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lunedì 12 marzo 2018

Le ombre del Quattrocento

Abbiamo detto che il Medioevo quasi non conosce, nella rappresentazione, l'ombra portata, che invece vediamo ritornare nel Quattrocento, come segno che in particolare testimonia la realtà, la corporeità e la presenza terrena dei soggetti rappresentati e contribuisce in maniera determinante a definire la tridimensionalità dello spazio.
Si osservi questo dipinto del fiammingo Rogier van der Weyden, “Madonna col bambino” (1433).
Qui la Vergine è raffigurata come Madonna lactans, cioè nell'atto di allattare il bambino ed è collocata all'interno di una nicchia minuziosamente e riccamente istoriata. La luce proveniente da destra proietta delle ombre sulla parte sinistra della rientranza. Queste ombre, oltre a testimoniare il mistero dell'Incarnazione del Cristo, che si è fatto uomo sulla terra, concorrono a definire la concavità, e dunque la profondità, dello spazio raffigurato, conferendo alla rappresentazione l'illusione di una nicchia vera e propria.

Rogier van der Weyden, “Madonna col bambino”, 1433 ca., Museo Thyssen-Bornemisza (Madrid, Spain.



Anche in queste due opere dell'artista fiammingo Robert Campin, conosciuto come il Maestro di Flemalle, l'ombra è ben evidente all'interno di nicchie dipinte.
L'opera a sinistra raffigura la Trinità, con Dio Padre che sorregge il figlio morto, il quale ha la colomba dello Spirito Santo sulla spalla. Le figure sono ritratte a monocromo, come statue marmoree, e sono collocate entro una finta nicchia.
L'uso dell'ombra non solo concorre ad esprimere il pathos della scena, ma altresì a rendere l'effetto realistico della scultura all'interno di uno spazio tridimensionale. Si noti, infatti, come soprattutto l'ombra del Padre riesce a staccare la figura dallo sfondo, realizzando un convincente effetto di profondità. Stesso discorso per l'opera a destra, “Santiago e Santa Clara”.
E' proprio l'uso della luce e delle ombre, sia proprie che portate, a scavare e a modellare con vigore i personaggi raffigurati, conferendo loro rilievo e volume, collocandoli in modo realistico all'interno di uno spazio non più piatto, ma che si sviluppa in tre dimensioni.

Robert Campin, Trinità, 1430-32, Städel di Francoforte sul Meno.
Robert Campin, Santiago e Santa Clara, 1427 ca., Madrid, Museo del Prado.


La Madonna delle ombre

In un corridoio del convento fiorentino di San Marco troviamo questo affresco, una Sacra Conversazione dipinta da Beato Angelico alla metà del XV secolo. Il nome con il quale è conosciuta quest'opera è La Madonna delle Ombre e deve il suo nome agli effetti di luce e ombra, studiati a partire dalla reale fonte di luce in fondo al corridoio, che giunge radente sull'affresco.
La luce pervade l'intera rappresentazione e rende con estrema efficacia i colori e i panneggi degli abiti e gli effetti di lustro nelle dorature delle aureole e del soffitto della nicchia, anche grazie all'utilizzo della tempera. Ma l'elemento più sorprendente (al quale l'opera deve il suo nome) è l'ombra che i capitelli delle paraste proiettano sul muro, che sono lunghe e sottili, in accordo con la fonte luminosa naturale del corridoio, che è la finestra in fondo ad esso. Tali ombre sono rese in accordo perfetto con l'incidenza che avrebbe sulla parete la luce di quella finestra nel caso di capitelli veri e propri. Quello che si ricerca, pertanto, è un effetto illusionistico, mirante a rendere in modo realistico l'architettura classica della scena.

Beato Angelico, Madonna delle ombre, 1440-1450, Museo nazionale di San Marco, Firenze.

Come nell'affresco del Masaccio, “San Pietro risana gli infermi con la sua ombra“, anche qui ombra e luce naturali e ombra e luce dipinte si sovrappongono; realtà e finzione si combinano insieme, tanto che possiamo scorgere, accuratamente dipinto, il riflesso della finestra (il classico lustro) negli occhi dei santi a destra del trono.
A differenza del Masaccio, però, qui i Santi non proiettano ombre: i corpi non hanno massa, non hanno volume e non sembra nemmeno che i piedi poggino a terra, come fossero esseri incorporei e trascendenti, condizione sottolineata dalla grande aureola dorata.
Nelle opere di Beato Angelico vediamo dispiegarsi la difficoltà di conciliare i nuovi valori della cultura umanistica con quelli tradizionali della religione cristiana, di far coesistere gli elementi spirituali e simbolici della rappresentazione con un nuovo senso dello spazio e della luce e con nuove concezioni estetiche che mettono l'uomo al centro di tutto, che danno corpo e materialità al divino, che portano il sacro sotto le leggi del mondo.

Ombre in un interno

Ancora un altro dipinto di Robert Campin, “Madonna col bambino in un interno”, che denota i caratteri propri di questo autore: tratti lineari e marcati, colori vivi e una composizione ben delineata dal punto di vista spaziale e prospettico, che conferiscono realismo alla rappresentazione.
Le figure si presentano nella loro umanità e naturalezza, dotate di una caratterizzazione introspettiva che le allontana dall'aura ideale dell'arte medievale. La divinità è inserita in ambienti quotidiani e in interni domestici, resi estremamente credibili dalla dovizia di dettagli propri del “particularismo” fiammingo.

Robert Campin, Madonna col Bambino in un interno, ca. 1435, National Gallery, Londra.

Il contesto di quest'opera è l'interno di una tipica abitazione nordica, con arredi e suppellettili rappresentati sin nelle minute finiture. Le figure sono rese con grande plasticità, che si esprime in particolar modo nelle pieghe del vestito.
Come sottolinea il Gombrich, solo saltuariamente gli artisti rappresentavano le ombre degli oggetti proiettati su una parete verticale. In quest'opera vediamo raffigurate, con minuzia e precisione, le ombre di vari oggetti: le molle per il fuoco, la persiana della finestra, il mantello appeso e un lembo del cuscino. L'artista opera una selezione, decidendo di proiettare solo alcuni degli elementi presenti, in modo tale da ottenere da una parte l'effetto di verità, senza dall'altra appesantire l'equilibrio e l'armonia cromatica e compositiva della scena.



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