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mercoledì 4 gennaio 2017

L'uomo e la natura - William Turner

Joseph Mallord William Turner, La nave negriera, 1840, Museum of Fine Arts, Boston - Public Domain via Wikipedia Commons

Il sublime è un'idea che attraversa la cultura europea tra la metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento, intersecando Illuminismo e Romanticismo e assumendo configurazioni differenti e orientamenti disomogenei nelle diverse culture nazionali. Questa idea moderna di sublime investe essenzialmente il rapporto dell'uomo con la natura e si afferma in opposizione alla concezione classica del “bello”. La natura dei romantici non è immutabile e pervasa di quieta grandezza come quella dei pittori neoclassici, ma è scossa da un'infinita energia distruttiva e creatrice al tempo stesso, che la trasforma incessantemente; ad essa corrisponde specularmente la natura umana, che non è arida razionalità, bensì un tumulto di sentimento, istinto, passione.
I maggiori interpreti del Sublime in pittura sono l'inglese Joseph Mallord William Turner e il tedesco Caspar David Friedrich.

Fra i pittori romantici inglesi, Turner (1775-1851) è senza dubbio l’interprete più appassionato e sensibile della poetica del sublime, quel sublime dinamico, come lo definiva Kant, che riguarda le manifestazioni della natura caratterizzate da grande esplosione di energia, che si impone grandiosamente sull’uomo fino a stordirne i sensi. Il soggetto di alcuni suoi quadri più tipici sono proprio le tempeste, in cui la furia degli elementi imprime grande dinamismo alla composizione.

Joseph Mallord William Turner, Il naufragio della Minotauro, 1793 - Public Domain via Wikipedia Commons

Soprattutto verso la fine della sua carriera artistica, lo studio degli acquerelli del paesaggista Cozens, la lettura della Teoria dei colori di Goethe e la scoperta del valore fondante della luce lo spingono a maturare una personalissima pittura di paesaggio al limite dell'astrattismo, indirizzata soprattutto verso la pura ricerca luministica: il colore, quasi svincolato da ogni riferimento naturalistico, si fa pura modulazione di luce. Nei suoi quadri egli conferisce alla luce grande autonomia, rappresentandola non come riflesso sugli oggetti ma come indipendente entità atmosferica. Per far ciò, usa il colore in totale libertà, con pennellate curve ed avvolgenti. Le immagini che ne derivano hanno un aspetto quasi astratto, fatto di puro colore, quasi senza più nessuna relazione con l’oggetto rappresentato. D’altro canto l’attenzione di Turner si sposta, con il passare degli anni, sempre più su quelle parti del paesaggio che non sono direttamente influenzate dalla forma, come l’acqua del mare, l’atmosfera o il cielo.
Più che immagini reali, quelle di Turner sembrano visioni fantastiche o impressioni che emergono dalla nebbia di ricordi lontani e in cui ogni elemento descrittivo perde i contorni e si dissolve in drammatici effetti cromatici.

William Turner, Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812, Tate Gallery, Londra.

Suoi soggetti preferiti sono le catastrofi naturali, come i naufragi, gli incendi e i fenomeni atmosferici, secondo una tecnica che focalizzava, grazie all'uso di linee circolari-ellissoidali, il centro della scena, creando una sorte di vortice in grado di coinvolgere intensamente lo spettatore.
L'opera "Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi", al pari di altre dello stesso artista, prende solo a pretesto l'episodio storico di Annibale per una immagine che in realtà è una libera ricerca degli effetti luminosi e dinamici attivati da una bufera di neve. L'episodio storico qui ricordato rimanda all'attraversamento delle Alpi da parte di Annibale e del suo esercito nel 218 a.C., ma la rappresentazione è tutt'altro che celebrativa. Più che l'eroismo dei soldati cartaginesi, la vera protagonista del quadro è la forza della natura, che come uno spaventoso vortice incombe sugli uomini, piccoli e atterriti. Più che raccontare una storia, o rappresentare una scena, sembra che l'intento del pittore sia soprattutto quello di provocare un'emozione. L'intensità drammatica è tale da travolgere lo stesso spettatore, travolto anch'esso dalla potenza degli elementi.
Lo schema compositivo, alquanto innovativo, ricorre in molte altre opere di Turner: la linea dell'orizzonte si curva fino a diventare una spirale avvolgente che ruota intorno ad un punto posto in posizione leggermente decentrata. La composizione risulta pertanto asimmetrica e irregolare, il che impedisce alla percezione dello spettatore di orientarsi e strutturarsi secondo rapporti geometrici regolari e proporzionati, costringendola a una vertigine rotatoria. La nebbia, la neve, la luce sono convogliate nel vortice e l'intero universo sembra avvilupparsi su se stesso. I colori sono lividi e spenti, mancano precisi riferimenti visivi ed il disegno è appena percettibile.
Quello utilizzato è un linguaggio del tutto nuovo, che scardina completamente la prospettiva tradizionale e crea nuove unità di forme e di movimento. Per rappresentare un universo infinito e incommensurabile, infatti, quella prospettiva, che reggeva la rappresentazione di un mondo finito e geometricamente misurabile, risulta del tutto inappropriata.
Rispetto alla produzione precedente del pittore, si nota come il dato realistico e figurativo stia man mano perdendo di nitidezza. Le forme cominciano a sfaldarsi, cedendo il passo all'astratto.

William Turner, Regolo, 1828, Londra, Tate Gallery.

Come il precedente, anche il dipinto Regolo appartiene alla serie di opere che Turner dedica alla storia antica. L’episodio a cui si fa riferimento riguarda la vicenda di Attilio Regolo, caduto prigioniero dei cartaginesi e inviato da questi in patria per convincere i romani a desistere dal conflitto. Regolo, al contrario, incita i suoi concittadini a continuare la guerra ma, per onorare la parola data, fa ritorno a Cartagine, dove subisce il taglio delle palpebre (che gli causa abbacinamento e perdita della vista) e un supplizio atroce (il famoso rotolamento dalla collina dentro una botte irta di chiodi).
In una scrittura testamentaria, Turner espresse la volontà che tale quadro venisse esposto insieme a un’opera di Claude Lorrain, “Porto con l'imbarco della regina di Saba” (1648).

Claude Lorrain, Porto di mare con l’imbarco della regina di Saba, 1648.

Basta confrontare le due opere per rendersi conto delle profonde differenze stilistiche. Benché segua lo stesso schema compositivo del porto di Lorrain, con quinte laterali costituite dagli edifici classici che si affacciano su entrambe le sponde del canale e il sole al centro, qui mancano la nitidezza e l’equilibrio delle forme e la placida atmosfera generata da una luce morbida e delicata che caratterizzano la tela seicentesca. In questo dipinto del pittore inglese, la vera protagonista è la luce del sole che esplode nel fondo e dissolve la prospettiva classica, sfaldando le forme e creando l’effetto sublime dell’abbacinamento, cioè dell’occhio umano direttamente esposto al sole. Lo spettatore si trova, dunque, a subire lo stesso supplizio del personaggio richiamato nel titolo dell’opera.

Josepf Mallord William Turner, L'incendio delle camere dei Lords e dei Comuni il 16 ottobre 1834, 1835, Museum of Art, Cleveland.

Nella notte del 16 ottobre 1834 si verifica un incendio che distrugge il Parlamento di Londra. Secondo le cronache, una grande folla accorse numerosa per osservare lo spettacolo. La situazione offre un esempio di ciò che si intende per “esperienza del sublime”: da una parte lo sgomento per l'immane disastro che distrugge e minaccia, dall'altra, la possibilità di assaporare, al riparo dal pericolo, le emozioni suscitate dall'evento catastrofico, che contemplano lo stupore e l'ammirazione per le forze della natura.
Anche Turner faceva parte della folla di spettatori, a bordo di un'imbarcazione che solcava il Tamigi.
Il dipinto L'incendio delle camere dei Lords e dei Comuni il 16 ottobre 1834 mostra l'edificio avvolto dalle fiamme, che sembrano formare una sorta di turbine vorticoso. Invece del classico punto di fuga cui far convergere l'intera composizione, costruendo lo spazio in modo compiuto e delimitato, la linea del ponte all'orizzonte suggerisce un limite fittizio, oltre il quale l'immaginazione intuisce uno spazio infinito. In esso si agitano forze cosmiche che sfuggono al controllo dell'uomo, come il fuoco e l'acqua, che qui occupano l'intera scena determinandone il cromatismo giallo-blu. Il pittore procede per masse di colori puri (caldi e freddi), che interagiscono tra loro.
La disposizione a "vortice" caratterizza tutta la produzione turneriana della maturità ed esemplifica il concetto di moto universale che la cultura romantica eredita dall'illuminismo inglese.
La composizione assume un aspetto visionario, incurante del dato formale; la rappresentazione lineare dello spazio lascia il posto alla visione e alla suggestione, che è sempre un miscuglio di fascino e repulsione.

William Turner, Tempesta di neve. Battello a vapore al largo di Harbour's Mouth, 1842, Londra, Tate Gallery.

In "Tempesta di neve", Turner abbandona ogni preoccupazione realistica e figurativa per darsi ad una pittura di gesto che sfiora quasi l'astratto. Il quadro sconcertò i contemporanei, che lo definirono "pasticceria", in quanto appariva loro più un impasto di latte, farina, uova, cioccolato, ecc. che non la tela di un pittore. Qui il disegno sembra abolito del tutto a favore dei puri effetti di luce e colore: le forme sono sfocate, fin quasi a dissolversi, confondendosi con gli stessi elementi naturali; gli spazi non sono più misurabili, ma intuiti attraverso le suggestioni evocate dal colore e dagli effetti atmosferici. Trascendendo dal dato descrittivo, il dipinto si sviluppa come pura visione, con i tratti allucinati del sogno o del ricordo.
La composizione è a spirale: il movimento vorticoso della tempesta curva lo spazio travolgendo tutto e rendendo irriconoscibile lo spazio e gli oggetti. Il piccolo battello, in balia delle onde, si riconosce appena. La natura è un moto incessante di forze cosmiche che assorbono e riversano l'energia nella furia degli elementi. L'imbarcazione, così come lo stesso spettatore, sembra risucchiato dal movimento turbinoso che avviluppa l'intero cosmo.
Lo stesso Turner volle sperimentare tale esperienza del sublime, facendosi legare, all'età di settantasette anni, all'albero maestro di una nave e attraversando l'occhio di un ciclone durante una tempesta.
La natura di Turner non è mediata né domata da forme stilistiche e schemi compositivi regolari, ma è colta nella sua dimensione più vitale e spontanea, e pertanto autentica, in grado di stimolare la creatività istintiva e spregiudicata del pittore e, soprattutto, in grado di esprimere il suo stato d'animo. La pittura diviene così visione interiore proiettata all'esterno, sullo spettacolo terrificante e sublime della natura.

William Turner, Pioggia vapore e velocità, 1844.

In Pioggia vapore e velocità, uno dei quadri più suggestivi di Turner, sono ben evidenti gli elementi caratteristici della sua pittura, che tanto sconvolsero i contemporanei. Il paesaggio ormai è solo un indistinguibile tumulto di colori, che impasta la luce nelle sue diverse colorazioni con le raffiche di vento e pioggia e con i vapori di una locomotiva in corsa (il treno circolava in Gran Bretagna già dalla fine degli anni Venti e questa è la sua prima rappresentazione pittorica). Il taglio dato dalla diagonale del ponte su cui corre il treno è decisamente inusuale, così come il dinamismo che suggerisce la velocità della macchina e la suggestiva prospettiva del movimento del treno che avanza verso lo spettatore.
Nei quadri di Turner, tra i soggetti più usuali ci sono le tempeste di neve o le tempeste marine, che realizzano il senso del sublime dinamico. Un sublime che è caratteristica della sola forza della natura. In questo quadro compare invece un elemento decisamente nuovo, frutto dell'ingegno dell'uomo e simbolo della moderna era industriale che avanza: il treno. La ferrovia era comparsa in Gran Bretagna dalla fine degli anni Venti e questa è probabilmente la prima opera d'arte che la ritrae. Questa invenzione, che sfrutta l'energia del vapore, stimola l’immaginazione di Turner, che trasforma il passaggio di un treno in un evento mitico, riportandolo nella stessa categoria del sublime. Anche la locomotiva è una potenza sovrumana, benché artificiale. Essa non curva lo spazio come le tempeste, ma procede per linea retta, travolgendo lo spazio come una valanga.
Il paesaggio non è che un tumulto di luce, colore e movimento che rende vaghe e indefinite le figure e lo stesso spazio pittorico, che sembra estendersi oltre i limiti prospettici e oltre i confini della tela. Mai si era vista una tale luce, filtrata dall'effetto di pioggia e vapore. Tali elementi fanno di quest'opera, e di altre appartenenti alla stessa fase della carriera artistica di Turner, uno dei precedenti più diretti di tanta pittura della seconda metà dell’Ottocento che, dagli impressionisti in poi, abbandonerà sempre più la realistica rappresentazione di forme statiche e definite.
La sua ricerca porta il pittore ad alcune intuizioni sullo spazio, sul movimento della luce, sull’atmosfera e sulla decostruzione dell’immagine che sconvolgono i canoni di giudizio estetico contemporanei e che anticipano gli sviluppi dell'arte futura. Turner è l'artista che raccoglie e sintetizza l'eredità della modernità seicentesca per poi sovvertirla e convogliarla verso un nuovo orizzonte, aprendo la strada verso una nuova modernità, quella del XIX secolo.

Il mattino dopo il diluvio” appartiene all’ultima fase della produzione artistica di Turner. L'opera rappresenta l'espansione della luce dopo il diradarsi delle tenebre del diluvio universale. Nel dipinto vediamo una moltitudine indistinta, formata da minuscole sagome confuse, appena percettibili a causa della luce abbacinante della massa globulare che li avvolge. La piccola figura in alto rimanda a Mosè, intento a scrivere il libro della Genesi.

WilliamTurner, Luce e colore: la teoria di Goethe. Il mattino dopo il diluvio, 1843, Tate Gallery, Londra.

La composizione spiraliforme delle opere precedenti viene portata alle estreme conseguenze, presentandosi come un vortice di luce racchiuso in un cerchio compiuto. Qui giunge a compimento quel dissolversi delle forme, quello smaterializzarsi degli oggetti che caratterizzano l'ultima pittura di Turner, arrivando quest'ultima ad essere pura “visione interiore”, espressione spirituale che trascende la realtà oggettiva.
Questi ultimi dipinti sono quasi del tutto privi sia di oggetti solidi che di linee rette (le basi di una rappresentazione razionale e oggettiva), avendo come soggetto soprattutto il colore, che dà vita a uno spazio-luce libero da ogni strutturazione prospettica.
Quest'opera si ispira alla Teoria dei colori di Goethe, tradotta in inglese nel 1840. In essa, lo scrittore tedesco polemizzava con la visione meccanicista di Newton, a favore di una concezione che vedeva nei colori una risposta emotiva alle sollecitazioni della natura.
Attraverso lo studio delle teorie di Newton e di quelle di Goethe, Turner studia le caratteristiche della luce, i fenomeni ottici e la percezione visiva, ma il suo obiettivo è soprattutto quello di cogliere aspetti della realtà non visibili e percepibili e di esprimere la dimensione spirituale delle cose.
Il mattino dopo il diluvio è il momento della rinascita, della palingenesi (dal greco pàlin “di nuovo” e gènesis “nascita”), rappresentata come un vortice da cui tutto si rigenera, perché distruzione e creazione sono i due volti inscindibili della natura. Questi due momenti sono resi come opposizione vorticosa di colori caldi, “positivi” e vitali, e di colori freddi, i quali creano un turbine di luce che rapisce lo spettatore e che vertiginosamente lo riconduce nel caos informe e primordiale del mondo, lì dove tutto ha inizio, dove luce e tenebra si separano e comincia il tempo e la vita. E' la speranza di rinascita, proiettata verso un avvenire radioso, consegnata da un artista che, alla fine della sua parabola, realizza delle opere che a molti contemporanei saranno apparse come il delirio di un anziano pittore ormai privo di lucidità e che invece costituiscono il testamento spirituale del genio-veggente e l'apice della ricerca di un'intera vita.


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