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giovedì 17 ottobre 2024

Oltre il Test di Turing



Questo breve articolo si propone di argomentare per alcuni sommi capi l'opportunità di accantonare definitivamente il Test di Turing in quanto banco di prova, riconosciuto quanto meno dalla coscienza pubblica se non dalla comunità scientifica, per giudicare le capacità di un'intelligenza artificiale. Fu suggerito da Alan Turing in un articolo del 1950, Computing Machinery and Intelligence, in cui l’autore elaborò il suo famoso «gioco dell’imitazione»: immaginò una situazione in cui un intervistatore interrogava due interlocutori nascosti – un essere umano e una macchina – e cercava di capire quale fosse l’uno e quale l’altro. Secondo questo test, una macchina era intelligente se riusciva a spacciarsi per un essere umano durante una conversazione. 
Perché questo test è fuorviante e va messo da parte? 

Una riduzione antropocentrica dell'intelligenza. 
Per una serie di ragioni, la più importante delle quali è il fatto che questo test si fonda su una visione irriducibilmente antropocentrica dell'intelligenza: è intelligente ciò che fanno gli esseri umani. Quando parliamo di intelligenza artificiale avanzata, o intelligenza artificiale «generale», intendiamo proprio questo. Un’intelligenza che opera allo stesso livello, e più o meno nello stesso modo, dell’intelligenza umana. L’intelligenza, insomma, consiste in «ciò che fanno gli esseri umani» e «ciò che accade nella nostra testa». Nella nostra visione limitata e antropocentrica, continuiamo a giudicare non solo l’IA ma anche gli altri esseri che ci circondano, secondo i nostri standard. Il bel saggio di James Bridle, Modi di essere. Animali, piante e computer: al di là dell'intelligenza umana, argomenta a lungo questo limite della nostra concezione del mondo non umano o, come scrive l'autore, più che umano. Scrive Bridle: «Piuttosto, se vogliamo davvero capire in cosa potrebbe consistere l’intelligenza non umana, e dunque trasformare la visione delle capacità nostre e altrui, dobbiamo smettere di immaginare l’intelligenza come qualcosa di definito dall’esperienza dell’uomo. Dobbiamo invece considerarla fin dall’inizio qualcosa di più che umano.»
L’intelligenza non è un concetto monolitico; esistono molte forme di intelligenza, sia umane che artificiali. Limitarsi a un test che misura la capacità di una macchina di imitare un essere umano riduce la comprensione delle potenzialità dell’IA. Una volta accettato che ci sono molti modi di «fare» intelligenza, piuttosto che di essere intelligenti, potremo anche abbandonare l'idea che l'IA consista unicamente nel fare ciò che fanno gli esseri umani. Va da sé che, in tal caso, il test di Turing cesserebbe di avere la pregnanza che oggi gli attribuiamo.



La contrapposizione Umano - Macchina.
Il Test di Turing crea una dicotomia tra macchina e uomo, suggerendo che l’intelligenza artificiale debba essere valutata in base alla sua capacità di imitare l’essere umano. Tuttavia, questa visione non tiene conto del fatto che l’essere umano è da sempre un homo technologicus, che integra strumenti e tecnologie nella propria esistenza. Noi elaboriamo e costruiamo strumenti che a loro volta modificano il nostro modo di essere: siamo la tecnologia dei nostri strumenti, che ci plasmano e ci modellano. La tecnologia non è un’entità separata, ma un’estensione, non inerte, delle capacità umane. 
La relazione antagonista e competitiva che colloca l'uomo di fronte alla macchina, dove quest'ultima mette in atto un gioco di simulazione che mira a non essere scoperto, presuppone che i due soggetti coinvolti, l'uomo e la macchina, siano due entità autonome e che l'intelligenza di ognuno sia una qualità propria, indipendente, immutabile e in competizione. In realtà l’intelligenza, anziché essere un insieme innato e restrittivo di comportamenti, è qualcosa che deriva dalle interrelazioni con l'ambiente e gli altri, compresi i nostri artefatti tecnologici.
Il test di Turing, fondandosi sulla possibilità della macchina di simulare il ragionamento dell'essere umano e di 'ingannarlo', ha contribuito a plasmare un immaginario distopico e uno schema oppositivo, imbevuto fin dalle origini di un senso di sfida, di un clima di sospetto e sensazione di minaccia, come si intuisce dall'avverbio versus che campeggia sullo striscione della storica partita del 1997 tra Kasparov e Deep Blue. 
Superare questa contrapposizione tra intelligenza umana e non umana ci permette di vedere l’IA come un complemento, piuttosto che un concorrente, delle potenzialità umane. E di vedere l'intelligenza come un processo distribuito, integrato, interazionale, dinamico, continuamente in fieri, piuttosto che una qualità statica di una soggettività individuale data una volta per tutte.
Superare il Test di Turing potrebbe significare cominciare a scrivere una storia in cui l’intelligenza dell’uomo e della macchina si amplificano e collaborano a vicenda, invece di tentare di superarsi a vicenda in una prova di forza che, nelle narrazioni distopiche, assume la forma della subordinazione e persino dell'annientamento di uno dei contendenti. 

Dualismo Cartesiano.
Il Test di Turing ripropone il dualismo cartesiano mente-corpo, separando l’intelligenza (mente) dal corpo fisico. È la stessa modalità del test che occulta i corpi, creando ambienti separati che tengono celati i protagonisti, i quali comunicano solo tramite linguaggio verbale. I corpi, essendo il fine quello di smascherare il gioco della simulazione, sono annullati. L'obiettivo, dopotutto, è quello di valutare solo un tipo di intelligenza, fondamentalmente quella logica, linguistica, disincarnata. Tuttavia, questo schema riduce l’intelligenza a un mero processo mentale, ignorando l’importanza del corpo e dell’ambiente nel modellare la nostra cognizione.
La teoria della cognizione incarnata sostiene che il corpo e l’ambiente giocano un ruolo cruciale nel processo cognitivo. Le nostre percezioni, emozioni e azioni sono tutte influenzate dal nostro stato fisico e dal contesto in cui ci troviamo. Ignorare questi aspetti significa avere una visione incompleta dell’intelligenza.
Ad esempio, la nostra capacità di risolvere problemi non dipende solo dalla logica astratta, ma anche dalla nostra esperienza fisica e sensoriale. Un robot che può interagire fisicamente con il mondo, percepire il suo ambiente e adattarsi ad esso, potrebbe dimostrare un tipo di intelligenza più completa rispetto a una macchina che supera il Test di Turing solo attraverso il linguaggio.
Per sviluppare sistemi in grado di esibire una forma integrata di intelligenza è necessario andare oltre il dualismo cartesiano e riconoscere l’importanza del corpo e dell’ambiente. Questo implica progettare macchine che possano interagire fisicamente con il mondo e che siano in grado di comprendere e rispondere al contesto in cui operano.

Antropomorfismo e Deresponsabilizzazione.
Lo schema oppositivo uomo-macchina sotteso al Test di Turing solleva importanti questioni etiche e di responsabilità.
L’antropomorfismo, ovvero l’attribuzione di caratteristiche umane a entità non umane, può portare a una deresponsabilizzazione quando si tratta di IA. Quando le macchine vengono percepite come “umane”, c’è il rischio che gli esseri umani deleghino loro decisioni critiche senza un’adeguata supervisione. Questo può portare a situazioni in cui la responsabilità per errori o decisioni dannose viene confusa o addirittura ignorata.
Superare il Test di Turing, e quindi ottenere la pseudo-replica di un essere umano, non dovrebbe essere l’obiettivo principale nello sviluppo dell’IA. Invece, dovremmo concentrarci su come le macchine possono collaborare con gli esseri umani in modo etico e responsabile. Questo approccio implica dei requisiti: 
- trasparenza: le decisioni prese dall’IA devono essere comprensibili e verificabili dagli esseri umani.
- responsabilità: gli sviluppatori e gli utilizzatori di IA devono essere chiaramente responsabili delle azioni delle macchine.
- collaborazione: le IA dovrebbero essere progettate per lavorare insieme agli esseri umani, migliorando le capacità umane piuttosto che sostituirle.
Concentrarsi su come le macchine possono collaborare con gli esseri umani in modo etico e responsabile è più produttivo che cercare di farle passare per umane. 

A partire dal test di Turing, la forma dominante di intelligenza artificiale venuta fuori, quella di cui tutti parlano, continua Bridle, non è né creativa né collaborativa né fantasiosa. Ma è fondamentalmente competitiva. Le modalità del test ne indicano alcune caratteristiche: contrapposizione, simulazione, riconoscimento, astrazione logica disincarnata. Abbiamo progettato e costruito macchine asservite a questi che sono i capisaldi del presunto predominio umano sul mondo. Liberarsi del test significherebbe forse immaginare e operare secondo schemi che mettono in relazione l'umano, l'IA e il mondo in modi differenti, che siano interconnessi, integrati e collaborativi, piuttosto che separati, antagonisti, disincarnati.

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