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sabato 19 marzo 2016

L'uomo e la natura - Il "Battesimo di Cristo" di Piero della Francesca

Piero della Francesca è il vero protagonista della rivoluzione pittorica del Quattrocento il quale, nella maturità della sua esperienza artistica, riuscirà a coniugare insieme il luminismo e il naturalismo fiammingo con il rigore matematico della prospettiva fiorentina. Egli, infatti, nel suo soggiorno ad Urbino, entrerà in contatto con la pittura dei maestri del Nord, rimanendo impressionato da certi effetti di trasparenza e luminosità che essi riuscivano a trarre dalla pittura a olio. In questo modo riuscirà a conciliare il lumen, la luce universale e unificante tipica della pittura italiana del Quattrocento, con lo splendor fiammingo, cioè la luce particolare che si rivela al contatto con la materia del mondo fisico.

Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1448-50 ca., National Gallery, Londra.

Il Battesimo di Cristo è un dipinto giovanile di Piero, realizzato nella natia Sansepolcro e destinato alla Badia camaldolese. Originariamente esso costituiva il pannello centrale di un trittico i cui scomparti laterali, la predella e i due pilastri, risultano opera di un altro autore, Matteo di Giovanni.
In questo dipinto si notano già molti degli elementi stilistici che caratterizzeranno l’intera  opera del pittore di Sansepolcro. In particolare appare evidente l’ordine, la chiarezza formale, la simmetria e il rigore geometrico della composizione. Se il punto di partenza dei pittori fiamminghi era l’analisi della visione e dei dati forniti dai sensi, Piero, come tutti gli artisti rinascimentali di formazione fiorentina, elabora l’immagine partendo sempre da una costruzione mentale e razionale della stessa, ossia dalla geometria dei corpi e dello spazio. Scrive Marco Bussagli a questo proposito: “Piero, quindi, vuole procedere solo per dimostrazioni e teoremi; ma così facendo, costruisce uno spazio simile al vero e tuttavia non verosimile, in quanto un universo pittorico governato dalla ferrea legge del numero e della geometria è uno spazio solo mentale” […] Giustamente Martone chiama quella di Piero «prospettiva dell'intelletto» e la contrappone a quella del sistema albertiano ove l'occhio dello spettatore rimane passivo, accettando l'inganno prospettico. Nel sistema di Piero, invece, l'intelletto diviene “socio” della creazione illusoria dello spazio che, per questo, risulta simile al vero ma, come si è detto, non verosimile”.
Lo spazio, la luce, i colori, le proporzioni stesse delle figure, l'impianto geometrico come quello prospettico sono le dimensioni di un universo essenzialmente simbolico.
Come si può facilmente notare, la luce viene dall’alto e quasi non esistono ombre. Tutta la scena è immersa in questa luminosità universale (lumen), pura e cristallina e il colore è talmente omogeneo per tono che tutte le cose sembrano risplendere di luce propria. Ci troviamo pertanto in una condizione di illuminazione della scena del tutto concettuale e non basata sull’osservazione dei dati sensibili. La luce unitaria nelle opere di Piero della Francesca raggela figure e paesaggi e crea la visione di un’immobilità iconica. Il segreto della sua poesia pittorica è un profondo senso di stasi, di sguardo prolungato, di tempo sospeso.



I colori e i contorni del paesaggio non sfumano in lontananza, ma tutto, oggetti e persone, è definito nei dettagli e nei contorni netti: ogni cosa si costituisce come realtà assoluta. La luce non si trasmette, né riverbera, ma è fissata su ogni elemento presente nella scena. Tutto è nella luce poiché ora, con il battesimo e la discesa dello Spirito Santo, tutto è stato rivelato, e il creato partecipa di questa rivelazione.
Il Cristo si staglia come una figura monumentale che emerge luminosa e perlacea dal fondo del paesaggio. E questo paesaggio necessita di redenzione. Infatti i declivi erbosi, che dolcemente si allontanano verso le colline dello sfondo, sono costellati a destra da tronchi di alberi abbattuti. La presenza di tronchi tagliati e della scure è frequente nella iconografia bizantina del Battista. Nel vangelo di Matteo, infatti, Giovanni apostrofa i farisei concludendo con le parole: “La scure sta già sulla radice degli alberi; perciò ogni albero che non porta buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.”
Attraverso il simbolismo delle figure e degli elementi, lo schema compositivo, l’uso dei colori, la disposizione dei personaggi l’artista riesce a raccontare la certezza della fede in Gesù Cristo, unico salvatore del mondo e della storia.
Lo sguardo immerso in sé del Cristo dona a tutta la scena un incanto sospeso, lo stesso che cristallizza la superficie limpida del fiume: essa riflette come uno specchio ogni dettaglio, dal cielo azzurro, alle nuvole bianche, agli abiti sgargianti delle figure sullo sfondo.


Là dove i piedi di Cristo posano sul letto del fiume, questo arresta il suo corso, perché Cristo non può essere riflesso e duplicato. Né tantomeno può intersecare altre figure, che sono disposte tutte in posizione a Lui parallela. Neanche il corpo di Giovanni Battista può entrare nello spazio del Figlio di Dio: le dita della sua mano sinistra non vanno oltre il limite della sua veste, come in rispetto di un immaginario confine che separa il divino dall’umano.
Il corso del fiume, la disposizione degli alberi, la sinuosità della strada che porta al borgo che appare minuscolo sullo sfondo e le colline in lontananza danno la misura della profondità dello spazio prospettico, ma senza tuttavia fornire una visione spaziale unitaria. La natura è un elemento di secondo piano, che serve solo a far risaltare l’evento vero e importante che avviene sulla scena.
La costruzione del quadro si riconduce a forme geometriche fondamentali perché nelle figure semplici e negli aspetti matematici in genere si vedevano metafore dell’Assoluto e della sua compiuta perfezione.
L’opera è costruita su una struttura geometrica precisa che la rende equilibrata, armoniosa, dotata di proportio e di concinnitas (armonia tra le parti). Su un quadrato poggia un cerchio, la cui circonferenza passa per l’ombelico di Cristo, vero centro della composizione e il cui centro geometrico è occupato dalla colomba dello Spirito Santo. Rimandiamo a questo video molto esplicativo l’illustrazione dei rapporti geometrici del dipinto:


Se disegniamo ancora un triangolo con il vertice verso l’alto, i due triangoli vengono a racchiudere la figura del Cristo in una forma a rombo, che ricorda il nimbo, la mandorla nella quale viene spesso avvolta la figura di Cristo nell’iconografia russa o bizantina o nelle rappresentazioni medioevali: essa è simbolo del mistero e delimita la manifestazione del divino. Il quadrato, il cerchio e il triangolo equilatero sono forme contraddistinte dalla loro regolarità e non ulteriore semplificabilità. Essi definiscono la posizione e la figura di Cristo, che nel Battesimo si rivela a noi quale Figlio di Dio.
Alla sinistra del dipinto, accanto al tronco di un grande albero dal fogliame fitto, luminoso e solido come il corpo del Cristo, assistono alla scena tre figure angeliche. L’angelo di destra guarda fuori del quadro rivolgendosi all’osservatore, gli altri due guardano con attenzione al Cristo che viene battezzato.Dapprima dunque l’osservatore è portato dentro il quadro, poi, tramite il gioco di sguardi degli altri due angeli, la sua attenzione si concentra sul momento cruciale della storia.


Le tre figure angeliche richiamano il dogma trinitario di cui il battesimo, insieme alla trasfigurazione, costituisce la manifestazione evangelica. Esse sono vestite dei colori che alludono alla Trinità (azzurro, rosso e bianco) e rappresentano il Padre (l’angelo con il prezioso monile sulla fronte), lo Spirito Santo (quello vestito di bianco) e il Figlio. I tre angeli rappresentano anche la virtù della concordia (rinvenibile nel gesto dell’angelo di mezzo che sembra voler unire le mani degli altri due), che richiama la riunificazione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente e il Concilio di Firenze del 1439, punto di svolta di questo processo di riappacificazione.
A questo evento fanno riferimento anche i personaggi nello sfondo sulla destra; i loro vestiti orientali ricordano ovviamente il seguito dell’imperatore di Costantinopoli Giovanni VIII Paleologo.
Tutto lo schema compositivo dell'opera si regge su due assi ideali, uno verticale (costituito dalla figura del Cristo e dalla colomba dello Spirito Santo, rivelazione della divina trinità) e uno orizzontale, prospetticamente orientato, che rappresenta la dimensione umana, quella della storia che come un fiume scorre e di cui la venuta del Cristo costituisce un nuovo inizio.
In questa scena la natura è quasi liberata dalle leggi della fisica: là dove i piedi di Gesù posano sul letto del Giordano, questo arresta il suo flusso. Il fiume prosegue, inizia dopo di lui un nuovo corso e nelle sue acque si specchia anche il nuovo corso della storia umana: il catecumeno che si sta liberando delle vesti rappresenta l’umanità intera che nel battesimo si libera del suo peccato. Molto originale per la pittura italiana dell'epoca è anche la disposizione del fiume, che sfocia in primo piano, perpendicolare allo sfondo e rivolto allo spettatore.
In questa e in altre opere di Piero della Francesca è rilevante la presenza del paesaggio naturale, al quale vengono per la prima volta applicate le regole matematiche della prospettiva. Le grandi novità che caratterizzarono la pittura di paesaggio nel Rinascimento furono tre: la scoperta della prospettiva scientifica, l’apporto della pittura fiamminga e le osservazioni di Leonardo da Vinci intorno alla resa della consistenza atmosferica. La “finestra” prospettica dell’Alberti e del Brunelleschi permetteva di “sfondare” in profondità la superficie del quadro. Ad applicare al paesaggio questa scoperta furono però altri artisti, come Piero della Francesca, uno dei teorici più importanti di questa nuova disciplina rappresentativa (autore del De prospectiva pingendi). Lo dimostrano opere come le due versioni del San Gerolamo, quella di Venezia e quella di Berlino, il Battesimo di Cristo della National Gallery di Londra e perfino i due ritratti di Battista Sforza e Federico di Montefeltro. Qui, Piero segna lo spazio e la profondità con la presenza «digradata» di alberi, di cespugli, di colline che si allontanano verso l’orizzonte con la compostezza geometrica della prospettiva scientifica appena scoperta.



Troviamo questa natura partecipe del mistero della parabola della venuta di Cristo sulla terra anche in un’altra opera di questo artista straordinario, il Cristo risorto conservato a Sansepolcro. La sua figura divide in due parti il paesaggio: quello a sinistra, invernale e morente; quello a destra, estivo e rigoglioso. Con la resurrezione del Figlio di Dio, anche la natura risorge a nuova vita.
Proprio partendo dall’analisi di opere di Piero della Francesca come il Battesimo di Londra e il Cristo risorto, il filosofo Cacciari mette in guardia dall’interpretare l’Umanesimo come un’epoca di ottimismo che celebra esclusivamente la grandezza e il trionfo dell’uomo, principio di ordine razionale di tutte le cose.


Certamente l’uomo occupa il vertice del creato, e con il suo sguardo è in grado di collocare le forme nello spazio in base a proportio e concinnitas, ma la matematica, la geometria, l’ordine razionale non astraggono dal dramma dell’esistenza umana e da quello epocale che caratterizza la metà del Quattrocento (si ricordi che il 1453 segna una data importante, di forte impatto drammatico sui contemporanei: la fine dell’Impero Romano d’Oriente). Prospettiva e geometria sono strumenti per raccontare con sobrietà e dignità tragica, non patetica, il destino dell’umanità, perché la prospettiva inserisce l’uomo nel mezzo della tragedia, non lo salva, non lo tira fuori da essa. I personaggi come il Cristo del Battesimo o quello del Cristo risorto (1450-63) sono figure eroiche, classiche, la cui dignità è espressa nella fermezza e nella sobrietà con cui accettano la tragicità del destino che sono chiamati a compiere, quel destino che gli angeli del Battesimo contemplano con sguardo misterioso, enigmatico, sospeso.

Piero della Francesca, Cristo risorto, 1450-63, Museo Civico, Sansepolcro.

Molto diverse sono queste figure cristologiche da quelle rappresentate dagli artisti nordici contemporanei come Grünewald, dense di pathos e di sofferenza. L’arte di Piero della Francesca non mira, infatti, a differenza per esempio del Botticelli o del Pollaiolo, a coinvolgere emotivamente l’osservatore; suo fine non è creargli un turbamento, ma appassionare il suo intelletto e portarlo a riflettere sull’armonia, sull’equilibrio razionale e sulla perfezione formale dell’opera tramite la quale l’artista di Sansepolcro esprime il dramma e le inquietudini della sua epoca.




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