James Nachtwey, Genocidio in Ruanda, 1994. |
All’interno della tragedia attica, gli episodi cruenti come l'omicidio e la morte del personaggio non venivano mai messi in scena. Essi venivano raccontati, ma non mostrati, perché lo sprofondamento nell’orrore avrebbe determinato un fallimento del dispositivo catartico della rappresentazione. Carmelo Bene inventerà, a questo proposito, la falsa etimologia del termine “osceno” come “ciò che deve rimanere fuori dalla scena”, che è proibito da vedere, che deve sottrarsi alla rappresentabilità.
Nel 1979, al Salone Internazionale Cine Foto Ottica e Audiovisivi (Sicof) di Milano, venne diffuso da Foto/gram un bollettino che riportava le parole di Ando Gilardi e che, in certo qual modo, dettava dei criteri deontologici su ciò che doveva “rimanere fuori dalla scena”, su ciò che doveva essere preservato dalla visibilità:
«Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati. Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte. Non fotografare i negri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati che dormono i loro orribili sogni. La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia. Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate, perché non possono respingerti. Non fotografare il suicida, l'omicida e la sua vittima. Non fotografare l'imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va verso il patibolo. Hanno già sopportato la condanna, non aggiungere la tua. Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi. Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l'eroico moncherino. Non ritrarre un uomo, solo perché la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme. Non perseguitare con il flash la ragazza sfigurata dall'incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l'attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungervi le tue fotografie. Non fotografare gli annegati, i corpi carbonizzati, gli schiantati dai sismi, i dilaniati dalle esplosioni: non renderti responsabile della loro ultima immagine che li farebbe inorridire se ancora potessero vederla. […]».