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lunedì 25 luglio 2016

Ribelli e rivoluzionari - Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo


Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato (Il cammino dei lavoratori), 1901, Milano, Museo del Novecento.


Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo (1899-1901) è una delle opere che più hanno segnato il XX secolo, non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello socio-politico e culturale; sintesi iconografica di tutti i movimenti operai del Novecento e dell'irrompere nella storia di una classe sociale che rivendica con orgoglio la propria identità e il proprio ruolo nella storia. Poche opere (la Scuola di Atene, la Gioconda, Guernica) hanno subito, così tanto e così a lungo, riproduzioni e manipolazioni di ogni tipo come questa tela di sedici metri quadri, che nel 2010 ha “traslocato”, con strascichi di polemiche, dalla Galleria d'Arte Moderna di Milano al neonato museo del Novecento.
Il quadro è frutto di un lungo iter progettuale, durato dieci anni, costituito da una lunga serie di studi e di opere compiute ispirati a scioperi e manifestazioni di protesta da parte di contadini e lavoratori. Le due tappe fondamentali di questo percorso sono gli “Ambasciatori della fame” (1892) e “Fiumana” (1895-96).


"Ambasciatori della fame", 1892.

"Fiumana", 1898, Pinacoteca di Brera, Milano.
La lunga elaborazione significò per l’artista una maturazione non solo intellettuale e sociale, ma anche compositiva e tecnica. Il dipinto è considerato il manifesto dell'impegno sociale e umanitario del pittore, fiducioso nel progresso sociale e convinto che l'artista avesse il compito di educare la popolazione, elevandola spiritualmente e culturalmente tramite l'arte. La sua fede nel progresso della storia però non lo tenne lontano da un destino tragico. Nel 1902, l'accoglienza negativa di quello che l'artista riteneva il suo capolavoro e la sua missione, cioè "Il Quarto Stato, lo gettarono in uno stato di profonda depressione, che lo fecero ritirare per alcuni anni. Quando nel 1904 sembrava che per il pittore si aprissero nuove speranze, la morte della moglie per parto lo fece ripiombare nella più profonda disperazione, tanto che il 14 giugno del 1907 si tolse la vita a soli 39 anni, impiccandosi nel suo studio di Volpedo.
Gli ultimi decenni dell’Ottocento furono segnati da manifestazioni di protesta contadina e operaia. Pellizza seguì da vicino queste vicende. “Ambasciatori della fame” è il primo tentativo di ambientare la rappresentazione di uno sciopero a Volpedo, paese natale dell’artista, in Piazza Malaspina, calandolo così in una realtà agricola e in un tempo e in un luogo determinati. “Fiumana” rimedita l’impianto compositivo di “Ambasciatori della fame” per costruire un rapporto più ravvicinato tra i personaggi raffigurati e lo spettatore. Il pittore perfeziona pertanto la visione frontale e aumenta il numero e le dimensioni delle figure. Il ragazzo sulla destra viene inoltre sostituito da una donna con un bambino in braccio. Riprendendo lo studio della pittura antica, unito a un perfezionamento continuo della tecnica divisionista (piccole pennellate con accostamento di colori diversi), Pellizza accentua i contrasti cromatici e luminosi e la tensione della scena.
“Quarto Stato” conserva la scelta del punto di vista frontale e il vuoto in primo piano, per far sì che lo spettatore abbia l’impressione di assistere ad un’azione in fieri, un movimento che non ha ancora raggiunto il proprio obiettivo. Il monumentale dipinto, dove le figure in primo piano sono dipinte a grandezza naturale, richiese tre anni di lavoro. La nuova concezione dell’opera si espresse anche in un nuovo titolo, “Il cammino dei lavoratori”: non più una massa simile ad un fiume in piena, ma una schiera compatta che avanza in modo cadenzato secondo linee di forza ben evidenti, sottolineate non più da contrasti cromatici di tipo espressivo (come avveniva in “Fiumana”), ma da una nuova armonia di colori dalla prevalente tonalità giallo rosata.
L'opera rappresenta una folla di contadini e lavoratori che avanza verso l'osservatore, emergendo dallo sfondo di un paesaggio indefinito, a voler sottolineare il respiro universale dell’opera. In primo piano, dove si concentra una luce piena e calda, troviamo tre figure, due uomini e una donna con un bambino in braccio, che guidano il corteo. Questo dipinto si distacca dalle precedenti versioni per quanto riguarda il significato: mentre prima ciò che Pellizza voleva comunicare era un movimento di protesta, qui intende celebrare l'affermazione di una nuova classe sociale, il proletariato.
Nella composizione notiamo due blocchi differenti: le tre figure in primo piano e la massa di lavoratori alle loro spalle. Il terzetto colpisce per la fermezza e per la solennità delle posture. La donna con il bambino in braccio ha il volto della moglie di Pellizza, Teresa, e con il suo gesto sembra invitare la folla a seguirla; il movimento del corpo è sottolineato dalle pieghe svolazzanti della veste, che si avvolgono intorno alle gambe come la veste delle antiche statue. Al centro domina la scena quello che probabilmente è il leader, un uomo che avanza tranquillo, con una mano in tasca e la giacca buttata sulle spalle, ed attira la nostra attenzione per il vivido colore rosso del suo panciotto, che contrasta fortemente con il bianco candido della camicia e che lo distingue nitidamente dalla massa. Alla sua destra un altro uomo, più anziano, con la giacca appoggiata sulla spalla sinistra, procede silenzioso e concentrato. Sembra quasi che l’autore abbia voluto mettere in primo piano le tre età dell’uomo.
I contadini sullo sfondo formano una specie di quinta teatrale, poiché sono disposti per la maggior parte sul piano frontale, ma ai lati sono leggermente avanzati; tutti i soggetti discutono tra di loro e compiono gesti molto naturali, a dimostrare il grande studio dal vero che ha compiuto l'autore prima di realizzare quest'opera.
In questo dipinto la tecnica divisionista di Pellizza trova la sua più alta espressione. Nel tentativo di ottenere la massima luminosità possibile, egli concentra nel primo piano una gamma cromatica chiara, con una netta prevalenza di toni caldi, ocra, marroni e rosati, che rendono più vivo il riflesso della luce attraverso l'accostamento di colori, stesi attraverso i piccoli tocchi della tecnica divisionista. Rispetto a "Fiumana" la rappresentazione della massa non è più indistinta e informe, ma più chiara e definita, attenta a delineare in modo più plastico la solidità dei volumi e a conferire a ogni figura una propria identità. Nel loro abbigliamento abbastanza uniforme, i personaggi presentano diverse possibilità di comportamento e di reazione. Le mani e lo sguardo hanno una funzione essenziale nel caratterizzare le figure. Quelle della fila davanti impiegano le mani in gestualità tutte differenti. Alcune inoltre guardano lontano, altre davanti a sé, altre ancora verso lo spettatore ecc.
Anche lo sfondo, rispetto a “Fiumana”, è stato ripensato totalmente: invece dell'esteso paesaggio in luce all'estremo limite dell'orizzonte, in “Quarto Stato” lo sfondo è meno dettagliato per non disturbare l'attenzione dello spettatore. La natura è stata dipinta in una gamma di tonalità scure, sfumate e fredde, e funziona da contrappunto alla piazza calda e assolata, in piena luce. Sul piano simbolico, vediamo dunque la classe operaia procedere da un cupo crepuscolo verso un futuro illuminato e più radioso, il sole dell’avvenire.
In questo quadro tutto contribuisce a rendere l'idea di compattezza e di unione di questa nuova classe sociale: la massa dei lavoratori occupa tutto lo spazio, da un lato all’altro del quadro, senza soluzioni di continuità. Lo schieramento orizzontale delle figure rinvia, da un lato, alla soluzione classica del fregio, dall'altro a una situazione molto realistica, che sembra ripresa direttamente da un episodio di protesta sociale. La compattezza dei personaggi, gli atteggiamenti decisi e l'imponente procedere in avanti verso lo spettatore sono efficacissimi espedienti espressivi atti a creare l'effetto di una massa unica che avanza inesorabile, con chiare allusioni sia al valore di solidarietà sociale, sia alla presa di coscienza della propria forza politica da parte di tanti individui che hanno ormai acquisito una coscienza di classe. L'avanzare non è rapido e violento, ma è sicuro e ineluttabile, con la sicurezza di chi è consapevole del proprio ruolo storico.
La composizione dei personaggi, le relazioni tra le parti e il tutto, ricordano la pittura rinascimentale, in particolare Raffello e le sue Stanze vaticane. Il pensiero va in particolare alla Scuola d'Atene, soprattutto per l'armonia d'insieme, per l’equilibrio e la compiutezza, e per quella particolare ricerca di naturalezza e semplicità a cui l'artista si è tanto dedicato, evidente anche nei disegni preparatori.
Nel 1902 il Pellizza scelse di inviare il quadro all’esposizione di Torino col nuovo titolo “Il Quarto Stato”, ispirandosi alle pubblicazioni sulla rivoluzione francese e alla stampa socialista, dove si sottolineava l’affermazione, accanto alla borghesia (il terzo stato), del proletariato (appunto il quarto stato). Ma l’opera non ottenne il successo sperato. Successivamente, dopo la morte di Pellizza, l’opera incontrò una enorme fortuna, grazie anche al messaggio sociale di cui è portatore. Fu acquistato dal comune di Milano nel 1920 per 50.000 lire, grazie anche a contributi di banche, associazioni e privati.
Tramite la riproduzione tecnica le masse operaie poterono appropriarsi dell’opera e farne il manifesto politico del movimento e della lotta di classe. Probabilmente la sua fama non è dovuta al quadro stesso, ma alla sua riproduzione e distribuzione di massa. Il “Quarto stato” è sopravvissuto alla dittatura fascista e ha mantenuto fino ai nostri giorni un'immensa popolarità. Sembra che anche cent'anni dopo la sua creazione, l'iconografia del quadro conservi ancora una grande attrazione. Esso è stato ripreso in numerosissime pubblicazioni, ed è stato inoltre utilizzato da Bernardo Bertolucci per il suo film Novecento. La distribuzione e diffusione di massa del Quarto stato tramite la sua riproduzione tecnica ha avuto probabilmente una portata mai vista in quell’epoca: ma, come scrive Walter Benjamin, con la sua riproduzione tecnica, un opera d'arte perde anche la sua aura. Pellizza aveva lavorato per dieci anni al suo quadro, ma la maggior parte della popolazione non andava a Milano per vedere il quadro al museo. Lo vedeva invece soprattutto in riproduzioni, su cartoline, libri giornali etc.. Così l'opera d'arte aveva perso fin dall'inizio la sua particolarità di unicità e irripetibilità. La riproduzione tecnica del quadro con una finalità ideologica, strappa all’artista il controllo del messaggio dell’opera.

A questi link dei video sull'opera:
https://vimeo.com/125927130 (in questo si può vedere bene la tecnica divisionista)
https://www.youtube.com/watch?v=Y-0MCe4JRQE
https://www.youtube.com/watch?v=fTzRxqAWSnc


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