Il mito più antico che lo riguarda, narrato anche nelle Metamorfosi di Ovidio, è quello di Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta. La leggenda narra che Zeus, innamoratosi di Leda, si trasformò in un cigno e si accoppiò con lei, che dormiva presso le acque del fiume Eurota, nella Laconia e che, in seguito a questa unione, generò due uova: dall’uno, proveniente dal suo connubio con Zeus, sarebbero usciti i Dioscuri ("figli del dio"), Castore e Polluce, mentre dall'altro, frutto dell'unione di Leda con il marito, sarebbero uscite Elena e Clitennestra, anche se la tradizione mitica non è concorde su quale fosse la progenie divina; secondo alcune versioni i figli immortali di Zeus non sarebbero i Dioscuri, ma Polluce ed Elena, mentre gli altri due sarebbero i mortali figli di Tindaro.
Leda, che letteralmente vuol dire “la genitrice”, è dunque madre di dei e di uomini appartenenti al cielo (attraverso l’unione con Zeus) e alla terra (per Tindaro). La sua unione con Zeus è sacra e pertanto le più antiche raffigurazioni del mito fanno parte del piano religioso (sia il cigno che l’uovo rimandano infatti alle cosmogonie orfiche e ai culti dell’aldilà praticati fuori dal mondo greco, presso Paleoveneti ed Egizi). A partire però dalla tarda età ellenistica acquista sempre maggiore interesse l'aspetto erotico e sensuale della storia. In sculture di qualche secolo prima di Cristo, Leda è raffigurata seduta mentre con il mantello protegge il cigno da un'aquila minacciosa (Leda di Timotheos), ma esistono altri lavori altrettanto antichi che raffigurano Leda stesa sotto il cigno che le avvicina il becco alle labbra per baciarla, oppure mentre il cigno l'abbraccia in un gesto teneramente umano.
Leda con il cigno, opera marmorea di età adrianea, possibile copia da un originale di Timoteo. Roma, Musei Capitolini S 302. |
Durante il tardo Medioevo si afferma il paragone di Leda, che concepisce i suoi figli immortali con Zeus tramutato in cigno, con Maria, che viene fecondata dallo Spirito Santo sotto forma di colomba.
A partire dall'Umanesimo e dal Rinascimento, la rappresentazione di questo mito conosce una grandissima fortuna, articolandosi generalmente in due tipologie: quella più "familiare", in cui compaiono le due coppie di gemelli usciti dalle uova schiuse (esempio ne sono le opere di Leonardo da Vinci, che noi conosciamo solo tramite alcuni suoi disegni preparatori e grazie alle copie e varianti eseguite dai suoi discepoli), e quella più "erotica" che si sofferma esclusivamente sull'amplesso tra Leda e Giove/cigno.
Leda della Galleria Borghese, copia di un dipinto di Leonardo da Vinci, 1510-15. |
Sarà la seconda quella che avrà più successo, diffondendosi ampiamente già alla fine del Quattrocento e godendo di abbondanti testimonianze soprattutto nelle stampe, prima di raggiungere una dignità pittorica di assoluto rilievo verso il 1530 con le opere di Correggio e di Michelangelo e poi godere di una buona fortuna per la sua carica sensuale fino ai nostri giorni.
Attribuito a Rosso Fiorentino (da Michelangelo), Leda e il cigno, National Gallery di Londra. |
Della Leda realizzata da Michelangelo per il duca di Ferrara non conosciamo l’originale, perduto, ma possediamo numerose repliche e svariate testimonianze scritte. Il pittore aveva eseguito l'opera per Alfonso I d'Este, ma quando l'emissario ducale si presenta dal Buonarroti per ritirare l'opera, ne esprime un giudizio abbastanza critico. Sdegnato, Michelangelo rifiuta di consegnare la pittura e regala il quadro al Antonio Mini che lo vende di lì a poco al re di Francia Francesco I. Questo dipinto diviene subito celeberrimo. Numerose repliche ne sono presto tratte, dalla copia, forse cinquecentesca, della National Gallery di Londra, attribuita a Rosso Fiorentino (quella che vedete in questa foto), all’incisione di Cornelis Bos, forse la più fedele riproduzione dell’originale michelangiolesco, in cui sono visibili anche i gemelli Castore e Polluce e un uovo che contiene un feto. Michelangelo sembra più attratto dall’aspetto della carnalità dell’atto che si consuma tra Leda e il cigno e lo trasmette attraverso forme voluttuose in preda a una dirompente energia.
Quella pronunciata sensualità che entusiasmò i contemporanei, divenne causa stessa della rovina della Leda, che fu bruciata fra il 1642 e il 1643 per ordine, secondo alcune testimonianze pervenute, della regina madre Anna d’Austria. Colta da Michelangelo «in un atto di amore appassionato così vivido e lascivo», la Leda fu infatti giudicata «indecente» e meritevole di finire al rogo per «ragioni morali».
Anche la tela del Correggio subì, per gli stessi motivi, burrascose vicissitudini. Essa faceva parte della serie degli Amori di Giove che Federico Gonzaga di Mantova aveva commissionato al Correggio nei primi anni trenta del Cinquecento. Dopo vari passaggi di mano da una corte all'altra, ai primi del Settecento l'opera si trovava in Francia. Allora il figlio del duca di Orleans, trovando il dipinto troppo licenzioso e lascivo, vi si scagliò contro con un coltello e rovinò irrimediabilmente il volto della figura di Leda. L’opera fu quindi restaurata più volte, ma mitigando in senso più casto e pudico l'originale espressione del viso della donna, giudicata troppo voluttuosa e sensuale.
Antonio Allegri detto il Correggio, Leda, 1530-1531 circa, Gemäldegalerie di Berlino. |
Il mito di Leda e il Cigno ha affascinato e ispirato artisti di varie epoche. Nella seconda metà dell’Ottocento il pittore parigino Gustave Moreau, precursore del Simbolismo, diede anch'esso la sua interpretazione (con numerose opere dedicate a questo soggetto) del tutto originale. La sua pittura pone degli interrogativi, invita ad andare oltre, a trovare dei significati nascosti. Le sue rappresentazioni del mito di Leda tralasciano l'atmosfera di erotismo piccante, impregnandosi invece di sacro e di mistero.
Gustave Moreau, Leda, 1865-1875. |
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