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venerdì 13 dicembre 2019

Perché la banana di Cattelan è diversa da operazioni simili del passato



Tutto vero ciò che ho letto in questi giorni a proposito del fatto che il gesto di Cattelan di attaccare la banana al muro ormai non può essere più considerato né provocatorio né trasgressivo, che si è trattato soprattutto di un'operazione pubblicitaria e commerciale, che gesti del genere, innovatori al tempo, li hanno compiuti molti altri in passato, che quindi l'operazione di Cattelan non è altro che un'eco sbiadita e sterile, ecc.
Da una parte sottoscrivo tutto.
Dall'altra, però, non posso fare a meno di rilevare alcune differenze.
Duchamp, Manzoni, Tiravanija, Mario Merz e altri hanno utilizzato cibo, spesso proposto al palato degli spettatori, offrendo un'esperienza di fruizione davvero singolare, un'assimilazione nel vero senso della parola: l'opera d'arte si offriva non solo alla visione, ma diventava corpo nel corpo del pubblico. Per non parlare della rottura con la concezione tradizionale di arte che quei gesti implicavano. Per cui, suonerebbe patetico riproporre oggi la stessa operazione pretendendo di essere trasgressivi e di fare arte.
Lo pensavo anche io, fino a due giorni fa.


Poi ho visto e rivisto la pagina Instagram, nata proprio intorno alla banana di Cattelan, e forse ho capito che l'irriverente artista veneto ha fatto qualcosa di diverso dai suoi predecessori. L'ha fatto, nella consapevolezza del contesto nuovo in cui oggi vive, fatto di produzione e condivisione globalizzata delle immagini.
Prendendo una comune banana e attaccandola al muro con comune nastro adesivo, su una semplice parete bianca (supporto neutro, sostituibile da qualunque superficie), non ha creato (o non ha voluto creare ) 'un'opera d'arte'. Ha dato più che altro un input, ha mostrato la dinamica di un gesto: prendere un oggetto qualsiasi della quotidianità, benché carico di riferimenti simbolici, anche volgari, ed esporlo su una semplice parete. Ha mostrato come funziona il ready-made, ha creato il dispositivo dell'esposizione casalinga, ha fatto in modo che le case private o banali superfici della nostra vita quotidiana diventassero luoghi di esposizione. Oggi è possibile, grazie ai social media e alla condivisione generalizzata. Cinquanta anni fa non era pensabile: quello trasgressivo rimaneva un gesto autoriale, unico, non ripetibile da altri.
L'input di Cattelan ha funzionato. Come era nelle previsioni. Il suo gesto viene replicato decine di volte, in decine di modi diversi. Spesso carinamente creativi. Quell'operazione non ha fatto altro che innescare un'infezione (e probabilmente si esaurirà ben prima di un'influenza di stagione). La banana sta diventando più virale della Gioconda. Sono solo parodie, direte voi. Non è arte. Certo. Ma qualcosa di nuovo è successo.



Il vero gesto artistico non è stato appendere quella particolare banana alla parete, ma creare una sorta di format, facilmente replicabile. Che porta all'estremo compimento lo spirito della Pop Art, cioè quello di essere un'arte accessibile a tutti, ma in questo caso non solo per quanto riguarda la fruizione, ma anche la produzione. Cattelan ha messo in scena una Commedia, di cui lui è regista e attore protagonista. Ma non è il solo. Che sia stato intenzionalmente o no, ha convocato tutto il mondo a prenderne parte, in qualche modo. Una sorta di progetto mondiale di arte partecipata per imitazione. La parete bianca ha fornito un immaginario talmente neutro da essere rimpiazzato con tutto e in molti hanno fatto proprio il gesto dell'artista. E questo processo di appropriazione, emulazione e condivisione del gesto, per quanto effimero e transitorio, che mette insieme due elementi diversi (l'azione di esporre oggetti concreti e la fotografia), non fa che renderci tutti coautori, ma anche tutti complici del vuoto di quell'art system di cui la banana rappresenta solo la punta gialla, un po' patetica forse, di un iceberg, neanche tanto sommerso.
Ciò significa la morte dell'arte, una sua svalutazione, una sua banalizzazione? Ok, discutiamone pure. Il discorso intrapreso fin qui non è voluto entrare nel merito. Si è solo limitato a riflettere sul fatto che, forse, non si è trattato di qualcosa di già visto, ma qualcosa di diverso.

2 commenti:

  1. Marisa, vedo che abbiamo espresso sostanzialmente la stessa tesi su vero gesto artistico di Comedian, come avevo scritto qui: https://deepsurfing.wordpress.com/2019/12/12/la-banana-e-le-querce/
    Non condivido invece l'idea che l'opera-meme ci renda tutti "coautori" e "complici del vuoto dell'art system", come ho spiegato nel mio pezzo su Doppiozero.

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  2. Ho letto e molto molto apprezzato questo tuo articolo, in cui riprendi quello citato nel commento: https://www.doppiozero.com/materiali/cattelan-lopera-meme-e-lartista-della-scappatoia
    Mi permetto di aggiungere che, oltre all'uso di un oggetto-paradigma, al contesto e al brand, l'altro elemento essenziale che concorre alla creazione e al successo del ciclo memetico è il dispositivo, semplice e replicabile, formato da una superficie (la parete bianca di Cattelan è sufficientemente neutra da poter essere sostituita con qualunque altra), da un pezzo di nastro e dal gesto che dà vita all'esposizione.
    Per quanto riguarda l'art system, secondo me questa operazione, seppure molto interessante, contiene un inganno di fondo: riesce solo nella misura in cui è forte il brand dell'autore, in grado di suscitare una tale risonanza mediatica. E questo brand è nient'altro che un valore di mercato.
    Ma mentre il gesto di Cattelan resta saldamente inserito nel system e nella logica di marketing, i meme che prolificano in rete gravitano all'esterno, rinchiusi nella cornice di semplice parodia. Insomma il gesto primario, germinatore, e quelli emuli, vivono in due dimensioni separate, che non riescono a incontrarsi.
    Non c'è quella condivisione vera e propria del gesto e del significato artistico tipica dell'arte relazionale. In questo caso i due eventi (quello dell'artista e i meme) abitano due costesti distinti e lontani.

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