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giovedì 5 dicembre 2019

George Tooker. Corpi soli e alienati nella città moderna

George Tooker, The Subway (1950), Whitney Museum of American Art, New York.

A lungo i critici hanno tentato di inquadrare l’opera dell’artista americano George Tooker, cercandone le affiliazioni estetiche nel realismo magico o nel realismo socialista o nel surrealismo. Nelle interviste, Tooker rifiuta tutte queste associazioni, sottolineando invece le sue influenze più personali: quelle degli amici Paul Cadmus, Jared e Margaret French, del compagno William Christopher da un lato e, dall'altro, dei temi del simbolismo e dei maestri pittori del primo Rinascimento, attratto in particolar modo dalla solidità e monumentalità delle figure di Piero della Francesca e dalla semplicità espressiva delle sue composizioni, di cui assimila molti elementi, sia iconografici che cromatici e compositivi, oltre alla tecnica del colore a tempera d’uovo. Tuttavia, i temi della sua pittura rimandano alle idee degli esistenzialisti, come Jean-Paul Sartre, e a quelle di scrittori come Franz Kafka: isolamento umano, alienazione urbana, impersonalità della burocrazia e rituali spiritualmente vuoti.

Quella di Tooker è una pittura religiosa senza soggetto religioso e nel contempo è una delle più efficaci rappresentazioni del disagio e della condizione alienata dell’uomo contemporaneo: indimenticabili i suoi dipinti che ritraggono uomini e donne che fanno capolino da anguste cellette, che giacciono soli negli ospedali, che mangiano in solitudine nelle caffetterie, che vagano sperduti nelle metropolitane o nei mercati. Tooker utilizza strutture architettoniche precise e geometriche come fondali per i suoi protagonisti, che spesso appaiono come masse informi contenute all'interno di scatole o cubicoli.

Builders, 1952.

Una delle sue opere più famose, The Subway (1950), illumina la sensazione di isolamento e alienazione della vita urbana moderna. Mostra una stazione della metropolitana con i suoi soffitti oppressivamente bassi, con le sue molteplici scale e tornelli. La figura femminile posta al centro è raffigurata da sola, con il viso colmo di angoscia e una mano a protezione del grembo, come se avvertisse un pericolo, con il vestito rosso che la isola da tutte le altre figure, contraddistinte da toni neutri. Questi personaggi anonimi hanno espressioni sinistre sui volti grigiastri pressoché identici; alcuni di essi sembrano fissare proprio la donna al centro, aggiungendo un elemento di paranoia e di minaccia al dipinto. Un sentimento amplificato dalla rappresentazione multiprospettica della metropolitana, che appare quasi come un labirinto in cui la figura centrale è schiacciata in uno spazio angusto, che gli preme sulla testa, e si mostra intrappolata, vulnerabile ed esposta agli sguardi maschili che la circondano. A destra, le donne che si avvicinano sembrano essere tagliate a pezzi dalle barre di un’uscita girevole. Queste, insieme ad altre sbarre e inferriate di metallo, rendono la stazione simile a una prigione e sottolineano il senso di intrappolamento e impotenza. The Subway rappresenta uno dei ritratti più efficaci dell’angoscia esistenziale urbana in generale, ma riflette anche il particolare periodo storico e l’inquietudine vissuta dagli Stati Uniti nella metà del secolo scorso, in piena guerra fredda, alimentata da un clima di paranoia generale, fatto di serrata sorveglianza di tutti gli aspetti dell’esistenza e di pressione al conformismo.

Government Bureau (1956)

Un altro elemento caratteristico della pittura di Tooker è l’anonimato dei volti. In Government Bureau (1956) è raffigurato un ufficio governativo, che sembra estendersi all'infinito. Gli individui che aspettano agli sportelli incarnano pienamente il principio di omologazione della società contemporanea: sia gli uomini che le donne hanno un aspetto quasi identico e indossano gli stessi vestiti. Anche la postura è la medesima: sono immobili e sperduti; nessuno interagisce tra loro. Dall’altra parte, attraverso i buchi aperti nei vetri opachi che separano gli impiegati dal pubblico, vediamo solo parti di volti pallidi e infossati, perfettamente omologati. Buona parte del dipinto è modulato intorno alle variazioni delle tonalità dell’ocra e del marrone. I volti degli utenti non sono visibili, mentre quelli dei burocrati governativi sono rivolti allo spettatore, ma sono ridotti a occhi che scrutano e sorvegliano inespressivi. Ciò che è assente da questo dipinto è l’uomo, ridotto a corpo anonimo privo di volto, invisibile e ignorato dagli altri, non integrato, ma anzi del tutto estraniato e scollegato rispetto allo spazio che occupa.

The Waiting Room (1959).

Gli stessi temi della burocrazia alienante, dell'anonimato e dell'ansia bloccata in un’attesa che pare senza motivo li ritroviamo in altre opere di Tooker, come The Waiting Room (1959). Anche qui individui isolati l’uno dall’altro, in attesa di un qualche servizio erogato da un ufficio pubblico, immersi in uno spazio caratterizzato da tinte neutre e anonime. L'illuminazione conferisce loro un colorito malato e la stanza appare sporca e in degrado. Le persone stazionano in scatole numerate, che evocano idee di standardizzazione e incasellamento all’interno di categorie predefinite. La prospettiva del dipinto suggerisce che lo stesso locale, così come l'attesa, potrebbe continuare all'infinito. Il tutto conferisce all’immagine un senso di dilatamento sia spaziale che temporale, che incute ansia e senso di precarietà. Si potrebbe quasi affermare che quelli raffigurati nelle opere di Tooker rappresentino efficacemente i non-luoghi teorizzati da Marc Augé: luoghi provvisori, liminali, di passaggio, caratterizzati da una temporalità sospesa, nei quali, più che persone, soggiornano utenti estranei gli uni agli altri, che attendono qualcosa, come in una specie di purgatorio, luogo che assurge a forma spaziale dell’alienazione della vita moderna. La loro struttura a labirinto senza uscita, amplificata anziché attenuata dalla presenza di molteplici punti di fuga, creano dei teatri silenziosi, in cui la realtà si trasforma in un dramma ripetitivo, come quelli di Samuel Beckett.


Tooker dilata e moltiplica le scatole prospettiche rinascimentali per ambientarvi la narrazione dell’angoscia e dell’alienazione dell’uomo moderno, che ha perso per sempre il ruolo di centro della rappresentazione, ma anzi partecipa della stessa proliferazione modulare e standardizzata degli spazi claustrofobici che scandiscono la superficie dei dipinti. Egli è un maestro nell’utilizzo e nella creazione di dispositivi di inquadratura che aumentano la tensione psicologica dell'opera. Specchi e finestre servono spesso come strumenti di composizione spaziale, in particolare negli autoritratti e negli interni burocratici. Allo stesso modo, tuttavia, specchi e finestre aggiungono confusione e isolamento, creando barriere che ostacolano la comunicazione umana.
Tooker ha costruito un mondo misterioso lontano dal mainstream: una narrazione impregnata di ansia e disumanizzazione. Le sue figure anonime ma stranamente familiari sembrano scivolare in un mondo enigmatico e senza tempo anche se raffigurato in un ambiente quotidiano e contemporaneo come una sala d'attesa. I loro volti lisci simili a maschere e il sottile linguaggio del corpo alienano questi soggetti da ciò che li circonda, catturando i tormenti di un'epoca.












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