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venerdì 15 marzo 2024

Appunti per uno studio comparato tra Fotografia e Sintografia - prima parte

 

Immagine generata da Image Creator. Prompt: la cornice racchiude un'immagine in cui c'è insieme il microscopico e il macroscopico

Perché studiare i modelli generativi di immagini in relazione alla fotografia?

Le ragioni sono numerose, a partire dall'assunto risaputo secondo cui tutti i media sono mixed media e che ogni nuovo medium non fa che rimediare media precedenti.

Non fosse altro che i modelli generativi si strutturano a partire dall'addestramento su set di dati costituiti in larga parte da fotografie, direi che il rapporto tra i due tipi di dispositivi e di immagini sia alquanto stretto. Un loro studio comparato, come già accaduto in passato per altri media, contribuirebbe ad approfondire ed allargare la comprensione di entrambi, anche di quello comparso prima sulla scena della storia.

Eppure i due dispositivi operano in modi molto diversi. Le immagini fotografiche, sia fisse che in movimento, si basano su protocolli ottici di registrazione e riproduzione, mentre le immagini sintetiche sono generate da modelli computazionali. Ma entrambe le tipologie sono forme di mediazione del nostro rapporto con il mondo: sia le fotografie che le sintografie incidono e modificano le nostre esperienze percettive e la nostra costruzione del reale. Entrambe non sono la registrazione o la copia di qualcosa che già esiste, ma nuova realtà che prende vita attraverso l'atto della loro produzione (fotografica in un caso, sintetica nell'altro).

In ogni caso, la comparazione tra la fotografia e l'immagine che più le somiglia, cioè la sintografia (il manufatto che, per il suo grado di realismo, è visto in stretta relazione di antagonismo con la fotografia) è una tendenza diffusa a partire dall'esplosione dei modelli generativi. 

Leggendo questo articolo, come altra letteratura esistente sul tema, mi sembra di identificare tre aspetti (tra i tanti) che andrebbero approfonditi in uno studio comparato di questo tipo: quello che riguarda la 'latenza' dell'immagine, quello che concerne la 'scala' e quello che riguarda 'l'emergenza'.

Latenza: la concezione predominante della fotografia ha fondato la sua ontologia sul predominio della visibilità, identificandola via via con la matita della natura, con una scrittura di luce, oppure interpretandola con le categorie di indice e icona. Così, nella definizione di R. Krauss, ogni fotografia è il risultato di un'impronta fisica trasferita dai riflessi della luce su una superficie sensibile. La fotografia è quindi un tipo di icona, o somiglianza visiva, che ha una relazione indicale con il suo oggetto. Tuttavia, l'impronta fisica trasferita dalla luce si trova in uno stato che è invisibile e inconoscibile. Per quanto riguarda la fotografia analogica, infatti, prima del suo sviluppo chimico, l'immagine latente prodotta dalla luce è contenuta all'interno del contenitore sigillato della pellicola e quindi non visibile. L'immagine può diventare visibile solo attraverso uno sviluppo successivo e una rigorosa aderenza a un protocollo tecnico di operazioni necessarie per convertire l'immagine latente in immagine visibile. Lo stesso discorso vale per la fotografia digitale, che inizia la propria vita come pacchetto di dati binari, decodificati da un software al fine di assurgere a una condizione di visibilità. Il passaggio dalla black box e da una situazione di latenza imperscrutabile, pertanto, non è esclusivo appannaggio dell'immagine sintetico-algoritmica. Anche l'immagine fotografica non transita direttamente dal corpo della cosa fotografata alla superficie visibile che ho davanti agli occhi.

Erroneamente si pensa che la fotografia abbia solo a che fare con il regno del visibile. Insistere esclusivamente sulla fotografia come ciò che viene portato allo sguardo ed è leggibile finisce per oscurare ciò che invece è invisibile, illegibile, a-razionale, in quanto collocato in uno spazio di latenza inaccessibile allo sguardo.

Se l'essenza della fotografia è la traccia lasciata da un oggetto presente davanti alla fotocamera, allora bisogna ammettere che quella traccia originale non è altro che l'immagine latente invisibile. Tutte le operazioni successive eseguite su questa immagine inaccessibile hanno lo scopo di renderla disponibile all'occhio umano, ma il processo stesso che rende visibile l'immagine distrugge anche la traccia originaria latente, in quanto converte i cristalli di alogenuro d'argento esposti alla luce in granuli di argento metallico, producendo il negativo della pellicola. Per rendersi visibile, la fotografia deve pertanto distruggere l'impronta di luce originaria. La connessione indicale tra oggetto e immagine (dalla luce riflessa dall'oggetto all'esposizione della pellicola sensibile), di fatto, persiste solo fino allo sviluppo del negativo: nel momento in cui l'immagine latente diventa visibile, quel nesso indicale diretto viene sradicato (sull'argomento, cfr. il capitolo dedicato alla latenza della fotografia da Daniel Rubinstein, How Photography Changed Philosophy, 2023).

Scala: in generale, la scala denota grandezza, estensione, proporzione relativa e l'applicazione di alcuni standard di calcolo e misura. Ciò comporta sempre la messa in relazione reciproca delle cose a un certo livello e spesso anche la creazione di gerarchie tra di loro. 

Non esiste fotografia senza rapporti di scala; come scrive Edward Fisher, la scala costituisce la modalità ontologica del fotografico. In primo luogo, tutte le produzioni fotografiche mettono insieme spazio e tempo sotto forma di un'immagine scalare. In secondo luogo, tutte le forme di fotografia – anche quelle convenzionalmente considerate immateriali – trovano necessariamente una qualche forma materiale e possono farlo solo secondo rapporti di scala: le fotografie, che giocano con la scala del mondo, vengono esse stesse ridotte, ingrandite, ritagliate, ridimensionate.

Il carattere rappresentativo della fotografia come forma di immagine visiva è reso possibile in termini di scale dimensionali. La fotografia appare come un sistema di scale che strutturano lo spazio e il tempo per dare, in molti sensi diversi, la misura delle cose. Fin dal suo inizio, d'altra parte, la fotografia ha alimentato promesse scalari, portando nel campo della percezione umana sia cose piccole, anche microscopiche sia grandissime e macroscopiche, anche molto distanti nello spazio.

Non esiste alcuna fotografia senza che si stabiliscano una molteplicità di relazioni scalari che fungono da orizzonti materiali, concettuali e fenomenologici per la produzione, diffusione e consumo delle fotografie, nonché per ogni pratica semiotica su di esse. Agiscono sempre, infatti, in ogni fotografia, operazioni scalari e processi scalari molteplici, diversi e sovrapposti, grazie all'applicazione di scale tecniche derivate matematicamente e scientificamente nella progettazione e nel funzionamento degli apparati fotografici così strutturati.

Emergenza: la concezione tradizionale della fotografia come rappresentazione, cioè come riproduzione meccanica di una realtà preesistente, ha impedito a lungo di considerare la fotografia come la manifestazione dell'emergenza. Se il significato della fotografia rappresenta qualcosa che è accaduto nel passato, il suo lato emergente si verifica nel presente. La fotografia non solo registra l'accaduto; la sua ontologia non si esaurisce nell'essere un momento statico, fossilizzato nel tempo, congelato e immobile. La fotografia è qualcosa che accade, dando vita a un'esperienza dinamica e attuale. Non è solo un'immagine che ha un rapporto di somiglianza visiva e una relazione indicale con il suo oggetto, ma è essa stessa un oggetto che dà vita a un'esperienza del tutto nuova al momento della sua produzione e diffusione: un'esperienza che implica il delinearsi di una visione non più solo umana, in quanto prodotto di specifici processi tecnologici. Le fotografie non rappresentano un mondo già dato, ma fanno emergere un mondo diverso, modellandolo e plasmandolo, determinando altresì l'emergere di nuove forme di percezione, di relazione con lo spazio e il tempo, nonché di nuove categorie di pensiero e di prassi. La categoria di emergenza permette di pensare alla fotografia non in termini di ciò che si vede (la traccia di un momento passato disponibile nel presente), ma in termini di forze che la attualizzano e la rimodellano costantemente. E tra queste forze vi sono quelle della macchina che fanno della fotografia un'immagine non ridotta all'occhio umano, un punto di vista altro, sottratto all'imperativo biologico e a quello della coscienza, non solo il souvenir di un istante passato, ma il punto di accesso a un presente dinamico, in continua trasformazione.


Guardare il mondo fotograficamente significa assumere il punto di vista della macchina fotografica, dell'apparato, del processo. Significa affiancare all'occhio umano in quanto organo della vista un occhio macchinico. Vedere come la macchina fotografica significa riplasmare la percezione umana degli eventi, in un processo che racchiude anche fasi di latenza invisibile e dimensionamenti di scala. La stessa implicazione vale per le immagini sintetiche. Esse non inquadrano il mondo; nel loro caso, più che di un punto di vista macchinico sulle cose, sembra il caso di parlare di un'immaginazione macchinica, di un inconscio generativo che scava e rielabora sedimentazioni millenarie di immagini (e del loro rapporto con il linguaggio verbale), sempre nei limiti e nelle potenzialità dell'apparato usato (come d'altronde Flusser evidenziava anche nel caso della fotografia). E questo apparato riattualizza, sebbene in modo molto diverso dalla fotografia, i parametri di latenza, scala, emergenza, secondo direttrici che necessitano di ulteriori riflessioni (da affrontare in altra occasione). Ma questi stessi parametri, sia nel caso delle fotografie che delle sintografie, sembrano convergere nella stessa direzione: l'abbandono della visione antropocentrica e oculocentrica della modernità e l'espansione del visivo in territori sempre più allargati, non completamente vincolati alla psicologia e alla biologia umana.

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