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giovedì 18 maggio 2017

Sguardi - Un nuovo percorso


Uno dei tabù più vecchi e più noti del cinema è il divieto assoluto, per l'attore, di guardare in macchina, perché tutto deve sembrare assolutamente vero: non guardare la cinepresa significa fare come se non ci fosse, negare la sua esistenza, per far sì che lo spettatore non si accorga della presenza della macchina ed abbia invece l'illusione di star assistendo, non visto, a una scena reale. Il cinema cerca di realizzare la finzione della realtà ma, per far questo, deve far finta anche che non ci sia nessuno spettatore al di là dello schermo, deve ignorarlo, negarne l'esistenza.

Se l'attore guardasse in macchina durante la ripresa non farebbe altro che svelare il trucco, rivelare la messa in scena. Quest'ultima, invece, deve essere tale da escludere la presenza di uno sguardo esterno, quello dello spettatore. Guardiamo questi che sono i primissimi filmati della storia del cinema, quelli dei fratelli Lumière, i quali riprendevano autentiche scene di vita quotidiana ed erano pertanto privi di una sceneggiatura e di attori veri e propri. Si noti come alcune delle figure inquadrate, benché sicuramente in precedenza avvertite e invitate a non guardare in macchina, indugino per una frazione di secondo sull'obiettivo. Ecco, ci guardano, siamo stati scoperti. I due mondi si sono rivelati l'uno all'altro. L'incantesimo è rotto. Non siamo più i soli a esercitare la potestà dello sguardo; noi siamo guardati a nostra volta.


Se invece entriamo in un museo e ci aggiriamo in silenzio per le sale, non possiamo fare a meno di sentirci osservati. Dalla loro immobilità, i personaggi di alcuni quadri ci indirizzano il proprio sguardo, catturando il nostro e dandoci del tu. A volte è un ritratto in primo piano, altre volte a figura intera; oppure si tratta del personaggio di una scena abitata da altre figure, impegnate a far qualcosa. E mentre queste mettono in scena la rappresentazione che dà il titolo al quadro, scorgiamo lì una figura, il più delle volte decentrata, che cerca di catturare la nostra attenzione.
Sono dei quadri che ci interpellano, ci ammoniscono, ci seducono, comunque ci chiamano in causa, ci coinvolgono nella loro storia, riconoscono la nostra esistenza. I personaggi che guardano altrove rimangono lontani, immersi nel proprio spazio e nel proprio tempo eterno, che è un non-tempo; un personaggio che invece ci guarda, ogni volta che incontra lo sguardo di qualcuno, vive nel tempo e nello spazio di questi. Un personaggio che guarda verso lo spettatore, quindi, fa parte di una scena non-compiuta, non-finita, perché rimanda ad altro da sé, richiede insomma una corrispondenza, l'interlocutore di un dialogo muto. Ed oltre a vivere un tempo e uno spazio propri, ogni volta che il suo sguardo incontra quello di uno spettatore, si immerge anche in un nuovo presente.
“I quadri ci guardano” diceva Paul Klee e questo è anche il titolo di un saggio, di qualche anno fa, di Martina Corgnati, critica d'arte e docente all'Accademia di Torino. E questo sarà l'argomento del nostro prossimo percorso. I quadri speciali, quelli che non fanno finta che non ci sia altro intorno a loro, ma ti osservano e ti dicono: tu ci sei, esisti, mi stai guardando come io guardo te.

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