Se il termine “utopia” indica il luogo ideale dove tutto è come dovrebbe essere, “distopia” indica proprio il suo contrario. Nelle scienze sociali, in letteratura e nel cinema viene utilizzato soprattutto in riferimento alla rappresentazione di una società ipotetica (spesso ambientata nel futuro) nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche avvertite nel presente sono portate a estremi negativi. Il futuro distopico è dunque indesiderabile o addirittura terrificante.
L’utopia negativa si basa su pericoli percepiti nella società attuale e spostati, amplificati, in un'epoca e in un luogo distanti o storicamente successivi, come nelle opere fantascientifiche di H. G. Wells.
Il filone distopico ha sempre affascinato il cinema, fin dagli albori, fin dal capolavoro di Fritz Lang, Metropolis, del 1927, per giungere agli attuali Hunger Games e Maze Runner. Per la sua proiezione nel futuro, il cinema antiutopico racchiude gran parte della fantascienza cinematografica.
Metropolis, regia di Fritz Lang, 1927. |
I film distopici hanno come principale caratteristica quella di essere ben ancorati alle tematiche sociali, politiche ed economiche della società del presente. Nonostante l'ambientazione della distopia sia quasi sempre futura, essa mantiene un forte legame con la contemporaneità, di cui vuole essere di volta in volta critica o monito, e che viene trasfigurata e caricata di volta in volta con toni preoccupati e allarmistici (a partire da Metropolis), grotteschi (Il Dottor Stranamore, Arancia Meccanica), surreali (Dark City, The Truman Show), ecc.... Nel secolo scorso, la tragica esperienza dei regimi totalitari, così come la riflessione sui limiti dello sviluppo e sugli sconvolgimenti apportati dal progresso scientifico e tecnologico, sono sicuramente alcune delle tematiche che più hanno influenzato la narrazione distopica.
La prima filmografia di tematica distopica, che va sostanzialmente dagli anni venti fino agli anni sessanta, è caratterizzata da divisioni e opposizioni laceranti (si pensi al contrasto tra classi sociali all’interno di Metropolis). Le antiutopie degli anni sessanta, settanta e ottanta sono caratterizzate da categorie completamente diverse. Se l'elemento che disegnava maggiormente la produzione precedente era quello del conflitto, la caratteristica che rappresenta maggiormente la scansione successiva è l’omologazione sociale più spinta, la stasi totalitaria, riconducibile peraltro alla gran parte della tradizione letteraria “di genere” (Zamjatin, Huxley, Orwell).
The Truman show, scena finale, regia di Peter Weir, 1998. |
Le produzioni cinematografiche degli ultimi venticinque anni, al contrario, vedono la nascita di antiutopie basate sull’instabilità e sulla frammentazione, sullo sgretolamento e l’alterazione sistematica della realtà materiale, sul rapporto problematico tra realtà effettiva e realtà virtuale, sull’ibridazione uomo-macchina e di distopie sorte su processi di erosione dell’autorità statale.
Possono essere individuati due principali filoni narrativi: il primo di essi rappresenta soprattutto eventuali società future in cui l'autorità (politica, religiosa, tecnologica ecc.) ha una forma totalitaria, cioè controlla ogni aspetto della vita umana (Metropolis, Fahrenheit 451, Orwell 1984, Brazil, V per vendetta, Minority Report); il secondo invece rappresenta o la distruzione del vivere civile o una sua massima degradazione dovuta a catastrofi globali, per lo più causate dall'uomo (Il pianeta delle scimmie, Terminator, Io sono leggenda). Questi due motivi narrativi, tuttavia, spesso si integrano insieme (L’uomo che visse nel futuro, La fuga di Logan, L’uomo che fuggì dal futuro, Blade runner, Matrix, Akira, Elysium).
Brazil, regia di Terry Gilliam, 1985. |
Nella maggior parte delle pellicole distopiche, il potere politico, quello economico e quello tecnologico (che spesso coincidono) prendono il sopravvento fino a controllare ogni aspetto della vita umana. Questo filone dei “totalitarismi” presenta delle caratteristiche di genere quasi sempre riscontrabili nella struttura narrativa di questi film:
- La società è gerarchica, divisa in classi sociali (o caste) rigide e invalicabili, in cui la classe al vertice ha sottomesso quelle inferiori.
- La propaganda del regime (attraverso slogan e simboli) e i sistemi educativi costringono la popolazione al culto dello Stato e del suo governo.
- Lo Stato, oppure le corporazioni hi-tech, o una congregazione religiosa, sono spesso rappresentati da un leader carismatico oggetto di culto della personalità.
- Il potere ha il monopolio dei mass media e manipola l’informazione.
- La società è massificata e omologata, formata da individui depersonalizzati. Il dissenso e l'individualità sono visti come valori negativi, in opposizione al conformismo dominante.
- Agenzie governative o paramilitari (come una polizia segreta) sono impegnate nella sorveglianza continua dei cittadini. La sorveglianza può essere sostituita anche da potenti e avanzate reti tecnologiche.
- Il sistema penale comprende spesso la tortura fisica o psicologica.
- Anche la città (o lo spazio in genere) è rigidamente divisa in più parti, molto spesso in senso verticale (Metropolis, L’uomo che visse nel futuro, Elysium).
- Certe facoltà umane, tipo il sentimento o l’immaginazione, o certe attività, come la lettura di libri o il sesso, sono bandite.
- Il mondo al di fuori di quella società è visto con paura e ribrezzo.
- Spesso, in seguito a guerre o catastrofi, le risorse energetiche e alimentari sono molto limitate e la classe dominante ne detiene il monopolio.
- Il legame con il mondo naturale non appartiene più alla vita quotidiana.
- In alcuni mondi distopici è problematico il rapporto tra realtà effettiva e realtà virtuale (Existenz, Atto di forza, Matrix).
- Soprattutto nel filone distopico cyberpunk, la tecnologia meccanicizza le relazioni umane (Matrix, Il mondo dei replicanti).
Fahrenheit 451, regia di François Truffaut, 1966. |
Nelle distopie c'è sempre un conflitto e un personaggio che si fa portatore dello scontro. In questi film il protagonista, o il gruppo di protagonisti, sono sempre i ribelli. Spesso all’inizio l’eroe è parte integrante di quella società e non ha quasi mai il profilo dell'eroe senza macchia e tutto d'un pezzo. La sua opposizione al sistema comincia dopo un processo di presa di coscienza, a volte innescato dall’incontro con membri della resistenza clandestina (Fahrenheit 451, Essi vivono, Matrix, Minority report). La sessualità e l'amore spesso funzionano in questi film come vie d'accesso ad un'autonomia di pensiero e azione, assurgendo a motore della rivoluzione interiore dei personaggi.
Se la ribellione, in Metropolis, approda a un finale che tiene fuori le spinte radicali e ricompone il conflitto tra padrone e classe operaia, in Orwell 1984, invece, il finale è pessimista e il ribelle viene ricondotto all'ortodossia e all'obbedienza attraverso il lavaggio del cervello.
Orwell 1984, regia di Michael Radford, 1984. |
In altre pellicole, come Fahrenheit 451, il ribelle non sconfigge l'autorità e non ha altra alternativa che quella di fuggire dalla società distopica, raggiungere altri dissidenti e con essi vivere una vita diversa e libera dai condizionamenti del potere.
Nel cyberpunk, al dominio tecnocratico si oppone il mito dell’hacker, il ribelle al sistema, per ragioni ideologiche o per puro nichilismo (punk, appunto), con declinazioni che vanno da una anarchia esistenzialistica ad un certo romanticismo (Matrix).
In molti casi, obiettivo del ribelle è la distruzione o il controllo dei sistemi tecnologici con cui il potere mette in atto il suo dominio. In "Essi vivono", infatti, l'eroe sacrifica la sua stessa vita per distruggere l'antenna con cui gli alieni alterano la realtà e la loro presenza sulla terra e camuffano i messaggi subliminali tramite i quali esercitano il controllo delle menti. In Elysium, invece, l'eroe sacrifica ancora se stesso per impadronirsi dei dati che consentono l'accesso al computer centrale, affinché esso venga usato per il bene di tutti, e non solo di pochi privilegiati.
Blade Runner, regia di Ridley Scott, 1982. |
Nessun commento:
Posta un commento