La frusta piombò sul dorso dell’animale con un suono vigoroso, netto. La mano che la guidava restò per un attimo sospesa in aria, poi tornò a roteare un’altra volta, due volte, tre volte, scagliando la frusta sulla groppa dell’asino, segnata dalle sferzate e dalla fatica. L’animale si era fermato sulla strada di terra battuta, mettendosi di traverso, con la testa rivolta alla campagna, come nell’ostinato, quanto inutile, tentativo di parare i colpi. Una sferzata più violenta delle altre gli fece uscire il sangue dalla schiena; l’asino lasciò andare un raglio, un urlo rauco che si levò straziando la tranquilla mattinata estiva. Per un attimo le cicale e gli uccelli tacquero, la gazza rimase immobile sul ramo del mandorlo e tutta la campagna restò silenziosa, quasi si disponesse all’ascolto. E in effetti un altro grido si udì, quello potente dell’uomo, il comando che non ammetteva esitazioni e poi ancora il sibilo rapido e sottile e lo schiocco violento della sferza. L’asino abbandonò finalmente quella strana posizione. La battaglia che si ripeteva ogni giorno da tanti anni si concludeva ogni volta con la vittoria dell’uomo; eppure il giorno dopo sarebbe accaduta di nuovo e così il giorno successivo, in un’eterna pantomima. Le ruote del carretto, straripante di verde tabacco, cigolarono e infine ripresero il loro lento girare su se stesse, lungo la strada infuocata dal sole di agosto.