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domenica 2 dicembre 2018

La cornice: confine o soglia?

Pere Borrell del Caso, Sfuggendo alla critica, 1874 – Collezione Banco de España, Madrid.

Quali sono i dispositivi che orientano lo sguardo dello spettatore verso l’oggetto della visione? Come avviene la focalizzazione verso un quadro pittorico o qualunque altra forma di rappresentazione?
Senza dubbio uno dei elementi che svolgono questa funzione è la cornice. In rete è disponibile un bel saggio di Antonio Somaini, dal titolo “La cornice e il problema dei margini della rappresentazione”  (http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/leparole/duemila/ascorn.htm) che affronta questo tema. Questo post prende spunto da questo testo, estrapolandone alcune considerazioni.
Quali sono le funzioni che storicamente ha assunto la cornice?

- Innanzitutto la cornice protegge l’immagine che contiene, la rende trasportabile e collocabile in diversi contesti.
- In secondo luogo la cornice stacca l’immagine dallo spazio circostante:
"“La cornice separa l’immagine da tutto ciò che non è immagine. Definisce quanto da essa inquadrato come mondo significante, rispetto al fuori-cornice, che è il mondo del semplice vissuto." (V. Stoichita, L'invenzione del quadro).
Essa segna il confine tra il mondo esterno e uno spazio circoscritto, che ha uno statuto diverso, in quanto spazio di rappresentazione. La cornice, infatti, circoscrive e isola; in questo modo decontestualizza l’immagine che contiene, cioè la individua come spazio altro rispetto al contesto in cui è collocata, impedendo che si confonda con l’ambiente circostante.
- In quanto delimita, la cornice focalizza e modalizza lo sguardo verso lo spazio che racchiude. La cornice ha, pertanto, una funzione deittica, cioè quella di indicare, di mostrare, di “ostentare” il dipinto. Come ha sottolineato Ortega y Gasset «invece di attirare su di sé lo sguardo, la cornice si limita a condensarlo e a indirizzarlo sul quadro»; essa invita e concentra lo sguardo dello spettatore verso l’immagine, sollecitandolo ad assumere una posizione adeguata alla fruizione, trasformandosi da sguardo ordinario in “visione e contemplazione”, cioè in relazione 'estetica', che comprende anche la valutazione e l'interpretazione.
Proprio nella misura in cui circoscrive e chiude la rappresentazione rispetto all’esterno, la cornice apre allo spettatore le porte di un mondo interno, un territorio nel quale vigono leggi altre rispetto a quelle della vita ordinaria: un’apertura resa possibile da una chiusura. La cornice funzionerebbe insomma come una sorta di finestra, un luogo di accesso allo spazio della finzione. D’altra parte, come la finestra, la cornice determina una sensazione di tridimensionalità e un'illusione di profondità.
Il ruolo della cornice, come si vede, non è solo pratico o di ornamento: essa contribuisce a instaurare lo spazio della rappresentazione e a configurare lo sguardo dello spettatore, problematizzando la questione di quali siano i margini della “inquadratura”. E questo non vale solo per i quadri pittorici, ma per vari tipi di rappresentazione e di fruizione, come quella teatrale, musicale, fotografica o cinematografica, in cui operano dei dispositivi di delimitazione e focalizzazione analoghi alla cornice pittorica.

René Magritte, La condizione umana, 1933.

La cornice, dunque, è una sorta di parergon, cioè un elemento né interno all'opera (ergon) né completamente esterno ad essa. Essa rappresenta la linea di confine tra lo spazio ordinario e lo spazio della finzione. Poiché l'essenza dell'opera d'arte è quella di essere una totalità per se stessa, perfettamente autonoma e sufficiente e dunque non bisognosa di alcuna relazione con l'esterno, la cornice svolge il ruolo essenziale di operare una cesura, escludendo l’ambiente circostante, compreso lo spettatore, e contribuisce a collocare l’opera a quella distanza necessaria perché essa possa essere fruibile. Ma non è solo un confine. La cornice, riprendendo il pensiero di Ortega y Gasset, è anche la soglia che lo sguardo oltrepassa per accedere a un mondo altro, immaginario:
“il quadro è un'apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambito reale. Quando guardo questa grigia parete domestica, la mia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro, entro in un recinto immaginario e adotto un'attitudine di pura contemplazione. Sono, dunque, parete e quadro, due mondi antagonistici e senza comunicazione. Dal reale all'irreale, lo spirito fa un salto, come dalla veglia al sonno. L'opera d'arte è un'isola immaginaria che fluttua, circondata dalla realtà da ogni parte.” (J. Ortega y Gasset, "Meditazioni sulla cornice", in I percorsi delle forme. I testi e le teorie)
In questi termini, in quanto dispositivo di ostentazione, finalizzato a convogliare l'attenzione dello spettatore sull'immagine senza troppo farsi notare, la cornice è un elemento che contribuisce a stabilire le giuste condizioni della ricezione, trasformando lo sguardo in contemplazione e quindi impedendo ogni contaminazione con l'esterno e la dispersione della visione. Essa indica all’osservatore non solo dove, ma anche come guardare, cioè a riconfigurare la percezione. L’ambiente circostante, infatti, che giunge fino al limite della tela, è il solo che può essere percepito in modo reale. L’oggetto iconico, invece, ha un diverso statuto di realtà, che richiede una diversa modalità percettiva. Il passaggio da uno spazio all’altro avviene attraverso la cornice, che contribuisce a modalizzare lo sguardo, cioè a intenzionarlo rispetto a un oggetto, l’immagine, che possiede una natura diversa rispetto allo spazio che lo contiene, consentendogli di cogliere la rappresentazione e, più in generale, il prodotto artistico non come una “cosa fra cose”, ma come opera.
E’ questo il nodo principale della cornice: essa è il ponte che collega il mondo della realtà a quello dell’immagine, ma che al contempo garantisce che questi rimangano separati. Nel passare dal mondo reale a quello rappresentativo, la percezione dello spettatore deve essere consapevole che non può creare relazioni spaziali fra gli oggetti rappresentati nel quadro e quelli che lo circondano, perché entrambi gli spazi sono indipendenti e autonomi. L’opera d’arte, nella sua accezione moderna è un’isola immaginaria, separata dall’ambiente vitale in cui fluttua. Nonostante l’evidente scarto che vi è fra i due mondi, la cornice funge da soglia che ne consente il passaggio. Se i limiti delle due dimensioni non fossero circoscritti, l’atteggiamento del fruitore non si modificherebbe e non sarebbe pronto ad accogliere l’essenza dell’opera. Tutto ciò, almeno fintanto che si accetta un’idea di arte come realtà separata da quella in cui viviamo e agiamo. Principio che le pratiche artistiche del XX secolo negheranno con forza.
Ma non è solo la cornice ad avere la funzione di indice e soglia. Nelle arti visive, esistono altri elementi che svolgono la stessa funzione deittica, cioè di delimitare e indicare un luogo focalizzando l’attenzione dello spettatore: il piedestallo su cui poggia una scultura, il titolo posto di fianco a un'opera d'arte, la delimitazione di uno spazio di fruizione, un testo critico introduttivo o esplicativo, la copertina di un libro, l'applauso prima e dopo un concerto, l'aprirsi e il chiudersi del sipario in una rappresentazione teatrale.
Da questo punto di vista, anche un museo (o altro spazio espositivo) svolge le stesse funzioni di indicazione, delimitazione e legittimazione dell’opera d’arte, mentre l’iconosfera in cui oggi siamo immersi ci propone senza soluzione di continuità immagini di ogni tipo, mettendo insieme quelle artistiche con migliaia di altre che rispondono alle funzioni più diverse. Queste immagini proliferanti scorrono in un flusso apparentemente indistinto e sono svincolate dall’appartenenza a un luogo e a un supporto che le delimiti e le decontestualizzi, separando lo spazio della realtà da quello della rappresentazione. Come si struttura, pertanto, il loro rapporto con lo spazio circostante, con il fuori-cornice? Hanno ragione Baudrillard o Régis Débray, secondo i quali l'avvento del “visivo” ha sancito la fine dell'immagine come rappresentazione, un'immagine fondata su un rapporto di alterità rispetto alla realtà e posta in posizione frontale rispetto a uno spettatore che si trova ora, invece, in una situazione di immersione, dando luogo a una sempre crescente confusione tra realtà e immagine?
Ecco perché, ragionare oggi sulla cornice e sui dispositivi di delimitazione e decontestualizzazione in generale costituisce un modo di ragionare sul destino stesso dell’immagine.

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