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domenica 9 aprile 2017

Follia - La follia nel teatro shakespeariano

"La pazzia, signore, se ne va a passeggio per il mondo come il sole, e non c'è luogo in cui non risplenda."
"La dodicesima notte, Atto III, Scena I".

Due tragedie di Shakespeare, in particolare, Amleto e Re Lear, ruotano interamente intorno al tema della follia. La follia, in Shakespeare, si carica di elementi tragici, mettendo a nudo le contraddizioni, le paure e le passioni degli uomini. Questo tipo di follia, però, viene ancora sentita come parte integrante della natura umana, in grado di rivelarne tutte le complesse sfaccettature.
Entrare in una condizione di pazzia è essenziale per conoscere la verità (Amleto si finge pazzo per scoprire la realtà sull'assassinio del padre, Edgar simula la follia per poter aspettare il momento giusto e colpire il suo avversario, il fratello Edmund), ma c'è chi, come Ofelia, non è più in grado di uscirne e soccombe, sotto il duplice choc del rifiuto di Amleto e dell’uccisione del padre da parte dell'uomo amato.

John Everett Millais, Ophelia, 1851-52, Tate Gallery, Londra.

La follia è spesso, in Shakespeare, fonte di rivelazione. Come l'accecamento permette al conte di Gloucester di vedere ciò che ai suoi occhi era prima nascosto, cioè la verità sui suoi figli, lui che aveva prediletto il figlio traditore e cacciato quello devoto, così la pazzia permette a Re Lear di riconoscere la fedeltà di Cordelia e l'ipocrisia delle altre sue figlie e di tutta la corte, dominate da passioni e brame di potere. La pazzia disvela ciò che il sapere comune aveva offuscato; la follia, da cecità verso il mondo circostante diventa fonte di più acuta penetrazione.

Ma c'è anche chi sprofonda nel delirio senza rimedio. Poetica e toccante è la scena della follia di Ofelia. E tuttavia, anche questo delirio contiene la verità profonda, temuta e terribile, che emerge dalle parole insensate del folle. «Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere» afferma Ofelia con un improvviso lampo di consapevolezza sul problema della propria e altrui identità.
Quando Ofelia compare non dialoga, ma monologa con se stessa, abbandonandosi a penose farneticazioni.
Ma nelle stravaganti associazioni del suo discorso è possibile individuare i due traumi che sono all’origine del delirio. Il primo è la morte del padre, associata alla denuncia dell’ipocrisia della corte; il secondo è l’amore per Amleto.
Amleto e Ofelia, follia simulata e follia vera: si tratta di due condizioni opposte nella sostanza ma complementari nella forma, che si definiscono a vicenda e che consentono a Shakespeare di arricchire i suoi personaggi di mille sfumature e di profondità chiaroscurali, permettendo loro di rivelarsi e nascondersi insieme, in una policromia di effetti.
La follia di Amleto è astuta e mirata, una recita che va al di là di se stessa per accertare la verità sulla morte del padre, l’adulterio della madre, “il marcio” di tutta la corte di Danimarca, celato sotto la forma elegante e squisita dell’etichetta cortigiana. La follia di Ofelia non va al di là di se stessa, non cerca verità nascoste, ma della verità diventa testimonianza suprema rimanendo chiusa nel proprio intimo, nell’umiliazione e nella perdita personale, esponendo tutta se stessa allo sguardo del mondo. Così genialmente e ingegnosamente messe a confronto, queste due figure rappresentano l'acme di un discorso sulla follia che parte dal Rinascimento, da moralisti come Sebastian Brant ed Erasmo da Rotterdam e da scrittori come Ariosto e Cervantes, i quali, come farà Shakespeare, utilizzano la follia come strumento per penetrare in una sfera più profonda della ragione comune, fuori del suo ordine normale e dentro il suo ordine superiore, per interrogare radicalmente la civiltà e controbatterne pregiudizi e vanagloria e per denunciarne il decadimento epocale.
Non è stato possibile trovare su youtube il video in italiano della struggente scena della pazzia di Ofelia tratta dal film di Branagh. Ho pertanto scelto questo:


Nella foto in alto, invece, uno dei più celebri dipinti del XIX secolo, l'Ophelia di Sir John Everett Millais, membro della Confraternita dei Preraffaelliti, il quale aprì le porte a un’ispirazione illuminata da un nuovo spirito estetico, creando un’arte innovativa e originale, che si prefiggeva di trarre un’ideale di bellezza eterno e immutabile nella fugacità effimera del quotidiano.
Millais iniziò a realizzare la sua opera nel 1851, avendo per modella la giovane e bellissima Siddal, all’epoca contesa dai suoi “confratelli” Dante Gabriel Rossetti e William Holman Hunt. Per riprodurre fedelmente l'annegamento di Ofelia, la ragazza venne posta in una vasca piena d’acqua, riscaldata solo da candele. Rimasta in quella posizione per diverse ore fino a perdere i sensi, la Siddal si ammalò molto gravemente, senza mai riuscire a guarire del tutto.


Il dipinto raffigura l’atto IV scena VII, quando la giovane Ofelia, dopo l’assassinio del padre per mano del suo promesso Amleto, ormai folle, si toglie la vita annegandosi in un fiume (nel testo shakespeariano rimane una certa ambiguità, che non fuga tutti i dubbi sulla natura di suicidio o fatalità dell'annegamento).

« C'è un salice che cresce storto sul ruscello e specchia le sue foglie canute nella vitrea corrente; laggiù lei [Ofelia] intrecciava ghirlande fantastiche di ranuncoli, di ortiche, di margherite, e lunghi fiori color porpora cui i pastori sboccati danno un nome più indecente, ma che le nostre illibate fanciulle chiamano dita di morto.
Lì, sui rami pendenti mentre s’arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello.
Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell'elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa. »
(Amleto, Atto IV, scena VII)

Ogni elemento di questo dipinto ha un'alta carica simbolica: i fiori che circondano il corpo di Ofelia nascondono un significato che racconta la tragica storia della fanciulla. Vegliata da un teschio e da un pettirosso, ella volge al cielo lo sguardo fisso ed esausto; le braccia aperte e il corpo abbandonato e fluttuante irradiano un'aura tragica che farà di questo dipinto il manifesto dei preraffaelliti.

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