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venerdì 15 dicembre 2017

La prima fotografia.

Joseph Niépce, Vista dalla finestra a Le Gras, 1826, Harry Ransom Center dell'Università del Texas.

"Vista dalla finestra a Le Gras" è la prima fotografia conosciuta della storia, precedente all'invenzione del dagherrotipo. Creata da Nicéphore Niépce nel 1826, rappresenta uno scorcio del giardino visto da una finestra al primo piano della sua casa-laboratorio, detta Le Gras, in Borgogna. A destra si vede, o meglio si intuisce, il tetto del fienile, a sinistra la colombaia, e sullo sfondo un albero di pero sotto un cielo limpido.
Niépce era riuscito a catturare l’immagine con una camera oscura, ricoprendo una lastra di peltro con bitume di Giudea e lasciano in esposizione per un tempo di circa 8 ore. La miscela di bitume esposta alla luce si è indurita mentre quella non esposta è stata rimossa con una miscela di olio di lavanda e petrolio bianco. In realtà non si tratta di una vera e propria fotografia, come oggi noi la intendiamo, ma bensì di una eliografia.

Purtroppo Niépce morì giovane, prima che gli venisse riconosciuto alcun merito.
Come sappiamo, una fotocamera non è altro che un dispositivo in grado di impressionare il mondo circostante tramite la luce. Lo studio su queste capacità della luce risale niente meno che all'Antica Grecia. In particolare, per secoli le osservazioni si sono concretizzate attorno al dispositivo della camera oscura. Questa non è altro che una scatola chiusa, avente un piccolo foro stenopeico su una faccia che lascia entrare la luce. Questa luce proietta sulla faccia opposta all'interno della scatola l'immagine capovolta di quanto si trova di fronte al foro. Il problema su cui ci si è arrovellati per secoli è stato quello di catturare quell'immagine. Niépce aveva messo a punto un dispositivo basato sul bitume di Giudea; Daguerre, in seguito alla collaborazione e alle scoperte di Niépce, avendo scoperto le grandi capacità fotosensibili dello joduro di argento, arriva nel 1837 a eseguire il primo dagherrotipo.
Nonostante la scarsa qualità dell'immagine di Niépce, mi sembrava doveroso riproporla, perché la foto trae dall'oblio il suo autore, ingiustamente dimenticato.
Ed ora torniamo un attimo alle nostre finestre. Finestre e fotografie sono due oggetti che hanno entrambi a che fare con lo spazio. La finestra, come la fotografia, ritaglia una porzione di realtà dallo spazio fisico, ponendo in essere una dualità tra ciò che è "campo" e ciò che è "fuori campo". Le foto che appendiamo alle pareti di casa sono un po' come delle finestre aperte su una realtà diversa ed esterna, alle quali spesso ci piace affacciarci.
Ma mentre la finestra si apre solo sul visibile, la fotografia è in grado di far emergere da esso l'invisibile. Ciò si verifica perché una foto non è solo spazio, ma è una "superficie significante". Grazie anche all'occhio tecnico della macchina fotografica, che vede come nessun occhio umano è in grado di vedere, una fotografia mostra un'immagine visibile che è in grado di dischiudere un orizzonte di significato, di far incombere l'invisibile. La porzione di spazio messa in essere dalla fotografia contiene un rimando a un qualcosa, a un "altrove" che non è direttamente percepibile, e quel rimando ad altro da sé fa di una foto un oggetto che è limitato (circoscritto da margini) e illimitato al tempo stesso (l'orizzonte inesauribile di significati che è in grado di aprire). Una fotografia è lo squarcio che si apre tra il sensibile e l'astratto, tra la materia e il pensiero, ed è l'intenzione del fotografo (il suo gesto che mette insieme inquadratura e scatto), insieme all'occhio tecnico della macchina, a creare quello squarcio.

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