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giovedì 21 settembre 2023

Corpi, spazio e tempo: il paradigma di una nuova sfida

Immagine generata con Night Cafè 

 "Nel momento in cui IA saprà scrivere saggi e resoconti, avremo ancora voglia di passare lunghi anni a leggere, sapendo che con un click, una macchina, in pochi secondi, potrà produrre qualcosa di analogo?
Quando un’attività diventa riproducibile dalle macchine, cessa di avere valore per gli esseri umani e, automaticamente, cessano di avere valore gli esseri umani che la svolgono. L’espansione degli algoritmi nel mondo dell’intelligenza toglie valore a molte delle attività che oggi svolgiamo."
Così scrivono Riccardo Manzotti e Simone Rossi in Io & Ia. Mente, Cervello e GPT, edito recentemente da Rubbettino. Le loro conclusioni, tuttavia, non reggono fino in fondo all'esame dei fatti. Quando fu inventata la fotografia - è l'esempio più comune che si fa in questi casi - le immagini non sono sparite: ritratti, paesaggi, composizioni di vario tipo, persino astratte e surreali hanno anzi visto una crescita senza precedenti. Tuttavia è innegabile che la pittura abbia subito un contraccolpo irreversibile: ciò che poteva essere riprodotto dalla macchina fotografica ha cominciato ad essere poco attraente per il pennello. Così come, migliaia di anni fa, l'introduzione della scrittura ha avuto ripercussioni radicali sulla poesia epica orale oppure, qualche secolo fa, l'invenzione della stampa ha spazzato via le miniature. Ogni innovazione tecnologica ha modificato radicalmente le attività umane e spesso ne ha determinato l'estinzione o la radicale trasformazione. 
Tornando all'esempio, lo sviluppo della fotografia, nel contesto della rivoluzione tecnologica, industriale e sociale del XIX secolo, non portò alla morte dell'arte ma a un suo radicale rivolgimento, con l'esplosione delle avanguardie e un fermento di nuovi stili e linguaggi.

Storicamente è accaduto che in molti casi la macchina abbia sostituito l'azione dell'umano, liberando quest'ultimo da quelle fisicamente più onerose; e pare arrivato il momento in cui lo stesso può accadere per quelle cognitive e creative. L'intelligenza artificiale sembra capace di produrre contenuti quasi autonomamente - basta fornire un breve spunto di testo - in ogni territorio finora riservato alla creatività umana: musica, letteratura, immagini. Sa scrivere canzoni e poesie, compone musica, scrive saggi, racconti, sceneggiature, romanzi addirittura, sintetizza immagini che sembrano fotografie, fumetti, pitture, disegni, sequenze cinematografiche.  Simula ogni campo di espressione creativa. E se un racconto può scriverlo un algoritmo generativo in pochi secondi, se un concorso letterario, come è già accaduto, può essere inondato da migliaia di testi, più di quanti la giuria possa leggerne e valutarne, la maggior parte prodotta con IA, quale valore siamo disposti a dare a quei racconti? Chi sarebbe ancora disposto ad acquistare o a premiare romanzi scritti con o da un'intelligenza artificiale? E chi sarebbe ancora disposto a scriverne senza farne uso, passando mesi e anni sulle sudate carte? E come far convivere insieme quelli e questi? C'è un modo per integrare queste nuove tecnologie nelle tradizionali forme di espressione umana, salvaguardando il valore che finora abbiamo attribuito loro?

Le performance dei nuovi algoritmi generativi lasciano prevedere un impatto sbalorditivo e un grado di autonomia impensabili fino a qualche anno fa. Utilizzando i dati, e cioè le mediazioni linguistiche create da esseri umani, i modelli di IA riescono facilmente a combinarle tra di loro, a trovare schemi di relazioni, a generare nuove composizioni. Sembra pertanto che l'umano debba essere scalzato anche dall'ultima roccaforte che lo teneva ancora all'apice della gerarchia: la creatività.

Difficile, tuttavia, pensare che ciò possa accadere e che quell'essere imperfetto e consapevole della propria finitezza, e perciò continuamente affamato di senso, di altrove e di traslazioni simboliche, possa abdicare all'espressione del proprio "istinto" creativo. Più sensato pensare che via via troverà altre forme e modi in cui farlo confluire e dargli spazio, modificando e rimodellando linguaggi tradizionali, o inventandone di inediti e mai visti, magari esplorando i nuovi mezzi a disposizione. Allora, piuttosto che lasciarsi sopraffare dalla tristezza del rimpianto di primati perduti, più confacente alla nostra natura sarebbe lasciarsi stimolare dall'ennesima sfida che si intravede all'orizzonte e che ci chiama tutti quanti a rimboccarci le maniche e darci da fare. E viene quasi la vertigine, perché sembra di dover fare un salto nel vuoto. Il vuoto di un nuovo che ci chiede di essere prima di tutto immaginato.

Immagine realizzata con Night Cafè 


Prima di perderci in quell'orizzonte lontano e sfocato, però, forse prima varrebbe la pena abbassare quello sguardo, rivolgerlo in basso, verso i nostri piedi, le nostre gambe piantate al suolo. I nostri corpi di carne che si muovono nel mondo, che possono toccare le cose ed esserne toccati. 

L'IA non esce, non tocca e non è toccata. L'IA non è nel mondo: può solo disporre delle nostre rappresentazioni del mondo, della musica, delle poesie, dei romanzi e delle immagini che abbiamo prodotto negli anni e nei secoli. Rappresentazioni che vivono sempre in una dimensione temporale che è quella del passato e che non si collocano in uno spazio concreto e abitabile.

E allora forse la nostra creatività del futuro, per riacquistare ancora un senso che sentiamo denso di valore, potrebbe avere nel corpo il suo dispositivo principale, oltre che nella rappresentazione. La creatività potrebbe abitare i corpi che si incontrano in uno spazio e in un tempo impermanenti, transitori, non datificabili. Una creatività che trovi espressione nella dimensione del presente e della presenza, come interazione di corpi, e dove la rappresentazione, l'immagine, il suono, la parola possano essere vivificati da questo incontro che "avviene", che viene e passa e resta come esperienza e che trasforma l’arte in spazio, tempo e azione, e che presuppone, come elemento determinante nella creazione del significato, la relazione con l’imprevedibile, l'effimero e l'intangibile. 
Una strategia che sicuramente richiama l'arte performativa ed environmental delle avanguardie degli anni Sessanta, l'opera aperta di Umberto Eco, ma ripensata alla luce del nostro presente per creare un flusso contrario a quello quotidiano, un flusso che trasforma le tracce della nostra condizione di individui isolati, continuamente ipermediati da spazi virtuali, in banche dati per la sorveglianza e la profilazione. 
L'arte del futuro sarà un'arte che riscoprirà i corpi, lo spazio e il tempo come campo di possibilità in azione, che recupera l'aura dell'hinc et nunc? Potrebbe essere uno dei possibili sviluppi. Nel momento in cui tutta la nostra vita viene trasformata in dati, da fornire come materia prima per calcoli statistici, l'arte potrebbe seguire un movimento opposto e farsi vita che accoglie la dimensione dell'effimero, del non archiviabile. Non per sfuggire ai cambiamenti del presente, ma per costruire un territorio d'esistenza che permetta di metabolizzare quei cambiamenti del mondo e i nuovi agenti che lo abitano senza esserne schiacciati. Corporeità, relazionalità, finitudine: sembrano questi i termini di un paradigma estetico per il nostro presente, il contesto significativo entro cui anche le rappresentazioni di ogni tipo, prodotte o no con l'IA generativa, possano riacquisire nuovo senso e valore.
L'arte è il terreno più fertile per "trattenere", o meglio per rinegoziare la nostra umanità. Non nel segno di un rimpianto del passato e di un istinto di conservazione, bensì come presupposto per affrontare l'inevitabile trasformazione.


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