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lunedì 6 maggio 2019

Corpi che danzano tra terra e cielo

Henri Matisse, La danza, II versione, 1910,  Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo.

Il motivo universale della danza, che si lega a una lunga tradizione iconografica, ritorna più volte nelle opere di Matisse, a cominciare da “La gioia di vivere” (1906), in cui vediamo sei piccole figure sullo sfondo disposte in cerchio. Il tema viene ripreso ne “La danza” del 1909, dipinto monumentale commissionato dal magnate tessile e grande collezionista russo Sergei Shchoukin, per la sua residenza a Mosca e di cui esistono due versioni, una conservata al Museo di Arte Moderna di New York e l’altra, dipinta successivamente, al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo.
L’opera, dipinta secondo i canoni del fauvismo, con colori accesi e innaturali e figure semplificate e bidimensionali collocate in uno spazio privo di profondità, testimonia le ricerche dell’artista di emanciparsi dalle regole della rappresentazione tradizionale dell’arte occidentale. Il tema iconografico è l’espressione in chiave espressionista di un antico tema bacchico e pastorale, costruito sul motivo del girotondo danzante. Il quadro, infatti, rappresenta cinque figure stilizzate (il cui sesso non è sempre chiaramente definito) che ballano in cerchio, immerse in uno spazio indefinito. I corpi nudi e appena abbozzati, racchiusi da linee di contorno che definiscono le forme, e i colori grossolanamente applicati conferiscono all’opera un carattere primitivo, che attirò numerose critiche quando venne esposta al Salon d’Automne nel 1910 (i critici la definirono una «cacofonia demoniaca»), a causa dell’estrema semplificazione delle figure, che risultavano deformate e lontanissime dai canoni tradizionali della bellezza.


Henri Matisse, La gioia di vivere, 1906, Barnes Foundation, Filadelfia.

In entrambe le versioni Matisse utilizza solo tre colori puri, che creano un contrasto profondo. Nella prima sono più tenui, nella seconda sono invece più accesi: il verde, presente nella parte bassa del quadro, rappresenta la terra con la curvatura sferica, il blu profondo, nella parte alta, richiama il cielo o, forse, più verosimilmente, lo spazio dell’Universo; il rosso è invece il colore dei corpi che danzano in un movimento senza fine. La scelta di questo colore brillante, oltre a far risaltare il gruppo rispetto allo sfondo, diventa l'espressione visibile di un calore interiore nato dal movimento vorticoso della danza. Il colore caldo delle figure emerge con forza rispetto al blu e al verde del contesto spaziale che sono colori freddi, mentre il contorno scuro accentua ancor più la contrapposizione.

Henri Matisse, La danza, 1909, Museum of Modern Art, New York

I corpi danzano su una linea di confine tra terra e cielo e creano con i loro gesti e le loro posizioni un ritmo compositivo musicale, rapido e fluido, poiché basato su linee dall’andamento curvilineo e su volumi morbidi ed elastici. Il cerchio occupa l’intero spazio della tela; quest’ultima pare contenere a malapena la loro vitalità. Le figure sono completamente abbandonate alla loro danza, lontane da ogni obbligo e preoccupazione della vita quotidiana. Matisse non si concentra sull'aspetto individuale dei ballerini, ma sul movimento e sul ritmo che creano insieme, per esprimere un simbolo universale: l’energia vitale dell’umanità in comunione con la natura. La nudità e la mancanza di dettagli delle figure le rende libere e leggere: «L’insieme è il nostro ideale – dichiarò lo stesso artista -. I dettagli diminuiscono la purezza delle linee, danneggiando l’intensità emotiva». Sempre a proposito della rappresentazione dei corpi, Matisse scriveva: «Cerco di condensare il significato del corpo cercandone le linee essenziali». È proprio l’essenzialità delle figure, che appaiono contorte fino alla deformità a causa del ritmo vorticoso della danza, a rendere così espressivi i corpi dei danzatori.
La danza diventa per Matisse l’espressione dell’energia vitale e dell’armonia del cosmo, dell’eterno rigenerarsi della vita, del gioioso rapporto che lega gli uomini tra loro e alla natura. L'opera costituisce pertanto un simbolo dell’unità perfetta tra uomo, cielo e terra; essa rappresenta un’allegoria del rinnovarsi della vita umana, fatta di un movimento continuo sempre teso all’unione con gli altri. E tutto ciò avviene su quella linea di confine che separa la terra dall’universo infinito.

Henri Matisse, 1910-12, Les Capucines (Nasturtiums with The Dance II), oil on canvas, 193 x 114 cm, Pushkin Museum

Il vortice circolare in cui sono trascinate le cinque figure, tuttavia, ha sia i caratteri gioiosi del ritmo incessante della vita, sia il senso angoscioso dell’inevitabilità di una danza che non può avere mai fine.
Attraverso le figure prese per mano sembra propagarsi una grande energia. Le figure sono completamente isolate dal mondo che le circonda, profondamente assorbite nel ballo, che richiama un’antica danza tribale cerimoniale. Si noti che per nessuno è possibile distinguere completamente il volto in quanto tutti hanno la testa bassa, come se fossero in trance. Solo uno dei ballerini ci offre il proprio volto, i cui occhi chiusi ci fanno intuire l'interiorità del ritmo della danza. Le figure si tengono per mano cercando di mantenere unito il cerchio, ma i due ballerini in basso si sono staccati e protendono le mani per riallacciare il legame. La donna in primo piano, in particolare, è rappresentata in modo diverso dalle altre, che rispettano una certa verticalità: è infatti dipinta in diagonale e allungata, creando un senso di sbilanciamento e di rottura dell’armonia dell’insieme, ma anche di grande dinamicità.
Come interpretare questo elemento che introduce un elemento di squilibrio nella perfetta armonia della composizione? Essendo il punto di rottura vicino allo spettatore, può essere interpretato come un invito ad unirsi alla danza. O forse è un riferimento alla fatica di una danza che non può avere sosta.

Henri Matisse, Dance de Mérion, 1933

Matisse, Danse de Paris, 1932

Matisse, La danse inachevée, 1931

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