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martedì 26 luglio 2016

Ribelli e rivoluzionari - ANTIGONE

Jean-Joseph Benjamin-Constant, Antigone presso il corpo di Polinice, 1868. Photothèque Musée des Augustins


Il nome Antigone significa "nata contro”; contiene in sé la particella "anti" che esprime opposizione. Il mito di Antigone è indagato da tremila anni da vari autori: da Sofocle nel V secolo a.C., alla Cavani nel suo film I cannibali del 1969 e oltre. La tragedia racconta dello scontro tra Antigone, figlia di Edipo – che vuole seppellire i resti mortali del fratello Polinice, morto mentre assediava la città di Tebe per usurpare il potere al fratello Eteocle – e Creonte, lo zio, divenuto tiranno di Tebe, che invece vuole lasciare il nipote insepolto, in pasto a cani e avvoltoi, perché nemico della città. La pena per chiunque proverà a seppellirne il corpo è la morte. Apprendendo questa notizia, un'infuriata Antigone, si ostina a pretendere che il corpo del fratello venga sepolto affinché il suo spirito possa riposare in pace.
Antigone contravvenendo al divieto va dunque al campo di battaglia davanti a Tebe, copre di sabbia il corpo di Polinice ed effettua i riti di sepoltura. Si lascia quindi docilmente arrestare da una guardia uscita da Tebe ed insospettita dal sollevarsi della polvere. Una fiera Antigone è portata davanti a Creonte. Al cospetto del rappresentate dello Stato Antigone afferma le ragioni della propria condotta. Non alle leggi scritte lei ha inteso obbedire, ma alle leggi degli dèi, alle norme interne, non scritte e indistruttibili dettate dalla natura e dalla propria coscienza. Incredulo che una donna abbia osato disobbedire ai suoi ordini, Creonte decide l'imprigionamento di Antigone e ne decreta l'esecuzione. La fa rinchiudere pertanto in una caverna ad attendervi la morte. Nel frattempo l'indovino cieco Tiresia avverte Creonte che gli dèi sono molto adirati per aver egli rifiutato la sepoltura a Polinice e gli preannuncia imminenti sciagure. Il re di Tebe va dunque a liberare Antigone dalla caverna in cui è imprigionata, ma è troppo tardi per evitare la tragedia: Antigone si è appesa ad una corda. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), e poi la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria stoltezza.
Il nucleo del dramma sofocleo risiede nello scontro fra due volontà e due concezioni del mondo: quella di Antigone, fanciulla fragile fisicamente ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (physis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos).
Ciascuno dà ai suoi principi (diritto del ghenos per Antigone, che esige di compiere il rituale funebre per garantire la coesione della famiglia nelle sue relazioni con gli dei, contro il diritto della polis per Creonte, che esige che le decisioni dell'autorità politica siano rispettate per garantire la coesione civica) un valore assoluto ben oltre il dato contingente della vicenda che li vede contrapposti . Come sempre le tragedie deflagrano non quando la ragione sta da una parte o dall'altra - il che risolverebbe il conflitto - ma quando tutti hanno ragione, la propria ragione, soggettivamente ed oggettivamente, e, come in questo caso, il diritto non riesce a cogliere due ordini morali entrambi legittimi. E' in questo conflitto insanabile il senso del tragico.
Creonte trova intollerabile l’opposizione di Antigone non solo perché si contravviene a un suo ordine, ma anche perché a farlo è una donna. Nel suo ribellarsi però la donna risulta essere una figura meno dirompente di altre eroine come Clitennestra o Medea, poiché la sua azione non è rivolta a scardinare le leggi su cui si fonda la polis, ma solo a tutelare i suoi affetti familiari e la legge naturale che sente dentro di sé.
L'Antigone è la tragedia della "opposizione". Essa contiene in un concatenamento fatale i cinque conflitti inconciliabili che caratterizzano la vita degli umani in ogni tempo: uomo-donna, vecchi-giovani, individuo-società, leggi divine-leggi umane, vivi-morti.
Questo mito ritorna con intensità quasi ossessiva nel teatro e nel pensiero del Novecento, perché se ne riconosce l'estrema l'attualità: Antigone, con la sua autorità morale e la sua debolezza si fa carico - e diventa simbolo - di una serie di contraddizioni, che continuano a lacerare l’essere umano e la storia. In particolare oggi come non mai è vivo il dilemma: come agire, quando la legge della comunità particolare in cui si vive è in contrasto con un ordine di giustizia universale?
Presentando lo scontro tra privato cittadino e Stato dispotico, l’Antigone è stata spesso vista, in tempi moderni, come una metafora dei diritti del singolo contro gli Stati totalitari (anche se in questo caso viene meno lo spirito tragico classico, fondato sul conflitto insanabile tra due istanze entrambe legittime). Emblematiche, a questo proposito, la riscrittura di Anouilh, le rappresentazioni di Bertolt Brecht, Salvador Espriu o quella più recente del Living Theatre. L'altro elemento su cui hanno fatto leva le interpretazioni moderne è quello femminile, in quanto Antigone, come altre donne del mito, costituisce un fertile archetipo che consente una comprensione più profonda dell’immagine della donna e delle sue potenzialità (Maria Zambrano, Marguerite Yourcenar, Luce Irigary).
Ho trovato invece singolare che questo mito abbia trovato relativamente poche interpretazioni nell'arte figurativa. La pittura ha rappresentato molte volte Antigone in veste di figlia devota, mentre accompagna il padre cieco nel suo esilio di espiazione fino al bosco delle Eumenidi, ma non ha fatto altrettanto con l'episodio della ribellione di Antigone. Quelle che ho trovato, a parte alcune pitture dell'antichità classica, si collocano tutte nel XIX secolo e sono opere di artisti che, per convenzione, definiamo minori.
Questo dipinto è del pittore francese tardo romantico Jean-Joseph Benjamin-Constant. Il pittore ha dato alla rappresentazione un'atmosfera tragica e solenne. Al centro del quadro risalta la figura chiara e luminosa di Antigone, mentre in alto a destra incombe come una minaccia il castello simbolo del potere. La donna è ritratta nell'atto in cui copre pietosamente il fratello morto. Il braccio di lei è parallelo a quello del cadavere e con esso crea uno spazio chiuso e raccolto, staccato dalle altre figure.


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