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venerdì 8 dicembre 2017

I volti dei desaparecidos

Juan Ángel Urruzola, Eduardo O'Neil, detenido desaparecido en Buenos Aires en 1977, da Miradas ausentes, 2000.

Nel 2008, il fotografo Juan Ángel Urruzola ha affisso sessanta gigantografie in bianco e nero sui muri nel centro di Montevideo. Si tratta di fotografie che, citando quelle di Kenneth Josephson, contengono a loro volta altre fotografie: i volti di alcuni ragazzi, desaparecidos durante il periodo della dittatura, inseriti in vari paesaggi.
“Miradas ausentes (en la calle)”, questo il nome, è un progetto visivo memoriale. Come si può intuire, qui lo stesso artificio, presente nelle immagini di Josephson, non si pone fini concettuali e metafotografici. L'obiettivo di questi murales è quello di riportare l'attenzione su un fatto storico, realmente accaduto, e dunque di testimoniarlo, di tenerne viva la memoria e di stimolare l'impegno pubblico, dal momento che le misure del governo si volgevano invece a imporre una politica del silenzio finalizzata alla pacificazione, facendo cadere nel dimenticatoio i crimini passati e i loro responsabili.


Luis Eduardo Gonzalez, detenido por el militares del 6º de caballería en 1974, posteriormente declarado desaparecido.

Non scriveva forse Benjamin che ogni punto delle nostre città è una scena del crimine e che il fotografo, con le sue immagini, è chiamato a rivelare la colpa e indicare il colpevole?” Così queste immagini (fotomontaggi che contengono al loro interno le fotografie scattate ai prigionieri al momento del loro arresto) sono come delle scene del delitto. Come nelle immagini di Josephson, anche qui la fotografia dei desaparecidos è retta da una mano tesa contro desolati panorami cittadini o contro le ramblas deserte lungo il fiume Plata.
Ogni fotografia è accompagnata da una didascalia che riporta il nome della persona, il luogo e la data del suo rapimento, in modo da ridare un'identità biografica a un volto originariamente conservato in un anonimo archivio e per riscattare la cancellazione dell'esistenza e della memoria da parte del regime.

Victoria Grisonas, detenida desaparecida en Buenos Aires junto a su marido Roger Julien y sus hijos Anatole y Victoria, posteriormente encontrados en Santiago de Chile.

Si tratta, cioè, di un modo, benché semplice, di reinserire, seppure simbolicamente, le persone scomparse nell'ambiente da cui erano state prelevate con la violenza. I morti vengono riportati nella città e la fotografia diventa strumento di una cultura memoriale collettiva.
Al momento dell'arresto, i prigionieri venivano di solito incappucciati o bendati, cioè veniva loro amputata la capacità di vedere. Attraverso le immagini di Miradas ausentes, lo spettatore è esortato a soddisfare lo sguardo del detenuto, un tempo precluso e neutralizzato e, nel farlo, è spinto ad affrontare la scomoda storia di una morte che fino al 2001 lo Stato uruguaiano aveva rifiutato di riconoscere.

Blanca Margarita Rodriguez de Bessio, desaparecida en Buenos Aires en 1975.

La mano che tiene l'immagine del prigioniero si impone allo sguardo come un imperativo morale, affinché lo spettatore rimuova i propri “bendaggi”, respinga la tentazione di negare la storia ed entri in uno scambio inter-generazionale di sguardi che colleghi il passato con il presente. Urruzola ha infatti voluto che le fotografie non fossero installate su tabelloni posti in alto, ma incollati sui muri a livello di strada, direttamente nel trambusto della vita quotidiana, in modo da coinvolgere i passanti e, di conseguenza, per porre gli occhi dei pedoni allo stesso livello di quelli degli scomparsi. In tal modo Urruzola proclamavala sua fede barthesiana nella fotografia come strumento in grado di riportare magicamente in vita l'assente e il morto.
Su youtube ci sono alcuni video che documentano l'affissione di queste immagini sui muri di Montevideo:



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