, che esso può essere costituito anche da oggetti banali e quotidiani, che traggono verità da se stessi. Gli artisti scoprono di essere liberi di scegliere gli oggetti che preferiscono dipingere, disponendoli su un tavolo secondo la loro fantasia e facendoli diventare un campo di sperimentazione in cui indagare i problemi della pittura (resa della luce, dei riflessi sulle superfici, della consistenza materica). Nel clima di smarrimento di quel periodo, essendo venute meno le grandi certezze che reggevano l'universo rinascimentale, l'artista elaborava nuovi strumenti per affrontare la complessità della realtà sfaccettata e inafferrabile in cui viveva e lo faceva partendo dagli oggetti comuni e quotidiani.

Felice Boselli, Dispensa con selvaggina, punta di formaggio, limoni, gatto, colomba e porcellino d’India, 1690 circa, Parma, Galleria Nazionale.
Inoltre, per la prima volta, egli concentra a tal punto l'attenzione sulle cose, da identificarsi con esse. Tra gli oggetti e l'uomo (artista e spettatore) si instaura un rapporto particolare (e questo sarà soprattutto vero nella pittura dei secoli successivi). L'oggetto immobile e silenzioso, la "still-life", diventa il depositario dell'interiorità dell'uomo, espressione della sua spiritualità. Quell'uomo che non è rappresentato nel quadro, viene però evocato dall'oggetto muto, dalla sua realtà fragile, labile e transitoria.

Jan Weenix, Still-Life with a Peacock and a Dog, 1696Musée du Louvre, Paris.


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