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mercoledì 6 gennaio 2016

Animali in Pittura - I corvi di Van Gogh

"Auvers-sur-Oise, luglio 1890.
Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello quasi mi casca dalla mano; e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto ... tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l'estrema solitudine".
Così scrive Vincent Van Gogh al fratello Theo pochi giorni prima di togliersi la vita. E il biglietto che gli fu trovato in tasca il 29 luglio 1890 recava impresse queste parole: "Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata …".

Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, 8 luglio 1890, Van Gogh Museum, Amsterdam.

Non c'è dipinto che mi commuova più di questo campo di grano su cui volteggiano i corvi neri, con il suo rabbioso accostamento del blu freddo e del nero del cielo tempestoso con il giallo caldo e luminoso dei campi, con le pennellate nervose e disperate che si stendono vigorose sulla tela.
Sembra di sentire quei tratti tesi e quei colori sovraccarichi ansimare d'affanno mentre la volontà cerca vanamente di controllare la mano che regge il pennello. E di fare ordine nella mente, di dominare la confusione che la consuma. La distinzione tra la parte inferiore, che raffigura il campo di grano, e quella superiore, che turbina in nubi minacciose, è netta; lacerazioni sono anche i tre sentieri costeggiati d'erba, che spezzano la distesa gialla e seguono tre diverse direzioni. Quello centrale, in particolare, ha l'aspetto di uno squarcio, di una ferita che si apre nella terra. Tutte e tre le strade non portano a nulla: quella centrale scompare nel campo di grano, come una strada interrotta; quelle laterali escono dal quadro. Il cielo è di un blu cobalto cupo ed innaturale. Un cielo pesante ed oppressivo, all'interno del quale due piccole macchie bianche sembrano due esili speranze di fuga. Quella centrale e più grande e convoglia lo sguardo dell'osservatore: ha l'apparenza di uno squarcio vorticoso, una piccola luce che sta per soccombere all'avanzare della massa nera e sinistra. All'orizzonte, messaggero di tempesta, vola basso uno stormo di corvi, interpretato come presagio di morte.
Le linee prospettiche sono invertite: dall'orizzonte convergono verso lo spettatore, che costituisce il vero punto di fuga dell’intera rappresentazione.
Il ritmo frenetico delle pennellate tese e interrotte, corpose e violente, testimonia disordine interiore e un incontenibile stato di ansia. I tratti spigolosi e pastosi rendono efficacemente l'agitarsi del campo, che il vento non sferza, ma piuttosto fa ribollire e palpitare furiosamente dall'interno, come onde marine che montano in burrasca. Il turbinio del cielo è reso con pennellate meno regolari, caotiche e disordinate, che creano una massa incalzante e opprimente. Ancora una volta Van Gogh ha fatto un ritratto di sé sotto forma di paesaggio. Non un quadro en plain air per cogliere le impressioni della luce sulla natura, ma la proiezione del proprio animo tormentato sul paesaggio esteriore. Il male di vivere ha preso questa volta la forma e i colori di un cielo procelloso solcato dal volo dei corvi, da sempre forieri di sventura.
A Auvers-sur-Oise, dove è in cura dal dottor Gachet, Van Gogh dipinge, nel luglio del 1890, tre tele raffiguranti i campi di grano intorno al paese. Il 27 luglio si dirige verso quegli stessi campi. Ha con sé una pistola, che punta al petto sparandosi un colpo al cuore. Questo quadro è il suo testamento artistico e spirituale, la raffigurazione del suo paesaggio interiore, che racchiude non solo la tragica esistenza del pittore ma tutta la sua vibrante tecnica esecutiva, che è una mirabile sintesi di colore, materia, gesto, segno, portati ad un livello massimo di esplosione drammatica.
Se tradizionalmente l'azzurro comunica serenità, il giallo calore e solarità e la campagna pace e silenzio, nessuna gioia traspare da questo accostamento di tinte complementari, che nel dipinto risulta malsano e torbido; nessun senso di quiete ci giunge da questo paesaggio campestre, e il crocidio dei corvi è straziante e impietoso. Proprio il contrasto tra il soggetto rappresentato e la sensazione che ci comunica amplifica lo sconcerto che proviamo di fronte a questo quadro.
E' evidente in Van Gogh, soprattutto nelle opere degli ultimi tempi, il maturato distacco dal neo-impressionismo. I mezzi espressivi, colore, luce, composizione, disegno, non sono più al servizio della rappresentazione oggettiva del mondo reale, ma traspongono simbolicamente realtà interiori. Quest'uso esasperato del colore in senso psicologico-espressivo, il segno spezzato e frenetico delle pennellate e le prospettive deformate e instabili rappresentano una svolta fondamentale in senso «espressionistico» della storia della pittura europea.
Il colore è l'equivalente espressivo della tensione spirituale ed emotiva dell'artista. E' ormai lontana l'impostazione impressionista che cercava di modellare il colore in modo da rendere la verità della percezione fenomenica delle cose. Van Gogh utilizza i mezzi della pittura per incarnare nella realtà il proprio mondo interiore.
Ma non si può far l'errore di ridurre l'opera di Van Gogh alla sua vicenda personale di uomo e di artista. Se molta pittura successiva, in particolare quella espressionista, trarrà ispirazione e insegnamento dai suoi quadri, questo vuol dire che il pittore olandese era riuscito a trovare espressione non solo alla sua angoscia esistenziale, ma alla condizione dell'uomo moderno. Van Gogh, nell’immaginario collettivo, rappresenta l’artista moderno per eccellenza, per il quale vita e arte coincidono in modo drammatico. Siamo lontani dall'artista che lavora in bottega per determinati committenti. L’artista moderno è, tranne eccezioni, generalmente incompreso e trova vera gloria e riconoscimento solo dopo la morte.


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