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sabato 22 settembre 2018

L’ARTE PARIETALE DEL PALEOLITICO SUPERIORE


"Da Altamira in poi tutto è decadenza" diceva Pablo Picasso e "nessuno di noi è in grado di dipingere così bene". Parlando di Altamira, l’artista si riferiva alle grotte di Altamira, famose per le pitture rupestri risalenti al Paleolitico superiore. L'arte del Paleolitico europeo è l'arte rupestre per eccellenza, in particolare quella della zona Franco-Cantabrica (Francia Sud-Occidentale e Spagna Settentrionale), con le caverne di Niaux (la prima ad essere scoperta, nel 1864), Lascaux, Chauvet, Cosquer (queste ultime due scoperte solo negli anni novanta del secolo scorso) e Altamira, mentre limitate sono le testimonianze in Italia (è noto solo il sito di Grotta Paglicci, Foggia) e nel resto d’Europa (in alcune località della Siberia meridionale, anche se negli ultimi anni ne sono state ritrovate anche in Africa e in Australia).


Mappa dei siti della regione franco-cantabrica - Public Domain via Wikimedia Commons

Grazie alla datazione con il radiocarbonio, si ritiene che le pitture più antiche siano quelle di Chauvet, che nelle fasi più remote risalgono a circa 32.900 anni fa, mentre, analizzando altre grotte, si nota che le datazioni più recenti sono di 14.000 anni fa.
Gli autori di queste immagini graffite o dipinte erano gli uomini del Paleolitico superiore (Aurignaziano): a quel tempo, accanto all’uomo di Neanderthal, è nota l’esistenza di una specie di Homo sapiens sapiens nella variante Uomo di Cro-Magnon. Prevalentemente nomadi, vivevano di caccia, pesca e raccolta e dipendevano in tutto e per tutto dalla natura e dagli animali. I vasti cicli pittorici di Chauvet e di Lescaux, tanto per citarne solo alcuni, sono opera dei Cro-Magnon. Le immagini confermano una tecnica tipica di altri siti: dapprima l’artista incideva, oppure disegnava con il carboncino la linea di contorno della figura, che poi colorava con l’ocra rossa, talvolta aggiungendo dei segni graffiti.
In alcuni casi le incisioni o le pitture sono state eseguite nei pressi dell'ingresso delle caverne, dove la luce riusciva a illuminare l'interno, ma nella maggior parte dei casi, le opere venivano realizzate nel ventre delle caverne , in luoghi bui e di difficile accesso.
L'arte pittorica del Paleolitico comprende tre temi : gli animali, i segni e le impronte di mani, le rare figure antropomorfe. Di questi temi però, gli animali sono senza dubbio i soggetti prevalenti, i protagonisti per eccellenza dell’arte preistorica. Quelli ritratti sono spesso erbivori, mentre i carnivori, i pesci e gli uccelli sono abbastanza rari. Ma se grande attenzione veniva concessa al ritratto degli animali, assenti sono invece i riferimenti naturalistici (fiori, alberi, paesaggio...) e anche la figura umana - comunque rarissima - era spesso solo rozzamente abbozzata, priva di anatomia esatta.
Gli animali raffigurati sono perfettamente riconoscibili, trasmettono forza, energia, vitalità; spesso sono state sfruttate le sporgenze delle rocce per renderli tridimensionali (da questo punto di vista destano meraviglia le pitture di Altamira), alcune figure sono enormi e spesso sono accompagnate da simboli e pittogrammi, a cui non siamo più in grado di dare un significato.

Riproduzione di un particolare della grotta di Altamira - Public Domain via Wikimedia Commons

Non sappiamo esattamente cosa queste immagini volessero comunicare.
I primi studiosi dell’arte paleolitica mobiliare, pensavano che i cacciatori e raccoglitori del Paleolitico superiore dell’Europa occidentale, conducessero una vita libera da eccessive preoccupazioni legate alla sopravvivenza: la selvaggina era abbondante e non difficile da catturare, rimaneva loro molto tempo a disposizione, durante il quale si dedicavano a decorare armi e strumenti. Secondo questa teoria, pertanto, le prime forme d’arte figurativa avevano uno scopo puramente decorativo. Questa concezione si inseriva perfettamente in una visione dell’uomo preistorico ancora privo di qualunque forma di religione. La scoperta dell’arte parietale alla fine del XIX secolo determinò la crisi di queste idee, dimostrando che l’arte paleolitica era un fenomeno ben più complesso. Fin dai primi tempi degli studi sull’arte rupestre si comprese che l’ubicazione stessa delle pitture, molto spesso in parti molto interne, nascoste e difficilmente accessibili, delle caverne, escludeva automaticamente qualunque intento decorativo o di esigenza estetica. Nessuno si sarebbe spinto tanto lontano, nella misteriosa profondità della terra, solo per decorare un luogo che non era destinato ad essere visto e ammirato.

La concezione magico-rituale dell’arte rupestre paleolitica
La prima metà del XX secolo fu dominata, nel campo degli studi sul Paleolitico e sull’arte paleolitica, dalla forte personalità dell’abate Henri Breuil, il quale elaborò la tesi dell’arte parietale come rito propiziatorio delle pratiche venatorie: per quei cacciatori primitivi, una volta fissata l’immagine della preda, questa sarebbe dovuta soccombere al loro potere.
L’arte avrebbe avuto uno scopo utilitaristico e nelle profondità delle caverne si sarebbero svolte pratiche magico-rituali volte ad assicurare il successo nella caccia e la fecondità degli animali. Questi riti magici includevano la raffigurazione degli animali sulle pareti delle grotte. Ma questa magia non aveva nulla in comune con quello che noi intendiamo per religione, nel senso di credenza in potenze ultraterrene. Le immagini facevano parte dell’apparato di questa magia, perché esse erano insieme rappresentazione e cosa rappresentata. Nell’immagine da lui dipinta il cacciatore paleolitico aveva la convinzione di possedere la cosa stessa; credeva, riproducendolo, di acquistare un potere sull’oggetto. La rappresentazione era l’anticipazione dell’evento. Non si trattava, dunque, di sostituzioni simboliche, ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che ottenevano effetti reali. Una sorta di incantesimo. Quando l’uomo paleolitico dipingeva un animale sulla roccia, si procurava un animale vero. Per lui il mondo delle finzioni e delle immagini, la sfera dell’arte e della pura imitazione, non significavano ancora un campo specifico, distinto e separato dalla realtà empirica; egli non confrontava ancora i due mondi, ma vedeva nell’uno l’immediata, integrale prosecuzione dell’altro. Non c’è nessun confine tra realtà e arte e quest’ultima è ancora tutta al servizio della vita.
Nell’interpretazione di Breuil, quindi, l’arte era connessa intimamente alla magia della caccia per favorire l’uccisione delle prede, alla magia della fecondità per favorirne la moltiplicazione, alla magia della distruzione nel caso di quegli animali pericolosi per l’uomo come l’orso e i felini. Solo in relazione all’attività della caccia, infatti, trovava interpretazione la presenza, nelle raffigurazioni parietali, di numerosi segni penniformi simili a frecce che sembrano volare intorno agli animali, mentre l’insieme di linee che esce da una bocca poteva rappresentare il fiotto di sangue che sgorga dall’animale ferito. In questo contesto interpretativo le figure di mani costituirebbero l’atto simbolico della presa di possesso della preda.

Lascaux, Cavallo - [Public domain], via Wikimedia Commons

Conseguenza di queste pratiche rituali era l’accumularsi progressivo delle immagini sulle pareti. Essendo ogni figura legata a una singola cerimonia, non aveva pertanto nessun rapporto con le altre. Nell’arte paleolitica non vi è alcuna composizione perché le figure di una grotta non sono in relazione tra di loro: questo spiegherebbe il fenomeno delle sovrapposizioni, a volte tanto numerose da formare un inestricabile groviglio di immagini. L’importanza era data all’atto in sé, non alla resa estetica.
Questa ipotesi, in sintesi, interpreta le immagini parietali paleolitiche come la più antica manifestazione della credenza universale nell’influenza delle immagini. L’osservazione dei riti animistici ancora oggi praticati da popolazioni aborigene australi o africane, ci permette di comprendere alcune dinamiche che probabilmente non erano del tutto estranee alle culture preistoriche. Ogni società che basa la propria sussistenza sulla caccia, e che comunque vive profondamente immersa nella realtà naturale che la circonda, tende a interpretare la raffigurazione pittorica dell’animale come un doppio magico dell’esemplare in carne e ossa, un feticcio capace di imprigionarne lo spirito, rendendolo succube di colui che ha avuto l’abilità di catturarlo con la sua tecnica. Molti esploratori di civiltà primitive hanno fatto la stessa esperienza con il fenomeno della fotografia: in quasi tutte le popolazioni di cultura tribale vige un terrore profondo per la macchina fotografica, per le medesime ragioni sopra indicate; l’uomo animista, infatti, tende a credere che colui che ha il potere di catturare la sua immagine possa anche catturarne lo spirito, rendendolo così schiavo della sua volontà. Questa osservazione trova un’ulteriore conferma in un altro fatto molto significativo: mentre gli animali sono sempre riprodotti con molta cura, le poche figure umane ritrovate sono raffigurate con grande superficialità e rozzezza, evidentemente non per una carenza tecnica ma proprio per la repulsione dell’uomo primitivo a rappresentare la propria immagine, quasi a non volersi consegnare nelle mani di un nemico incantatore.

L’ipotesi simbolico-mitologica. 
A distanza di soli quattro anni dalla morte di Breuil ha visto la luce un’opera destinata a rimanere una pietra miliare nel campo degli studi di arte paleolitica, Préhistoire de l’art occidental di André Leroi-Gourhan, frutto di una ricerca durata vent’anni. Negli anni tra il 1945 e il 1965 Leroi-Gourhan (1911-1986) aveva condotto una vasta inchiesta sull’arte paleolitica rupestre, fotografando sistematicamente e in parte rilevando le raffigurazioni, riproducendo in scala la planimetria delle caverne e le figure dipinte, e soprattutto repertoriando e classificando queste ultime secondo voci ben distinte.
Il metodo di studio elaborato da Leroi-Gourhan si ispirava allo strutturalismo. L’analisi strutturale, adoperata da F. de Saussure e da Claude Levi-Strauss, si era infatti rivelata suscettibile di grandi sviluppi sia nel campo della linguistica che dell’etnologia, in quanto mirava a riconoscere lo schema essenziale della struttura stessa del pensiero religioso dei primitivi e delle diverse forme culturali in genere.
La base della cronologia di Leroi-Gourhan è senza dubbio il concetto di stile. Leroi-Gourhan ha individuato nell’arte parietale paleolitica quattro stili, tramite i quali ha cercato di delineare l’evoluzione stilistica e cronologica dell’arte paleolitica.
Lo stile I o prima fase primitiva si sviluppa nel corso dell’Aurignaciano e del Gravettiano antico, all’incirca tra 32000 e 25000 BP (BP sta per before present, secondo la scala del tempo usata in archeologia). In questo periodo, secondo Leroi-Gourhan, non esiste ancora arte parietale. Le rare manifestazioni artistiche (concentrate soprattutto in Dordogna) comprendono rare figure animali, spesso solo accennate, e numerose figure schematiche di organi sessuali, prevalentemente femminili.
Lo stile II o seconda fase primitiva si data tra il 25000 e il 19000 BP e corrisponde alle culture archeologiche del Gravettiano recente e del Solutreano antico e medio. Con lo stile II ha inizio l’arte parietale nelle caverne, ma solo nelle parti più vicine all’entrata, raggiungibili dalla luce del giorno. Le figure animali sono tracciate secondo uno stile sintetico, con la linea cervico-dorsale ad andamento sinuoso. In genere la parte anteriore del corpo è maggiormente sviluppata (dorso, testa e corna), mentre i dettagli anatomici sono piuttosto schematici: vengono raffigurate soltanto due gambe secondo una visione rigorosamente di profilo e nella maggior parte dei casi gli arti sono lasciati incompleti. Caratteristici dello stile II sono i cavalli detti “a collo di cigno” per la deformante sinuosità della linea cervico-dorsale. A quest’epoca risalgono le prime impronte negative di mani, come quelle della grotta di Gargas nei Pirenei.
Il bisonte inciso della grotta di La Grèze in Dordogna è stato assunto da Leroi-Gourhan come perfetto e compiuto esempio del migliore stile II.

Disegno di bisonte, dalla caverna di La Grèze in Dordogna - Public Domain via Wikimedi Commons

Lo stile III o Arcaico si sviluppa lungo l’arco di 4000 anni, parallelamente alle fasi più recenti della cultura Solutreana e al Maddaleniano antico, vale a dire all’incirca tra 19.000 e 15.000 BP. Le pitture e le incisioni vengono ora eseguite nelle parti più profonde e recondite delle caverne, a volte di accesso estremamente difficoltoso.
Lo stile arcaico mantiene ancora qualche aspetto del precedente stile II, le figure animali hanno corpo massiccio e voluminoso, la loro linea cervico-dorsale è sinuosa, a S coricata; manca una precisa proporzione tra le varie parti del corpo: il ventre è abbassato e allungato, la testa è piccola e le gambe corte sono unite al corpo senza rendere i dettagli anatomici.
La delineazione della figura animale, pur essendo sintetica, è più completa e più precisa e si arricchisce di un maggior numero di dettagli soprattutto per quanto riguarda il pelame e tutte quelle caratteristiche che consentono di distinguere una specie animale dall’altra. La tecnica pittorica diventa più evoluta e compare la bicromia. Le figure sono di colore rosso o nero a tinta piatta oppure vengono colorate solo alcune parti del corpo dell’animale.
Numerose caverne della regione franco-cantabrica presentano arte parietale dello stile III. Tra le più famose attribuite da Leroi-Gourhan a questo stile ricordiamo la grotta di Lascaux.

Riproduzione di un particolare della caverna di Lascaux – Public Domain via Wikipedia Commons.

Lo stile IV o Classico segna l’apogeo dell’arte paleolitica sia parietale che mobiliare durante il Maddaleniano medio e superiore, all’incirca tra 15000 e 11000 BP. A questo periodo appartiene la maggior parte di tutte le opere d’arte parietale e mobiliare del Paleolitico superiore. Fu, quindi, un periodo di grande creatività e fioritura artistica.
Le caratteristiche fondamentali dello stile IV sono il senso naturalistico della figura animale, il realismo delle proporzioni, della prospettiva, del movimento. Gli animali sono resi in prospettiva reale, otticamente corretta, le proporzioni delle diverse parti del corpo sono esatte, i dettagli abbondano e sono raffigurati con grande precisione e aderenza alla realtà. Inoltre, le figure animali sono animate da un senso di movimento e di grande vitalità.
Le pitture possono essere a linea di contorno nera con spazio interno vuoto oppure a campitura policroma con uso di colori diversi e di diversa intensità di tono per le varie parti del corpo. Questo consente all’artista paleolitico di realizzare effetti chiaroscurali.
Nella fase più recente, corrispondente al Maddaleniano superiore, lo stile si fa ancora più realistico, quasi fotografico.
Appartengono allo stile IV alcune delle più famose caverne con arte parietale, come Las Monedas e Altamira nella regione cantabrica, Niaux e Montespan nei Pirenei centrali, Rouffignac in Dordogna.


Riproduzione di un bisonte della caverna di Altamira - Public Domain via Wikimedia Commons

Per un quarto di secolo il sistema cronologico di Leroi-Gourhan e in misura minore la sua interpretazione del significato dell’arte paleolitica si sono imposti pressoché universalmente. Ma, a parte le differenze di datazione cronologica dell’arte parietale paleolitica, qual era la novità più importante della teoria di Leroi-Gourhan?
Leroi-Gourhan, riprendendo l’intuizione di altri studiosi come Max Raphael, afferma il carattere non magico-utilitaristico, bensì mitico-religioso delle manifestazioni artistiche del Paleolitico.
Per prima cosa egli mette in evidenza tutte le contraddizioni insite nell’interpretazione dell’arte paleolitica come magia propiziatoria della caccia e della fecondità. La fauna effettivamente cacciata e consumata a quei tempi, infatti, raramente corrisponde al bestiario dell’arte parietale. Gli animali più rappresentati in assoluto avrebbero dovuto essere la renna e lo stambecco, per non parlare dei salmonidi, che costituivano le principali prede dei cacciatori del Paleolitico superiore nell’Europa occidentale, mentre gli animali maggiormente raffigurati sono l’uro, il bisonte, il cavallo, il cervo (anche l’abate Breuil era consapevole di questa contraddizione, ma l’aveva spiegata con l’abbondante disponibilità di renne e di pesci, che pertanto costituivano una preda talmente facile da non necessitare di alcuna magia propiziatoria).
Certamente gli uomini del Paleolitico hanno dovuto conoscere e praticare dei riti magici ed hanno potuto lasciarne traccia nelle loro opere d’arte. Ma la magia è una tecnica tramite la quale lo stregone o lo sciamano cercano di controllare le forze oscure e misteriose della natura e di piegarle a favore della comunità. In altre parole, la magia presuppone una concezione del mondo. Di conseguenza diventa necessario domandarsi se nell’arte paleolitica sussistano tracce di quella concezione, di una, seppur rudimentale, cosmologia; se la frequenza e la disposizione delle figure sulle pareti delle caverne non seguano uno schema improntato a una certa visione metafisica del mondo.


Stregone della grotta di Gabillou, in Dordogna, incisione – Public Domain via Wikipedia Commons.

Leroi-Gourhan svolge un’analisi sistematica del contenuto dell’arte parietale di 72 caverne dell’area franco-cantabrica, classificando le figure animali in quattro gruppi distinti con le lettere A-D e introducendo metodi quantitativi nello studio dell’arte paleolitica, potendo così dimostrare che nel bestiario raffigurato vi era una chiara gerarchia figurativa.
Il gruppo A è costituito dal cavallo, che è l’animale in assoluto più raffigurato e presente in quasi tutti i complessi di arte parietale (percentuale del 27,8% sul totale). Il gruppo B comprende i bovidi, in particolare il bisonte e l’uro (Bos primigenius), anch’esso pressoché presente in tutte le caverne analizzate (29,6%). Da ciò, Leroi-Gourhan inferisce che il tema centrale dell’arte parietale preistorica è la coppia cavallo-bisonte o, in alternativa, cavallo-uro.
Il terzo gruppo, indicato con la lettera C, è formato da animali (in particolare il cervo, ma anche mammuth, stambecco e renna) che raggiungono percentuali di frequenza decisamente inferiori, ma non insignificanti, e che Leroi-Gourhan definisce animali complementari. Nel complesso gli animali complementari assommano a quasi un terzo di tutte le figure animali.
Il gruppo D comprende animali poco raffigurati, in genere dislocati nelle parti più profonde delle caverne: si tratta di animali pericolosi come i felini, l’orso, il rinoceronte (3,7%).
Molto ridotta è la presenza di figure “mostruose” o fantastiche (figure antropomorfe con testa animale), di pesci ed uccelli (1,05%).
Le statistiche di Leroi-Gourhan, con le recenti scoperte di nuove grotte, sono variate sensibilmente. Gli studi di Georges Sauvet hanno mostrato come nella composizione del bestiario dell’arte parietale vi sono significative differenze regionali e cronologiche. La coppia cavallo – bovidi, tuttavia, continua a rimanere il tema dominante.
L’aspetto importante del lavoro svolto da Leroi-Gourhan, al di là dei risultati specifici conseguiti, è l’avere aperto nuove vie alla ricerca, dimostrando che le decine o centinaia di figure animali raffigurate sulle pareti e le volte delle singole caverne non costituiscono un insieme casuale e senza forma, ma al contrario riflettono una organizzazione che risponde certamente al pensiero mitologico o cosmogonico dei cacciatori del Paleolitico Superiore. I pittori non hanno rappresentato animali a caso, ma determinati animali, i quali non svolgevano necessariamente un ruolo di primo piano nella vita quotidiana. L’arte delle caverne è un gioco costante di associazioni simboliche, fondate su un sistema dualista il cui tema fondamentale è la coppia primordiale Bisonte-Cavallo, animali che rappresentano due principi opposti e nello stesso tempo complementari, dove il cavallo è il simbolo del principio maschile, il bisonte di quello femminile.

Organizzazione del grande pannello delle Grotta di Altamira: l'animale centrale è il bisonte (la donna), con alcuni cavalli complementari (gli uomini); gli animali periferici sono cinghiali e cervidi – Public Domain via Wikipedia Commons

Questa natura simbolica dell’arte parietale paleolitica viene confermata dall’analisi del secondo grande tema, quello dei segni astratti. Questi ultimi, un tempo interpretati come boomerang, arpioni e frecce sarebbero in realtà rappresentazioni schematiche degli organi sessuali maschili e femminili, anche questi disposti secondo uno schema sufficientemente coerente.
In conclusione l’analisi di Leroi-Gourhan ha dimostrato che nell’arte parietale la disposizione delle figure animali e dei segni non è casuale, ma risponde a uno schema generale, una struttura che costituisce una forma di linguaggio simbolico, accuratamente codificato. L’arte parietale esprime, quindi, una visione del mondo, una cosmologia, quella dei popoli cacciatori del Paleolitico superiore, accentrata sulla divisione della natura in elementi femminili ed elementi maschili.
Come ha osservato il filosofo Cassirer, “attraverso il simbolo l’uomo riconosce ed esprime in forma sacrale o rituale le potenti forze che sente intorno a sé, in questo modo le domina e le conduce al controllo sociale”.


Riproduzione di pitture della grotta di Chauvet - Public Domain from Wikipedia Commons.

Secondo Leroi-Gourhan, in conclusione, l’arte paleolitica è un mitogramma, un insieme strutturato di figure simboliche che non esprimono una determinata azione, non hanno carattere descrittivo, non hanno bisogno di una struttura narrativa, ma sono immediatamente comprese da coloro che fanno parte della società che le ha prodotte (a noi moderni restano invece oscure, in quanto non possediamo più i codici di interpretazione). Gli animali rappresentati non sostituiscono gli animali veri, ma costituiscono un simbolo, frutto di un processo di astrazione dalla realtà sensibile, proprio come il linguaggio. Gli animali, pur nella loro perfezione e nel loro realismo, sono sempre rappresentati e mai imitati: ciò che i cacciatori del Paleolitico rappresentano non sono delle fotografie della realtà, ma delle idee in qualche modo interiorizzate nell’immaginazione umana, secondo schemi e moduli costanti che devono essere riconoscibili da chiunque. Ciò che queste idee rappresentano non sono solo l’animale in sé, ma qualcosa di cui l’animale è anche simbolo.
La parola non è la cosa, così come la figura non è ciò che essa rappresenta: parola e figura sono le due dimensioni complementari del linguaggio, ed entrambe rispondono al compito di trasferire un’esperienza dal piano concreto a quello astratto, dal piano dei fatti – che sono sempre individuali e irripetibili – a quelli dei concetti, che possono essere comunicati e appresi. Immagine e parola assumono un valore rappresentativo quando trascendono la loro dimensione pratica immediata e diventano veicolo di insegnamento, o strumento di comunicazione con le grandi forze che dominano la natura e a cui la vita umana è soggetta: ecco allora che la parola si trasforma in formula e preghiera e l’immagine in icona sacra, in immagine divina.
Le caverne dipinte dall’uomo primitivo sarebbero allora una sorta di tempio in cui venivano rappresentate le prime mitologie che spiegavano l’origine e la natura dell’universo.


Riproduzione di pitture della Sala dei policromi della grotta di Altamira - Public Domain via Wikimedia Commons

Le più antiche opere d’arte figurativa o geometrica compaiono agli inizi del Paleolitico superiore, grazie allo sviluppo delle capacità di astrazione simbolica e di espressione delle realtà interiori e delle esigenze spirituali, non più solo inerenti alla pura e semplice sopravvivenza fisica. L’arte si manifesta dunque per la prima volta soltanto con l’Homo sapiens sapiens, con cui giunge a termine l’evoluzione fisica dell’uomo e giungono a definitiva maturazione i complessi processi cerebrali senza i quali non sarebbero possibili tutte quelle manifestazioni psichiche e intellettive che sono l’essenza della condizione umana: capacità di esprimersi con il linguaggio articolato, di rievocare con l’immaginazione e la fantasia cose, persone, avvenimenti della propria esperienza; cosciente riflessione sulla realtà interiore delle sensazioni, delle idee, dei sentimenti, sul proprio io in rapporto al corpo e alla realtà esterna; capacità di oggettivare i fenomeni spazio-temporali e di creare tra i fenomeni relazioni astratte.
Negli ultimi anni il panorama degli studi sull’arte paleolitica è cambiato in maniera piuttosto radicale sotto l’impatto di due fattori: una serie di nuove scoperte, alcune di importanza eccezionale, e l’avvento della datazione diretta delle pitture parietali. Dal 1984 ad oggi nella sola Francia sono state scoperte almeno 25 nuove grotte con arte parietale, fra cui tre — la grotta Cosquer (1991), la grotta Chauvet (1994) e la grotta Cussac (2000) — destinate a rivoluzionare le nostre conoscenze. L’interpretazione di Leroi-Gourhan, tuttavia, caduta per qualche tempo in disuso, è oggi di nuovo tenuta in alta considerazione, anche se non mancano gli studiosi che continuano a sostenere l’ipotesi magico-rituale.
Un’ultima considerazione: la nostra cultura ci ha portato a interpretare i ritrovamenti pittorici del Paleolitico come forme di espressione artistica; ma una tale concezione è del tutto inadeguata in quel particolare contesto. La concezione dell’arte come attività specializzata, sganciata da ogni principio di utilità e con fini puramente estetici, è relativamente recente. Essa infatti risale alla civiltà greca classica, e in particolar modo agli ultimi due secoli prima di Cristo. Neppure presso gli antichi Egizi, infatti, vigeva una idea di rappresentazione artistica totalmente libera da scopi, in quanto le tecniche figurative di quella civiltà ricoprivano una funzione religiosa. Ancor più, dunque, questo fatto doveva valere per una cultura pragmatica come quella preistorica. Eppure tutto parte da qui, dalla capacità che l'uomo acquisì allora di prendere le distanze dalla realtà immediata e di porre in relazione «cose» del mondo e segni iconici non in un’associazione diretta, bensì metaforica. Si tratta della competenza simbolica che ci rende unici tra i viventi e che fonda la possibilità stessa dell'arte e di tutti i linguaggi.
A questo link, un suggestivo tour virtuale nella grotta di Lascaux:
http://www.lascaux.culture.fr/#/fr/02_00.xml
Video sulla scoperta della grotta di Lascaux:


Video sulla grotta di Chauvet:


Fonti bibliografiche:
Raffaele C. de Marinis, L’arte Paleolitica, Dispensa del corso di Preistoria, A.A. 2006/2007.
Gloria Fossi (a cura di), Arte viva. Dalla preistoria al gotico, Artedossier, Giunti.
André Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi 1977.
André Leroi-Gourhan, Interprétation esthétique et religieuse des figures et symboles dans la préhistoire, In Archives des sciences sociales des religions, N. 42, 1976.

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