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venerdì 19 maggio 2017

Sguardi - La "Saffo" di Pompei

Tondo con Donna con tavolette cerate e stilo (cosiddetta "Saffo") proveniente da Pompei, Particolare, 55 d.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Secondo alcuni studiosi, la comparsa di dipinti dallo sguardo intenzionalmente rivolto verso lo spettatore coincide con la diffusione dell'arte cristiana.
Anche a causa del generale naufragio della pittura di epoca precedente e degli scarsi esempi superstiti, difficile oggi fare una valutazione definitiva. A giudicare dalla ben più copiosa arte statuaria pervenutaci, sappiamo che all'arte greca interessava, a partire dall’età arcaica, ritrarre non i singoli individui, ma figure umane che costituivano un modello di perfezione, di bellezza e di regolarità e le cui espressioni rimanevano sempre e comunque serene e imperturbabili, spesso assorte in una sorta di contemplazione interiore, immerse in una dimensione ideale, generalmente imperscrutabile e indifferente a quella reale occupata dallo spettatore. Dell'arte greca ci sono pervenuti quasi esclusivamente reperti scultorei, ma la scultura, per sua natura, sfugge alla nostra indagine sullo sguardo dell'immagine, in quanto si colloca in uno spazio tridimensionale e il suo punto di vista dipende sempre dalla posizione dell'osservatore.

L'arte romana era l'arte del ritratto, ma ciò era dovuto al fatto che esso non costituiva soltanto un “genere artistico”, ma era innanzitutto una celebrazione sociale e politica del personaggio rappresentato. Se l'effigie dell'imperatore, che decorava tutti gli spazi ed edifici pubblici dell'Impero, guardava i suoi sudditi, era prima di tutto per ribadire un fatto politico. Di queste immagini ci sono pervenuti soprattutto esempi scultorei; i bassorilievi, come quelli presenti sulle monete, ci mostrano per lo più il volto di profilo.
Il ritratto pubblico divenne una delle forme ufficiali di propaganda politica, mentre il ritratto privato si legava profondamente al culto degli avi e ai riti funebri. Al di fuori di queste tipologie, i pochi reperti pittorici pervenutici, per esempio quelli rinvenuti negli scavi di Pompei, ci portano a una conclusione: i personaggi ritratti, siano essi divinità o eroi, non ci guardano. Anche quando sembra che lo facciano, come questo delicato busto di fanciulla (che vediamo nella foto), conosciuto come la “Saffo pompeiana”, perché in un primo tempo, in modo erroneo e approssimativo, venne scambiato per un ritratto della celebre poetessa, forse a causa dello stilo e delle tavolette cerate che la donna tiene tra le mani.
L'espressione meditabonda e assorta della docta puella ne svuota lo sguardo, lo dirige verso se stessa, dandoci l'impressione che sia immersa nel suo mondo e nei suoi pensieri. “La poetessa si lascia guardare – scrive Martina Corgnati – ma non vuole ricambiare lo sguardo (…), non sa e non le importa di essere guardata: in altre parole è un'immagine autonoma che non si rivolge all'osservatore, anzi esibisce il furor poetico della malinconia e dell'ispirazione, che sta appunto cercando col suo silenzioso stilo sul labbro”.

Paquius Proculus e la moglie, Napoli - Public Domain via Wikipedia Commons

Il quadretto, che faceva pendant con un ritratto maschile, è costruito secondo uno schema ben collaudato, adoperato ad esempio per Paquio Proculo e la moglie, da cui si discosta solo per due particolari, cioè il modo di tenere lo stilo ed il rivolgere le tavolette verso la fanciulla e non verso lo spettatore ed è plausibile che il suo atteggiamento servisse a metterne in risalto la provenienza da una famiglia colta e benestante. In ogni caso si tratta di un ritratto di donna che racchiude un suo mondo interiore, irriducibile al suo ruolo sociale.

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