Caravaggio, La Cena in Emmaus, 1601-02, National Gallery, Londra. |
Nel Seicento, al posto di quella diffusa, velata e uniforme del Cinquecento, torna l'azione della luce puntiforme e localizzata, in grado di creare forti contrasti. Ritornano in auge, pertanto, anche le ombre portate, che anzi diventano elemento fondamentale della rappresentazione.
Una delle opere che inaugura questa nuova stagione è sicuramente “La Cena in Emmaus” di Caravaggio (la versione conservata alla National Gallery di Londra), pittore di grandi contrasti di ombra e di luce, il cui linguaggio divenne scuola.
Si noti l’ombra del braccio teso di Gesù sul proprio corpo. Proprio questo elemento, secondo il Gombrich, può aiutarci a capire in modo manualistico perché mai tanti pittori del Cinquecento abbiano preferito evitare l’ombra portata. Quest'ombra costituisce una clamorosa «interruzione della continuità del modellato della figura».
Accuratissime sono poi le ombre congiunte degli oggetti sulla tovaglia, in particolare quella spezzata del cesto poggiato in bilico sul tavolo. All'interno di esso vi è della frutta matura, con una mela bacata e dell’uva: rimandi simbolici al peccato originale e alla passione e morte di Cristo per la nostra redenzione.
In questa prima versione (molto diversa da quella successiva, conservata a Brera) è la luce che descrive la scena: predominano nel quadro netti contrasti di luce e ombra creati da una fonte luminosa che nelle opere di Caravaggio è sempre esterna al quadro. Oltre a quelle congiunte, nell'opera sono presenti, in modo nitido, anche delle ombre parallele, quelle proiettate dai personaggi sulla parete di fondo, che fanno risaltare la luce che investe la figura del Cristo e accentuano il tono drammatico della scena, ripresa nel momento cruciale, quello in cui Gesù, nell'atto di benedire il pane, è finalmente riconosciuto dai suoi discepoli come il Salvatore risorto.
Sotto la canestra in primo piano, si vede bene una strana ombra a forma di coda di pesce. Secondo Stefano Levi Della Torre, non si tratterebbe di un fatto casuale, ma di un simbolo cristologico. Infatti in greco ikthus significa pesce, ma è anche il tradizionale acronimo paleocristiano: IesusKristos theon Ulios Soter, Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore.
Queste ombre, pertanto, possono essere considerate sia come descrizioni realistiche delle proiezioni dei corpi negli spazi di luce, sia come figurazione simbolica, sia come vere e proprie presenze drammatiche presenti nella scena.
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