Lo specchio di Claude, un dispositivo per la visualizzazione del paesaggio, è uno strumento ottico pre-fotografico ampiamente utilizzato nei secoli XVIII e XIX. La sua popolarità è strettamente legata all'ascesa del movimento pittoresco. Tale movimento fu al centro della scoperta del paesaggio britannico a metà del diciottesimo secolo. L'instabilità politica di questo periodo rendeva difficile viaggiare in Europa, così il turista, che altrimenti avrebbe intrapreso il Grand Tour, rivolse la sua attenzione verso la Gran Bretagna, nella speranza che le aree relativamente inesplorate del paese regalassero esperienze estetiche simili a quelle che avrebbero trovato nel continente.
Il Claude mirror (o Claude glass) prende il nome dalla sua capacità di trasformare una vista del paesaggio in qualcosa che ricorda un dipinto dell'artista francese del XVII secolo Claude Lorrain, il cui nome alla fine del XVIII secolo era divenuto sinonimo di estetica pittoresca. Questi piccoli specchi neri e convessi, di solito dimensionati per la mano, sono stati ampiamente utilizzati da artisti, viaggiatori e turisti per contemplare, riconfigurare e registrare il paesaggio. Sono stati branditi in pittoreschi tour della Gran Bretagna, del continente e del Nord America: i turisti si fermavano alle stazioni di osservazione, voltavano le spalle alla scena, sollevavano uno specchio di Claude e guardavano la vista riflessa, incorniciata e trasformata. La prospettiva distorta dalla convessità, la saturazione del colore alterata e i valori tonali compressi del riflesso provocavano una perdita di dettaglio (soprattutto delle ombre), ma un'unificazione complessiva di forme e linee. Lo specchio di Claude, infatti, ha l'effetto di ridurre e semplificare il colore e la gamma tonale di scene e scenari per conferire loro una qualità pittorica, secondo l'estetica pittoresca. Ridurre il paesaggio a un'immagine era solo una parte di un processo più ampio, quello di rispondere a quei paesaggi utilizzando il vocabolario estetico appropriato. Un vocabolario costituito dai riferimenti ai dipinti neoclassici di Claude Lorrain, Salvator Rosa e Nicholas Poussin, e alla poesia classica di Orazio e Virgilio.
Lo specchio di Claude modifica essenzialmente una scena naturale, rendendone gestibili le dimensioni e la varietà, mettendo in rilievo le sue qualità pittoresche e, soprattutto, rendendola molto più facile da disegnare e riprodurre su tele e taccuini. In un contesto paesaggistico, infatti, l’occhio dell’osservatore, essendo un dispositivo ottico in continuo movimento, deve praticare continue ricalibrazioni e messe a punto; al contrario, come scriveva William Gilpin - artista e scrittore inglese, tra coloro che hanno dato origine all'idea di pittoresco e che aveva montato uno specchio di Claude nella sua carrozza -, «dans un miroir, nous contemplons l’ensemble sous une seule mise au point ».
William Gilpin (1724–1804), River-Views, Bays, and Sea Coasts, 1781. |
A noi oggi potrebbe sembrare assurdo voler rifrangere e riflettere la vista di paesaggi meravigliosi in uno specchio scuro, dando le spalle alla scena (comportamento che tuttavia ci è congeniale attraverso la pratica dei selfie), ma forse in questo modo dimenticheremmo che anche noi subiamo totalmente il fascino degli effetti ottici dei nostri moderni dispositivi, che ci permettono di deformare e controllare quanto vedono i nostri occhi secondo i nostri modelli estetici, avvinti dal senso di dominio dato dal poter racchiudere le belle viste in cornici gestibili dalla nostra mano, in superfici che si lasciano riprodurre, condividere e conservare come trofei.
La pratica legata allo specchio di Claude drammatizza molti presupposti inerenti alla nostra percezione e rappresentazione del paesaggio. Questo dispositivo, infatti, chiama in causa il rapporto tra il nostro desiderio e la costruzione del luogo, tra il corpo e l'ambiente, trasformando la vista da come appare a come dovrebbe apparire, esponendo il mondo a una continua mediazione attraverso le tecnologie della visione. Rivela la natura stratificata e culturalmente determinata dello sguardo. Attira l'attenzione sulla complessa mediazione tra guardare e riprodurre, inquadrare e rappresentare, così come sui molti interventi che si verificano tra il vedere e il comprendere il paesaggio.
Al fine di esplorare uno strumento dallo statuto epistemologico così complesso, nel 2005 l'artista Alex McKay e la studiosa Suzanne Matheson hanno avviato il progetto di ricerca The Transient Glance: The Claude mirror and the Picturesque.
Per meglio comprendere lo specchio di Claude, ne hanno avviato un utilizzo di esso nel paesaggio. In particolare nel 2006 hanno messo a punto l'installazione (Tintern Abbey Viewing Station) di un Claude mirror largo un metro, che rifletteva l'antica abbazia di Tintern, nel Galles. Di fronte ad esso è stata posizionata una videocamera che trasmetteva in streaming l'immagine.
La scelta di tale luogo non è frutto del caso. La Tintern Abbey, infatti, è tuttora parte integrante di un percorso che si dispiega lungo la Wye Valley, una vallata caratterizzata dal paesaggio pittoresco, una delle mete più frequentate dal turismo inglese del XVIII secolo. Lungo la Way Valley erano allestite stazioni di visualizzazione, che offrivano mappe e specchi disposti in appositi chioschi, a disposizione degli spettatori, da cui ammirare il paesaggio e godere del piacere di una vista simile a quella che poteva offrire un dipinto pittoresco: il paesaggio reale, per poter essere gustato appieno, doveva essere mediato e trasformato secondo i gusti estetici dell'epoca, incorniciato, similmente a un quadro, assumendo le sfumature morbide e pastose tipiche della pittura allora in auge. Si potevano così esaltare le bellezze del paesaggio britannico invocando modelli stranieri idealizzati. "Pittoresco" significa "come un quadro" e infatti la descrizione pittoresca non era una risposta originale allo scenario naturale, ma una composizione costruita sui valori estetici predeterminati che lo scrittore o il pittore o il gentiluomo di gusto imponevano al paesaggio.
Anche i pittori utilizzavano lo specchio di Claude, in modo simile all'uso che si faceva delle camere ottiche: per aiutarsi a riprodurre il paesaggio in un'immagine pittorica, statica e bilanciata. Nell'installazione di McKay e Matheson, tuttavia, interviene anche l'occhio della videocamera, che trasmetteva in streaming sulla rete le immagini in movimento, catturate dallo specchio, registrando l'incessante ciclo dei giorni e delle stagioni e la vista delle rovine dell'abbazia con le variabili condizioni di luce e di tempo atmosferico. All'immagine fissa e immutabile della pittura, pertanto, aggiungeva movimento e variabilità.
Scrive Lucia Corrain (Il velo della pittura. Tra opacità e trasparenza, tra presentazione e rappresentazione, in AA.VV., Il sistema del velo. Trasparenze e opacità nell’arte moderna e contemporanea):
"L’occhio tecnologico della webcam in questo osservare e rappresentare senza sosta quel che vede, si configura alla stregua di una vera e propria protesi dell’occhio umano, dotato oltretutto di un fare interpretativo: il trascorrere del tempo registrato in presa continua dalla telecamera rimanda a un’altra dimensione temporale, ben più ampia, quella che ha agito progressivamente e ineluttabilmente sull’abbazia fino a ridurla alla condizione di rovina. Ma il passare del tempo, a sua volta, lavora ininterrottamente sulle pittoresche rovine: diventa un memento mori."
Qui il sito dell'artista con le informazioni da cui è stato tratto il post: http://alexmckay.ca/alexmckay.ca/Home.html
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